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Relazioni familiari e soggettività politica.
Olympe de Gouges e la ridefinizione del canone giusnaturalistico

Elisa Orrù
Articolo pubblicato nella sezione "Tra le righe"

1. Introduzione

Nel 1791, due anni dopo la proclamazione della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, l’autrice teatrale, saggista, filosofa e rivoluzionaria Olympe de Gouges scrisse una breve opera dal titolo I diritti della donna, il cui nucleo centrale è costituito dalla Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina. Come emerge chiaramente già dal titolo, con il suo scritto de Gouges intende mettere in luce il carattere sessuato della Dichiarazione del 1789. A tal fine, l’autrice evidenzia anzitutto la contraddittorietà di tale Dichiarazione: i diritti che essa proclama come universali valgono infatti, di fatto e di diritto, per i soli esseri umani di genere maschile. De Gouges riformula inoltre le rivendicazioni della Dichiarazione in modo che esse valgano in egual modo per uomini e donne. Il presente saggio si concentra su due temi di particolare importanza all’interno della riformulazione operata da de Gouges: la rivendicazione della libertà di espressione e l’estensione del contratto sociale ai rapporti di coppia. Nel trattare questi temi de Gouges elabora spunti teorici di ampia portata, significativi non solo per gli studi di genere, ma anche per la filosofia politica e per la filosofia del diritto. La riflessione di de Gouges, pur collocandosi all’interno della tradizione giusnaturalistica, ne rigetta e rovescia infatti alcuni degli assunti fondamentali. Tra questi figurano prominentemente la sottrazione della sfera familiare alla regolamentazione paritaria dei rapporti tra individui, che invece caratterizza le relazioni tra cittadini nella sfera pubblica, e l’astrazione dalle differenze su cui si basa il particolarismo dei diritti pur proclamati come universali.


2. La Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina

L’opera I diritti della donna si compone, oltre che della Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina, di una dedica alla regina posta in apertura del testo e, in chiusura, di un breve scritto dal titolo Forma di un contratto sociale dell’uomo e della donna, nonché di una postilla.
La struttura del testo della Dichiarazione di de Gouges segue quella della Dichiarazione del 1789: entrambe consistono di 17 articoli e un preambolo, cui de Gouges aggiunge però una postfazione. Anche dal punto di vista contenutistico la Dichiarazione del 1791 segue la struttura di quella precedente e riprende i temi trattati nei rispettivi articoli: il rapporto tra diritti individuali e potere pubblico (art. I-V), la partecipazione alle decisioni politiche (art. VI), l’applicazione e i limiti del diritto penale (artt. VII-IX), la libertà di espressione (artt. X-XI), la regolamentazione e il finanziamento della pubblica amministrazione (artt. XII-XV), la divisione dei poteri (art. XVI) e la protezione della proprietà privata (art. XVII). Il parallelismo tematico si accompagna però a una significativa rielaborazione contenutistica: le rivendicazioni della Dichiarazione del 1789 vengono infatti reinterpretate da de Gouges in modo che esse possano valere anche per le donne. A tal fine de Gouges si serve anche di elementi stilistici: talora infatti sostituisce, talaltra affianca, al maschile presuntamente generico della Dichiarazione del 1789 formulazioni al femminile. Questi stratagemmi stilistici generano uno straniamento che rende esplicito il carattere sessuato della precedente proclamazione dei diritti.
Il contributo di de Gouges non si ferma però al disvelamento del carattere parziale ed esclusivo delle rivendicazioni dei rivoluzionari, ma include anche istanze che mirano al superamento di questa parzialità e contraddittorietà. Tra queste figurano l’introduzione dell’elettorato attivo e passivo per le donne e il diritto di accesso delle donne a tutte le cariche pubbliche (art. VI). De Gouges rivendica inoltre per le donne il pieno godimento dei diritti civili, con particolare riferimento alla libertà di espressione (artt. X e XI), al diritto di esercitare tutte le professioni e gli impieghi al pari degli uomini (art. XIII) e al diritto di proprietà (art. XVII). Attraverso queste rivendicazioni, de Gouges sembra puntare a prima vista a una (mera) estensione alle donne dei diritti che i rivoluzionari avevano rivendicato fino a quel momento solo per gli uomini. Un’analisi più approfondita della sua Dichiarazione mostra però come de Gouges da un lato arricchisca i diritti proclamati di nuovi significati e dall’altro metta in discussione alcuni assunti fondamentali delle teorie classiche del pensiero politico-giuridico moderno.


3. Libertà di espressione e accertamento della paternità: la riformulazione dei diritti “maschili” in diritti delle donne e degli uomini

Un tema a proposito del quale la trasformazione operata da de Gouges emerge con particolare evidenza è la libertà di espressione e il suo collegamento con l’accertamento della paternità dei figli illegittimi.
L’articolo 11 della Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina statuisce:


La libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi della donna, poiché questa libertà assicura la legittimità dei padri rispetto ai figli. Ogni Cittadina può dunque dire liberamente, io sono la madre di un figlio che è vostro, senza che un pregiudizio barbaro la obblighi a dissimulare la verità; salvo rispondere dell’abuso di questa libertà nei casi determinati dalla Legge (de Gouges 2021, p. 145, corsivo originale).


