Un'espressione significativa della cultura di matrice cattolica in politica è quella del cosiddetto cattolicesimo democratico, il cui substrato iniziale si può ricollegare a taluni movimenti di pensiero e testimonianze di impegno politico che si sono radicate nella fase della Resistenza e della Costituente, agli albori della Repubblica, allorquando vi fu un impegno forte anche di molte personalità provenienti dal mondo cattolico per rifondare la democrazia dopo il fascismo. In effetti, durante e dopo il secondo conflitto mondiale si sono consolidati alcuni movimenti di laici disponibili ad un impegno politico, in parte collegati a una nascente formazione politica di ispirazione esplicitamente cristiana, la DC, in parte comunque legati a obiettivi di ricostruzione del sistema politico in una prospettiva di democrazia pluralista, in cui erano portatori di una ispirazione fondata sui valori del magistero sociale della Chiesa cattolica.
Se, da un lato, si possono ricollegare a questo periodo – assai fertile sia sul piano dell'impegno ideale che della testimonianze politica personale – iniziative di riflessione organica sulla fisionomia da dare alle istituzioni politiche dopo il fascismo (v., ad esempio, l'esperienza assai interessante del Codice di Camaldoli, elaborato durante gli anni bui della guerra), si può per altro verso sottolineare che lo stimolo principale a coniugare valori di matrice cattolica e principi e regole della democrazia è rappresentato dal momento costituente, a cavallo tra il referendum istituzionale tra monarchia e repubblica e l'avvio dell'attività dell'Assemblea costituente, dopo il 2 giugno 1946. In effetti, la fase costituente richiedeva l'apporto straordinario di culture politiche capaci di rifondare le istituzioni, in un confronto serrato tra gli orientamenti espressi dai grandi partiti di massa e le élites culturali interessate a misurasi con la nuova stagione politico-istituzionale che doveva tradursi anche in opzioni e regole fondamentali di ampio respiro.
In questo periodo – in cui si possono riconoscere i contributi ideali e politici fatti valere principalmente da forze di ispirazione cattolica, liberale e marxista, corrispondenti a partiti e formazioni politiche di una certa consistenza, rappresentate nell'Assemblea, accanto a voci e contributi di pensiero espressi da gruppi comunque interessati alla dinamica delle scelte costituenti[1] – si può collocare anche l'origine di un movimento di cultura politica di matrice cattolica con suoi connotati specifici, dal quale è poi scaturita la realtà multiforme del cosiddetto cattolicesimo politico democratico, fenomeno per certi versi con caratteri unitari, anche se variamente articolato in gruppi ed espressioni organizzate che in parte permangono ancor oggi, come si accennerà successivamente.
La fase nascente di questo movimento si può sostanzialmente ricollegare all'esperienza della "Comunità del porcellino", i cui artefici principali sono stati, tra gli altri, Laura Bianchini, Giuseppe Dossetti, Giuseppe Lazzati, Amintore Fanfani e Giorgio La Pira. L'originale denominazione di questo gruppo – come è raccontato in un bel volume sulla storia e personaggi di questa comunità: Quando si faceva la Costituzione[2] – risale a un episodio di cui fu protagonista l'allora Presidente dell'Azione cattolica, Vittorino Veronese, che si presentò a pranzo a via della Chiesa Nuova 14, a Roma, (dove avevano trovato alloggio a casa delle sorelle Pia e Laura Portoghesi tutti i personaggi suddetti, impegnati nella Costituente), con un porcellino farcito che «sembrò a tutti un'apparizione», data la scarsità di risorse alimentari del periodo, al punto da indurre i presenti a suggellare una sorta di atto costitutivo della comunità così denominata.
L'atmosfera familiare e comunitaria davvero unica che si consolidò a via della Chiesa Nuova, riuscendo a far convivere i diversi caratteri e le differenti origini professionali degli ospiti della casa. È importante sottolineare come questa esperienza comunitaria, durata dal '45 ai primi anni '50, fu da un lato sicuramente molto rilevante per la formazione di ciascuno dei componenti di questa singolare realtà collettiva (così come di coloro che vi entrarono successivamente, come Glisenti De Cesaris e vari altri o che ebbero occasioni sistematiche di contatto con il gruppo di via della Chiesa Nuova, come Baget Bozzo), e dall'altro sicuramente ricca di conseguenze per l'apporto che questo gruppo di cattolici democratici riuscì a dare ai lavori e alle scelte della Costituente.