In questo articolo la rivoluzionaria stabilisce una connessione tra la libertà di espressione e la libertà delle madri di dichiarare pubblicamente l’identità dei padri naturali dei propri figli.
Poiché il nesso tra queste due forme di libertà non è immediatamente evidente, questo articolo è stato considerato dalla critica un punto debole della Dichiarazione di de Gouges. Secondo lo storico e giurista tedesco Karl Heinz Burmeister, per esempio, quest’articolo sarebbe «il meno riuscito» della Dichiarazione del 1791 (1999, p. 97). Secondo Burmeister, de Gouges fraintenderebbe qui il significato della libertà di espressione confondendo informazioni certe (l’identità del padre) con opinioni soggettive. Solo le ultime sarebbero però tutelate dalla libertà di espressione. Anche Ute Gerhard, figura centrale del femminismo europeo, si è espressa criticamente su questo punto della Dichiarazione. Secondo Gerhard, de Gouges nel passaggio citato si perderebbe in dettagli e sembrerebbe fornire un esempio del particolarismo e della scarsa capacità di astrazione spesso rimproverati ai movimenti femministi (cfr. 1987, p. 139). D’altra parte Gerhard nota l’utilizzo, nell’articolo in questione, dell’espressione “Cittadina”, che rinvia alla soggettività politica delle donne piuttosto che alle loro capacità riproduttive in quanto madri. Gerhard nota inoltre che gli eccessi di particolarismo e concretezza in materia sessuale e riproduttiva non fossero estranei al pensiero giuridico “patriarcale”, come mostrano alcune costruzioni giuridiche al centro di accessi dibattiti dottrinali ancora nel XIX secolo. Un esempio ne è la exceptio plurium, ovvero la possibilità del presunto padre naturale di sollevare un’eccezione all’attribuzione della paternità basata sul concubinato della madre con più uomini (cfr. ivi, p. 139). Gerhard non approfondisce tuttavia queste considerazioni, che lasciano così a mio avviso intendere che l’Articolo XI della Dichiarazione del 1791 contenesse un’intuizione importante, lasciata però cadere e non sviluppata ulteriormente da de Gouges.
A mio avviso, al contrario, una lettura attenta e contestualizzata di questo articolo mostra come le implicazioni teoriche del nesso posto da de Gouges tra proclamazione della paternità e diritto di espressione siano consapevolmente sviluppate nello scritto I diritti della donna. Nell’articolo direttamente precedente a quello in questione, de Gouges rivendica la libertà di espressione nel senso comune del termine. L’articolo X della Dichiarazione del 1791, in analogia con l’art. 10 della Dichiarazione del 1789, statuisce infatti: «Nessuno deve essere perseguito per le sue opinioni, anche fondamentali» (De Gouges 2021, p. 145). De Gouges rivendica inoltre il diritto delle donne di parlare pubblicamente in assemblee politiche, diritto loro negato anche negli anni della Rivoluzione Francese. L’unica possibilità per le donne di esprimere pubblicamente la propria opinione consisteva nel farlo in forma scritta (cfr. Doormann 1993, p. 7). Di questa possibilità de Gouges stessa fece ampio e coerente uso, tanto che proprio a causa delle opinioni politiche espresse nel manifesto Le tre urne nel 1793 fu arrestata e condannata a morte. Non sembra perciò plausibile assumere che de Gouges in un punto così centrale della propria Dichiarazione sia incorsa in interpretazioni scorrette del diritto di espressione o si sia smarrita in considerazioni eccessivamente particolaristiche, come suggeriscono le annotazioni critiche rispettivamente di Burmeister e Gerhard.
A mio avviso è al contrario più plausibile che de Gouges, attraverso il rinvio alla questione dell’accertamento della paternità, volesse porre l’accento sugli ostacoli legati al genere che impedivano una piena realizzazione della libertà e uguaglianza delle donne. Gli uomini, suggerisce de Gouges, proclamano per sé con una radicalità senza precedenti il diritto a esprimere liberamente le proprie opinioni. Riguardo ai rapporti di genere, tuttavia, la continuità con l’Ancien Régime non viene scalfita minimamente. Le donne, infatti, non solo restano escluse dal godimento della libertà di espressione nel senso comune del termine, come de Gouges denuncia nell’articolo X della sua Dichiarazione. Esse, in aggiunta, vengono private della possibilità di esprimersi apertamente su una questione fondamentale ed esistenziale come la paternità dei figli. La limitazione della libertà di espressione in riferimento alla paternità contribuisce al mantenimento di una posizione di dipendenza materiale delle donne rispetto agli uomini, che a sua volta viene usata, come vedremo in dettaglio più sotto, come giustificazione per l’esclusione delle donne dal godimento dei diritti politici.
Se ci limitiamo a considerare la libertà di espressione nel suo significato convenzionale, suggerisce a mio avviso de Gouges con gli articoli X e XI della sua Dichiarazione, non siamo in grado di mettere a fuoco questo nesso profondo. L’accostamento dei due aspetti della libertà di espressione indica che, per poter articolare rivendicazioni realmente inclusive e universali, è necessario ampliare il significato dei diritti fondamentali includendo aspetti non a caso lasciati in ombra dalle concezioni correnti.
Nell’operare questo ampliamento di significato, de Gouges mette inoltre in discussione la tradizionale separazione tra pubblico e privato. La questione dell’attribuzione di paternità, che secondo una concezione tradizionale può essere facilmente sottratta a una discussione pubblica e attribuita alla sfera privata, viene tematizzata da de Gouges nel contesto della rivendicazione di libertà politiche. De Gouges mette così chiaramente in luce i meccanismi “privati” di esclusione delle donne dalla vita pubblica. Questi meccanismi hanno una rilevanza politica centrale, poiché stabiliscono di fatto i criteri per l’accesso alla sfera politica. Essi, tuttavia, non trovano spazio nella Dichiarazione del 1789. L’esclusione di questi temi dal dibattito politico permette agli autori della Dichiarazione del 1789 di proclamare libertà e uguaglianza in modo apparentemente universale e di occultare allo stesso tempo l’esclusione delle donne dai diritti civili e politici. L’esclusione, concreta e non accidentale, non necessita così di essere motivata e giustificata nel contesto del dibattito politico. Nel rinviare al nesso tra rapporti familiari e soggettività politica all’interno del discorso politico, de Gouges solleva il velo che cela il particolarismo dei diritti intesi come dritti dei soli uomini. La finzione dell’universalità dei diritti può infatti esser mantenuta solo fintantoché la non partecipazione delle donne non viene tematizzata pubblicamente e viene mantenuta nell’ombra del “privato”.


4. Rapporti familiari e soggettività politica secondo il contrattualismo classico

La svolta operata da de Gouges ha un significato centrale non solo in una prospettiva di genere, ma anche all’interno del canone filosofico giusnaturalistico. De Gouges, infatti, si distanzia qui consapevolmente sia da Rousseau, pensatore con il quale pur intrattiene legami teorici profondi (cfr. Loche 2021, pp. 15-19 e 29-33; Bergès 2018), sia da altri pensatori giusnaturalistici classici che pur impostano la concezione dei rapporti familiari su basi opposte rispetto a quelle rousseauiane, come Thomas Hobbes, John Locke e Immanuel Kant. Avendo già approfondito in altra sede (cfr. Orrù 2021b) le argomentazioni in proposito di Rousseau e Locke, riprenderò qui solo le linee fondamentali dell’argomentazione di questi autori e mi soffermerò invece più in dettaglio sulle considerazioni di Hobbes e Kant.
Come è noto, per Rousseau i rapporti tra uomo e donna sono caratterizzati da una gerarchia “naturale”, che assegna all’uomo una posizione di dominio sulla donna (cfr. Rousseau 2017; Okin 1979; Okin 1999). La famiglia è per Rousseau la più antica (e unica) società naturale (cfr. Rousseau 1997, p. 7). Le donne, in virtù della loro naturale soggezione all’uomo e dei “doveri” riproduttivi che Rousseau assegna loro, rimangono confinate alla sfera domestica e non partecipano al contratto sociale. La gerarchia naturale su cui si basano le relazioni familiari fonda così l’esclusione della donna dalla sfera pubblica (cfr. Schröder 2000, p. 111; Orrù 2021b). Particolarmente interessante è il ruolo che la questione della paternità svolge all’interno dell’argomentazione rousseauiana. Il filosofo ginevrino giustifica, infatti, la disparità di diritti e doveri tra i sessi attraverso le diverse funzioni riproduttive di donne e uomini: secondo Rousseau «a quello dei due [sessi] che la natura ha incaricato del deposito dei figli spetta il risponderne all’altro» (Rousseau 2017, p. 969). Il solo sospetto che i figli allevati in famiglia possano essere stati generati da altri porta per Rousseau alla disgregazione dei rapporti familiari e il suo sorgere deve perciò essere evitato attraverso l’imposizione alle donne di più rigidi doveri (cfr. ivi, pp. 969-971).
Nel considerare la famiglia una società naturale, Rousseau assume una posizione singolare all’interno delle teorie del contratto sociale. Altri teorici classici del contrattualismo, tra cui Hobbes, Locke e Kant, considerano infatti il matrimonio come il risultato di un contratto tra l’uomo e la donna. Il risultato cui giungono, seppur per vie differenti, questi autori converge tuttavia con la posizione rousseauiana nell’escludere le donne dalla stipulazione del contratto sociale.
Sia nel De Cive (1642) che nel Leviatano (1651), Hobbes dedica un capitolo alla discussione dei rapporti di potere all’interno della famiglia. Secondo Hobbes, nello stato di natura la madre, e non il padre, detiene il potere sui figli, poiché la madre li ha per prima, dal momento della nascita in poi, sotto la propria potestà e solo la madre ne conosce e può dichiararne la paternità (cfr. Hobbes 2001, pp. 160-161; Hobbes 2004, p. 329). Per Hobbes dunque le facoltà riproduttive della donna fondano il potere naturale della madre sui figli e sembrano perciò difficilmente conciliabili con la subordinazione della donna all’uomo. Tuttavia, secondo Hobbes, esistono alcune circostanze in base alle quali la madre può perdere il potere sui figli: per esempio quando ella li abbandona, quando viene fatta prigioniera in guerra, o quando diventa cittadina di uno stato (perché in quel momento colui che detiene il potere nello stato ottiene anche il potere sui suoi figli) o, infine, quando ella nello stato civile (ma non nello stato di natura) contrae matrimonio con un uomo (cfr. Hobbes 2001, pp. 160-162; Hobbes 2004, pp. 327-331). In quest’ultimo caso la questione su chi detenga il potere sui figli viene decisa dalla legge civile in favore dell’uomo. Se l’unione tra uomo e donna assume la forma di un contratto e ha luogo nello stato civile, la donna perde il proprio potere naturale sui figli e acquisisce una posizione di subordinazione rispetto all’uomo, poiché in ragione del diritto vigente l’uomo viene considerato il capofamiglia. Il potere familiare dell’uomo nello Stato si spiega secondo Hobbes attraverso il fatto che gli Stati «sono stati costituiti dai padri, non dalle madri di famiglia» (Hobbes 2001, p. 162, corsivo originale). Al di là di questa breve indicazione, Hobbes non fornisce ulteriori spiegazioni o dettagli circa l’origine del potere familiare maschile. Tuttavia, poiché l’istituzione dello Stato avviene per contratto (e ciò vale per Hobbes anche per gli Stati annessi a seguito di una guerra di conquist; cfr. Hobbes 2004, pp. 331-335), l’affermazione secondo cui solo gli uomini partecipano all’istituzione dello Stato implica, all’interno della teoria hobbesiana, che il contratto sociale viene stipulato da soli uomini.