La Comunità del porcellino fu una «formidabile scuola di esperienza politica del movimento cattolico» (come ebbe a qualificarla Gianni Baget Bozzo, interlocutore in quegli anni di vari componenti del gruppo), cresciuta intorno alla rivista "Cronache sociali", periodico fondato da Dossetti nel '47 con l'obiettivo di sviluppare una informazione obiettiva seria e documentata sui principali problemi del Paese. Ne esce uno spaccato di pensatori e attori politici che ha avuto un ruolo certo non secondario nel costruire le nuove basi del sistema politico costituzionale, sulla scia anche – almeno per taluni – della esperienza dell'Associazione Civitas Humana, sorta nel '46 per orientare il mondo cattolico verso riforme economico-sociali basate sui principi di eguaglianza e partecipazione. Una comunità "fraterna e operosa" di personalità con alle spalle esperienze personali assai diverse (si pensi, ad esempio, a Fanfani che aveva avuto qualche connessione con il fascismo e, viceversa, a Lazzati che fu uno dei pochissimi docenti universitari a non giurare fedeltà al regime), ma accomunati tutti da passione civile e politica e da comuni riferimenti ideali e valoriali di matrice cattolica. Come ha osservato Paolo Giuntella, la Comunità del porcellino appare per molti versi simile al sodalizio di Casa Maritain o di Casa Mounier, con un pivot riconosciuto, anche senza alcuna carica formale (Dossetti), la cui successiva decisione di ritirarsi dalla politica, nel 1952, ha poi influito fortemente sulla coesione del gruppo, che in effetti si è via via sgretolato, fino a perdere del tutto la sua fisionomia comunitaria nella seconda metà degli anni '50.
In questa sede vale la pena sottolineare soprattutto qualche elemento significativo sia sui risultati conseguiti dalla Comunità del porcellino, sia sull'eredità che ha lasciato, animando la partecipazione politica di tanti cattolici democratici, indotti a riconoscersi nelle linee portanti di cui la comunità si è fatta espressione, specie concorrendo a delineare alcuni dei primi e principali articoli della Costituzione repubblicana. In effetti, si può dire che, a vario titolo, i primi articoli della Costituzione sono stati preparati e talora materialmente scritti da appartenenti alla Comunità del porcellino, in particolare le norme sul riconoscimento della persona umana e delle formazioni sociali, quelle relative all'eguaglianza formale e sostanziale, quelle sul valore del lavoro come asse portante dell'essere cittadino e partecipe della società, nonché quelle – assai delicate e controverse, ma alla fine capaci di raccogliere un largo consenso – relative ai rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica o le altre confessioni religiose. Tutti temi prioritari per politici di matrice cattolica, stimolati peraltro – a differenza di quanto avvenuto nella esperienza di chi si era dedicato al Codice di Camaldoli – da scelte concrete da operare in seno all'Assemblea costituente o in Parlamento, interpretando in modo alto l'autonoma responsabilità dei laici cristiani impegnati in politica, senza integralismi, ma con forte convinzione e dedizione, abbinate a uno stile di vita sobrio e ad una costante propensione ad affinare specifiche competenze per poter coniugare studio e azione.