Per Hobbes, dunque, la sottomissione della donna all’uomo non è, a differenza che per Rousseau, naturale. Al contrario, essa è il risultato di un contratto tra uomo e donna, che tuttavia - nonostante la forma contrattuale -, se stipulato nella condizione civile (lo Stato), porta necessariamente alla sottomissione della donna e dei figli all’uomo. Il motivo di questo esito necessario del contratto risiede nel fatto che i rapporti di forza tra uomo e donna, nel momento in cui viene stipulato il contratto matrimoniale, sono stati già decisi in favore dell’uomo in virtù dell’esclusiva partecipazione degli uomini al contratto sociale. Perciò, il contratto matrimoniale non è un contratto tra eguali. Quando le donne stipulano il contratto coniugale, esse hanno già perso la propria libertà e uguaglianza naturale nei confronti degli uomini e ciò in ragione del contratto sociale, a cui le donne non hanno preso parte. Sussiste evidentemente un salto logico nella teoria di Hobbes, che la teorica della politica angloamericana Carole Pateman ha cercato di colmare ricostruendo le ragioni che, in termini hobbesiani, potrebbero spiegare la perdita della libertà e uguaglianza naturale delle donne e che tuttavia non eliminerebbero la contraddittorietà che soggiace all’argomentazione hobbesiana (cfr. Pateman 1988, p. 49).
Anche per Locke l’unione matrimoniale si fonda su un contratto (cfr. 2007, p. 235). Nei Due trattati sul governo (1689) Locke confuta interpretazioni della Bibbia volte a giustificare la soggezione della moglie al marito e chiarisce che il potere genitoriale spetta in egual modo alla madre e al padre (cfr. ivi, pp. 96-97, p. 219). A prima vista Locke sembrerebbe dunque definire le relazioni tra i coniugi su base paritaria. Tuttavia, secondo Locke, uno dei coniugi deve avere la facoltà di decidere nel caso sorgano controversie. In questi casi, essendo per Locke «necessario che la decisione ultima (ovvero il governo) sia posto da qualche parte, spetta naturalmente all’uomo in quanto parte più capace e più forte» (p. 236, corsivo mio). La famiglia è dunque in ultima istanza una forma di governo, diversa da quella politica, al cui vertice sta il padre, nei confronti del quale la donna, i figli e i servi sono in una relazione subordinata (cfr. pp. 237-238). Quando Locke, nel proseguimento della sua opera, giunge a trattare delle relazioni politiche, non fa più menzione delle donne: sono infatti gli uomini («men») a stipulare il contratto sociale (p. 246 sgg.).
Nonostante per Locke, dunque, il matrimonio si fondi su un contratto tra i coniugi, il potere ultimo all’interno della famiglia spetta al padre, e questo, sorprendentemente, in ragione della sua “naturale” superiorità quanto a forza e capacità. Ciò che decide le relazioni di potere all’interno della famiglia risiede in definitiva in ciò a cui il contratto sociale dovrebbe porre termine, ovvero il diritto del più forte che vige nello stato di natura. Il contratto matrimoniale, sembra legittimo dedurre, ha luogo in uno stato pre-civile. Nel momento in cui si giunge alla stipulazione del contratto sociale, le donne si troverebbero già, suggerisce l’argomentazione lockiana, sotto la potestà di un uomo in quanto mogli o figlie, e non partecipano perciò alla istituzione dello stato civile attraverso la stipulazione del contratto sociale.
Kant e la sua teoria morale sono particolarmente interessanti all’interno di questa discussione, perché pressoché coevi alla stesura della Dichiarazione di de Gouges. Nella Metafisica dei costumi (1797), Kant concettualizza il matrimonio come un contratto attraverso cui l’uomo e la donna concordano «il possesso reciproco delle loro facoltà sessuali durante tutta la loro vita» (2009, p. 96) conformemente alla legge vigente. Anche Kant, dunque, al pari di Hobbes e Locke, attribuisce ai rapporti matrimoniali natura pattizia.
La reciprocità del contratto matrimoniale è inoltre per Kant una condizione necessaria per la sua validità. Tuttavia, egli ammette in linea teorica il diritto di comando del marito sulla moglie e ritiene che questo non sia in contraddizione con l'uguaglianza dei coniugi qualora serva l'interesse familiare comune (cfr. ivi, p. 98). A questo punto dell’argomentazione kantiana, l'organizzazione delle relazioni coniugali fondata sul diritto di comando del marito sembra essere solo una possibilità tra le tante. Kant non giustifica questo diritto logicamente-aprioristicamente, ma si accontenta di argomentare a favore della sua compatibilità con il principio di reciprocità del contratto matrimoniale.
Tuttavia, dalla trattazione del diritto dello stato che Kant sviluppa nella parte della Metafisica dei costumi dedicata al diritto pubblico, emerge chiaramente che questo tipo di organizzazione gerarchica costituisce ai suoi occhi l'unica possibile configurazione delle relazioni tra i coniugi. Nella dottrina del diritto dello stato, il filosofo di Königsberg introduce infatti la distinzione tra cittadini attivi e cittadini passivi. Solo ai primi spetta secondo Kant il diritto di voto e la facoltà di partecipare alle decisioni politiche (p. 144). La precondizione per la cittadinanza attiva è infatti l’indipendenza civile, intesa da Kant come la capacità di garantire da sé la propria esistenza e sussistenza, in base ai propri diritti e alle proprie forze, senza dipendere dall’arbitrio altrui (pp. 144-45). Esclusi dalla cittadinanza attiva sono perciò tutti coloro che per la propria sussistenza e protezione dipendono da altri: lavoratori impiegati da persone o aziende private, minori e «tutte le donne» (p. 144).
In questo passaggio Kant fonda l’esclusione delle donne e di altri gruppi sociali dal godimento di alcuni diritti politici sulla loro dipendenza economica e privata dal volere di altri. Le donne, essendo dipendenti dall’uomo all’interno della famiglia, non hanno il diritto di partecipare come cittadine autonome alle decisioni politiche. Anche per Kant, dunque, la definizione delle relazioni familiari ha conseguenze politiche, che consistono in definitiva nell’esclusione delle donne dalla partecipazione alla vita politica. Anche nell’argomentazione kantiana è insita una certa contraddittorietà: ciò che fonda l’esclusione delle donne dalla cittadinanza attiva non è infatti una condizione “pura” e fondata aprioristicamente, come le premesse metodologiche della sua “metafisica dei costumi” richiederebbero. Al contrario, la negazione della cittadinanza per le donne si fonda su una circostanza empirica (seppur sostenuta e realizzata attraverso norme giuridiche), ovvero la dipendenza materiale delle donne dagli uomini.
Con uno sguardo d’insieme possiamo ora identificare tre aspetti fondamentali su cui le posizioni di Hobbes, Locke e Kant convergono, nonostante le importanti differenze che pur sussistono tra le linee argomentative di questi autori. Anzitutto, per questi teorici, il matrimonio si fonda su un contratto di natura profondamente differente rispetto al contratto sociale. Nel contratto sociale le parti contraenti sono tra loro eguali, sia nel senso che esse contraggono il contratto sociale su un piano di parità, sia nel senso che l’uguaglianza e libertà dei cittadini viene sancita e protetta dal contratto stesso. Il contratto matrimoniale, al contrario, sancisce la disuguaglianza dei soggetti che lo contraggono, indipendentemente dalla loro posizione reciproca precedente la stipula contratto matrimoniale. In secondo luogo, comune a questi autori è l’esclusione delle donne dalla sfera politica e dalla stipulazione del contratto sociale. Mentre per Hobbes l’esclusione dal contratto sociale determina la subordinazione della donna nei rapporti familiari, per Hobbes e Kant, viceversa, l’esclusione delle donne dalla partecipazione all’istituzione dello stato avviene in forza delle relazioni gerarchiche venutesi a stabilire all’interno della famiglia. Infine, le teorie di questi pensatori sono accomunate da una certa contraddittorietà o quantomeno incongruenza nell’argomentazione che delinea la stipulazione del contratto matrimoniale all’interno del più ampio contesto dell’istituzione dello stato civile. Queste incongruenze argomentative permettono da un lato di affermare l’uguaglianza di tutti gli esseri umani e, dall’altro, di stabilire la menzionata discontinuità di risultato tra il contratto matrimoniale e il contratto sociale e di sancire così l’esclusione delle donne dalla vita politica.


5. La svolta di de Gouges

Nello scritto I diritti della donna de Gouges introduce una svolta all’interno del paradigma giusnaturalistico, che pur rimane l’orizzonte teorico all’interno del quale ella formula le proprie rivendicazioni. L’argomentazione di de Gouges presenta elementi di rottura sia rispetto alla teoria di Rousseau, sia rispetto alle teorie di Hobbes, Locke e Kant. In opposizione a Rousseau, de Gouge mette in luce l’origine storica e sociale della differenza di genere e ne nega dunque la “naturalità”. In rottura con gli altri teorici del contratto sociale, de Gouges allega alla sua Dichiarazione un modello di “contratto sociale tra uomo e donna che regola le relazioni di coppia su base paritaria e istituisce dunque una continuità ideale tra il contratto sociale e il contratto coniugale.
Nel distanziarsi dalla posizione rousseauiana, de Gouges segue una linea argomentativa originale. Nel preambolo della Dichiarazione del 1791, l’autrice pone l’accento sulla medesima caratteristica “naturale” della donna che nell’argomentazione rousseauiana funge da fondamento per la sua sottomissione, ovvero la sua capacità di dare alla luce la prole. Nel preambolo de Gouges caratterizza il sesso femminile come «il sesso superiore sia in bellezza che in coraggio, nelle sofferenze della maternità» (de Gouges 2021, p. 144). Così facendo, de Gouges richiama l’attenzione sulle differenze di genere, anziché occultarle o relativizzarle. Allo stesso tempo, l’autrice mostra come la capacità di generare figli non implichi necessariamente la sottomissione della donna all’uomo. Al contrario, la subordinazione della donna è il risultato di processi di normazione e normalizzazione giuridici e sociali, che hanno costruito sulle differenti funzioni riproduttive di uomini e donne un trattamento diseguale, che non ha, tuttavia, nulla di necessario o immutabile.
De Gouges fornisce numerosi esempi di questi meccanismi, così come di una diversa e paritaria regolamentazione dei rapporti tra i sessi che non neghi, ma anzi ponga al centro le differenti capacità riproduttive. Alle madri, come de Gouges sottolinea nel già discusso Articolo XI della Dichiarazione, viene proibito di dichiarare e far accertare la paternità dei propri figli. Inoltre, nello scritto I diritti della donna de Gouges denuncia come il patrimonio non venga distribuito equamente tra i coniugi e tra i loro figli (cfr. pp. 148-149). I padri possono così sottrarsi facilmente ai propri doveri nei confronti dei figli, lasciando il sostentamento e l’educazione dei figli a carico delle madri. A ciò si aggiungono le restrizioni all’accesso delle donne all’istruzione e alle professioni, che de Gouges parimenti menziona nella postfazione alla sua Dichiarazione (cfr. p. 149). Poiché la dimensione domestica era al tempo in cui scrive de Gouges l’unica sfera d’azione considerata appropriata per le donne, le bambine, a differenza dei bambini, ricevevano un’istruzione finalizzata a prepararle ed educarle esclusivamente allo svolgimento dei compiti e doveri domestici. Le donne erano inoltre escluse dall’esercizio di molte professioni. L’insieme di queste circostanze rendeva estremamente difficile per le donne garantire la propria indipendenza materiale ed economica, creando una situazione di dipendenza che fungeva a sua volta, come abbiamo visto, da giustificazione per la negazione della loro soggettività politica.
In contrapposizione a questo stato di cose, de Gouges mostra che, partendo dalle differenti facoltà riproduttive di uomini e donne, i rapporti tra i generi possono assumere una struttura che rafforza anziché restringere la libertà delle donne. Già in riferimento alla questione dell’attribuzione della paternità de Gouges rovescia l’argomentazione tradizionale. La formulazione dell’Articolo XI mostra che la paternità potrebbe essere attribuita con maggior certezza se le donne godessero di maggior, anziché minor, libertà: la libertà di espressione (nel senso ampliato attribuitole da de Gouges) «assicura la paternità dei padri rispetto ai figli» (p. 145, corsivo mio). In aggiunta l’autrice della Dichiarazione avanza una serie di rivendicazioni che mirano a garantire possibilità di guadagno e il diritto di proprietà anche per le donne. Alcune delle riforme suggerite da de Gouges furono realizzate nell’ambito della riforma del diritto civile compiuta nel 1792/93, come l’obbligo scolastico per bambini e bambine, l’eguaglianza delle donne nelle materie di diritto civile, il raggiungimento della maggior età a 21 anni, il pari diritto all’eredità, il diritto di divorzio e il diritto delle donne a una parte del patrimonio familiare. Alcune di queste riforme furono tuttavia revocate poco dopo e specialmente con l’introduzione del Codice Napoleonico nel 1804, il cui articolo 340 proibì esemplarmente la richiesta di accertamento della paternità dei figli illegittimi (cfr. Blanc 1989, pp. 192–193; Doormann 1993, p. 118; Gerhard 1987, p. 139). In ogni caso, le rivendicazioni di de Gouges mostrano, in contrapposizione a Rousseau, come la sottomissione della donna non abbia nulla di naturale o immutabile, ma possa essere superata attraverso adeguate riforme.
De Gouges si distanzia inoltre significativamente anche dagli altri teorici del contratto sociale. Alla luce delle considerazioni sopra esposte a proposito delle teorie giusnaturalistiche, è estremamente significativo che de Gouges faccia seguire alla sua Dichiarazione il modello di contratto coniugale, poiché così facendo ella stabilisce una stretta connessione tra l’organizzazione delle relazioni di potere nella sfera pubblica e il loro assetto nella sfera privata. Analogamente significativo è il fatto che ella denomini il documento contratto sociale dell’uomo e della donna, suggerendo così anche terminologicamente la continuità tra le due sfere.
Anche in questo caso, come già nel caso dell’Articolo XI della Dichiarazione del 1791, si tratta di un aspetto le cui implicazioni sono state finora spesso trascurate dalla critica (un’eccezione è Schröder 2000). Sintomatico della sottovalutazione dell’importanza di questo nesso è il fatto che il modello di contratto sia stato omesso da alcune delle prime, seppur importanti, riproduzioni e traduzioni dell’opera (si veda per esempio Gerhard 1987). L’importanza teorica di questo documento è tuttavia centrale. Il contratto sociale dei giusnaturalisti non concerneva, come abbiamo visto, i rapporti familiari. La subordinazione della donna nei rapporti familiari è al contrario per gli autori giusnaturalisti una conseguenza (Hobbes) o una precondizione (Rousseau, Locke, Kant) del contratto sociale, che ha luogo implicitamente o esplicitamente solo tra uomini. De Gouges, al contrario, estende lo strumento di fondazione della comunità politica alle relazioni familiari e mostra così come le donne possano agire come soggetti politici solo qualora anche le relazioni private si basino su un contratto tra soggetti eguali, che rimangono tali anche a conclusione e in forza del contratto.
In aggiunta al posizionamento “strategico” del contratto tra uomo e donna in appendice alla Dichiarazione, de Gouges fornisce nel modello di contratto elementi contenutistici che specificano alcune delle rivendicazioni avanzate nella Dichiarazione e ne chiariscono i presupposti all’interno delle relazioni familiari. L’idea centrale rimane invariata: l’ampliamento delle libertà e dei diritti delle donne rappresenta la soluzione ottimale non solo per le donne stesse, ma per la società in generale (cfr. p. 150). Una legge che garantisse il diritto all’accertamento della paternità, argomenta de Gouges, offrirebbe una soluzione molto più soddisfacente ai problemi legati alla condizione dei figli illegittimi e permetterebbe di affrontare il problema alla radice, incoraggiando per esempio una minore promiscuità in vista delle conseguenze che il concepimento di figli al di fuori del matrimonio potrebbe portare con sé. A queste considerazioni l’autrice aggiunge richieste legate all’estensione dei diritti patrimoniali anche ai figli nati fuori dal matrimonio e all’equa divisione del patrimonio tra i coniugi, con riguardo alle parti spettanti ai figli in caso di separazione (cfr. pp. 149-150). L’allargamento, anziché la restrizione, delle libertà delle donne, così come la loro partecipazione «a tutte le attività degli uomini» (p. 150), sono dunque per de Gouges la chiave per organizzare i rapporti sociali in modo coerente e vantaggioso per la società tutta.


6. Conclusione

De Gouges viene oggi annoverata a ragione tra alcune delle precorritrici più importanti del femminismo. La rivoluzionaria francese anticipa infatti nella sua opera I diritti della donna alcuni dei temi e delle rivendicazioni centrali del femminismo, come la rilevanza politica delle relazioni familiari e la denaturalizzazione delle differenze di genere. La riformulazione dei diritti dell’uomo in diritti dell’uomo e della donna da lei operata costituisce, inoltre, un contributo ancora attuale alla questione di come sia possibile fondare l’uguaglianza sulle differenze (cfr. Reuter 2018). La posizione di de Gouges si contraddistingue per il suo andar oltre una semplice assimilazione (cfr. Cavarero 1997, p. 104) dei diritti e della condizione delle donne al modello maschile. Al contrario, la pensatrice francese mira a costruire una uguaglianza tra donne e uomini fondata su una base nuova, che comprende una concezione più ricca e comprensiva dei diritti fondamentali. Questa richiede una trasformazione delle relazioni di genere che coinvolga sia le donne sia gli uomini e che preveda, per esempio, una ristrutturazione dei doveri di paternità.
Lo scopo di questo saggio consiste però nel mettere in luce il significato dello scritto I diritti della donna non solo nell’ambito degli studi di genere, ma anche per la filosofia politica e la filosofia del diritto.
A questo proposito, le riflessioni sviluppate nelle pagine precedenti permettono di formulare le seguenti considerazioni conclusive. In primo luogo, de Gouges mostra come la parzialità dei diritti, pur proclamati come universali, non fosse dovuta a una incompleta o imperfetta applicazione, ma fosse ancorata in presupposti teorici. Di fatto, come è noto, i diritti proclamati dalla Dichiarazione del 1789 non valevano per le donne, gli schiavi delle colonie francesi, così come per gli strati meno abbienti della popolazione (cfr. Reuter 201, p. 407; Cole 204-205; sulla schiavitù in particolare Orrù 2020 e Orrù 2021b). L’accostamento della posizione di de Gouges a quella dei teorici giusnaturalisti ha messo in luce i presupposti teorici di questa esclusività in riferimento ai rapporti di genere. Ciò non significa tuttavia che l’esclusione delle donne e di altri gruppi sociali fosse un elemento necessario o inevitabile delle concezioni giusnaturalistiche. La riflessione di de Gouges mostra infatti come fosse possibile, pur partendo da premesse giusnaturalistiche, superare le limitazioni poste da queste alla validità dei diritti. De Gouges confuta infatti sia la tesi rousseauiana della naturale subalternità della donna, sia la distinzione fondamentale tra la struttura dei rapporti di potere all’interno della famiglia e nella società, che costituisce la base comune delle argomentazioni, per altri versi così diverse, di Hobbes, Locke e Kant. In ciò, de Gouges offre a mio avviso un contributo centrale per la riflessione sulle aspirazioni universalistiche di una “Ragione” che si pretende obiettiva e astratta e le condizioni concrete di disuguaglianza e privazione che tali aspirazioni universalistiche non scalfiscono e anzi, come abbiamo visto, contribuiscono a legittimare.
Le proclamazioni universalistiche della Dichiarazione del 1789 e dei teorici giusnaturalistici convergono a mio avviso nel prendere avvio da un’astrazione dalle differenze concretamente esistenti e nell’avanzare una pretesa di neutralità. Nonostante le proclamazioni di neutralità e oggettività, le rivendicazioni universalistiche delle teorie contrattualistiche classiche vengono formulate da posizioni particolari e contestualizzate. Nel far ciò, esse proclamano norme che si vogliono universali e obiettive, ma che si trovano a valere in un contesto popolato da persone di fatto diseguali, senza che il punto di vista di queste ultime sia stato preso in considerazione. De Gouges, al contrario, prende avvio dalle differenze concretamente esistenti e pone le esperienze di diseguaglianza al centro della propria riflessione. Ella mostra come ogni punto di vista sia in realtà particolare, ma anziché astrarre da particolarità e differenze, le pone esplicitamente alla base della propria riflessione. Il pensiero di de Gouges può valere perciò a mio avviso come uno straordinario punto di partenza per ripensare i canoni della filosofia politica e della filosofia del diritto (si veda anche Casadei 2021), così come per riflettere sotto una nuova luce il rapporto tra universalismo e differenza, e, per pensare un «universalismo delle differenze» (cfr. Orrù 2021b), che permetta una effettiva e reale estensione dei diritti.

Questo articolo riprende e rielabora alcuni dei temi presentati in un saggio precedentemente pubblicato presso la «Allgemeine Zeitschrift für Philosophie» (Orrù 2021a). Le citazioni da I diritti della donna seguono la traduzione di Loche (2021). Le traduzioni delle citazioni delle opere straniere non disponibili in lingua italiana sono mie.


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