In sostanza, un gruppo di personaggi non comuni per la capacità di approccio laico alla politica, testimoni di un impegno volto a connettere riferimenti ideali a soluzioni concrete, con soluzioni spesso assai innovative e lungimiranti in quella fase vivace e fondativa degli assi portanti della Repubblica democratica. Personaggi non comuni, come si è appena detto: e quindi non facilmente in grado di trasmettere ai più giovani il medesimo approccio alla politica improntato alla coerenza tra pensiero e azione. Di qui anche il senso di una considerazione di Giuseppe Lazzati che, qualche decennio dopo questa esperienza, a fronte della difficoltà di dare continuità a quel tipo di testimonianza, ha osservato che «il dossettismo fu sconfitto perché i cattolici del tempo non erano preparati a pensare politicamente in coerenza con la vocazione ma con l'autonomia del fedele laico» (considerazione critica che, peraltro, non può certo riguardare altre figure fondamentali del cattolicesimo politico, come quella di Alcide De Gasperi, al quale – pur non avendo fatto parte in alcun modo della Comunità del porcellino e, anzi, avendo avuto in alcuni momenti non piena sintonia politica con Dossetti – va egualmente riconosciuta la capacità di interpretare con piena autonoma responsabilità l'impegno politico da laico cristiano).
Comunque, come frequentemente accade per esperienze di vita legate al ruolo decisivo di talune persone, anche la Comunità del porcellino ad un certo punto perse la sua forza di gruppo e arrivò poi a sciogliersi, pure a causa dell'allontanamento dei suoi principali membri da Roma. La Pira fu il primo ad andarsene, quando nel 1951 venne eletto Sindaco di Firenze; successivamente anche gli altri presero strade diverse: Dossetti, come già accennato, lasciò il Parlamento nel 1952 e divenne poi sacerdote nel 1959, dopo una breve esperienza come consigliere comunale a Bologna, sollecitato dal Cardinal Lercaro; mentre Lazzati non si ricandidò al termine della prima legislatura, tornando a Milano, all'Università Cattolica, e abbandonando la politica attiva per continuare a fare politica attraverso la cultura e l'educazione. Quindi in certo modo una crisi irreversibile di questa esperienza del tutto originale, anche se resta l'indubbio valore di quella esperienza e di quegli uomini, veri e propri padri della Repubblica, testimoni di una capacità di fare politica con grande umanità, rispetto dell'altro, impegno competente e sobrietà.
E, in effetti, l'eredità ideale dalla Comunità del porcellino si può dire si sia trasferita, in certo modo, ad altri personaggi della stessa tempra, nella generazione successiva di cattolici sensibili al senso alto dell'impegno politico, tanto più nella prospettiva aperta dal Concilio vaticano II: nomi come quelli di Aldo Moro e poi Pietro Scoppola, Leopoldo Elia, Vittorio Bachelet rappresentano – sia pure in contesti diversi e con storie diverse – esempi di interpreti e testimoni nell'impegno culturale e politico in una chiave non dissimile da quella dei primi cattolici democratici formatisi nella fucina della Comunità del porcellino. Si può anche aggiungere che, almeno per certi versi, quell'eredità la si ritrova in successive espressioni organizzate di cattolici democratici, come da un lato è stata l'esperienza di Carta '93 (all'indomani della fine della DC e della ricerca di nuove prospettive di impegno politico, dopo la diaspora) o dall'altra sono oggi associazioni come "Agire politicamente", "Argomenti 2000", "Città dell'uomo e "La rosa bianca"[3].
Considerare le esperienze forti di quel periodo genera sicuramente riflessioni in buona parte amare rispetto alla realtà contemporanea e ai tanti motivi di disagio che emergono osservando anche forme di presenza politica di cattolici incapaci di autonome responsabilità nelle dinamiche politiche in atto. Se ne ricava una lezione utile, che è anche un discrimine per poter valutare oggi l'agire politico serio, per una democrazia di qualità, coerente con i valori costituzionali, che sono per lo più in sostanziale sintonia con i principi del magistero sociale della Chiesa.
L'insegnamento e l'eredità di quella prima esperienza di cattolici democratici porta, in sintesi, a sottolineare una serie di elementi che dovrebbero contraddistinguere la presenza responsabile di un cattolico nella vita pubblica. In primo luogo uno stile di vita sobrio e disinteressato, con un'etica pubblica scevra da ogni tentazione di commistione con interessi privati o particolari. Poi la laicità – che non è laicismo – in spirito di servizio al Paese, con un esplicito riconoscimento del ruolo pubblico che può svolgere un cristiano, fondato sull'esercizio di una responsabilità personale, alimentata da attenzione e riflessione in grado di far meglio discernere le opzioni politiche da operare. Inoltre, una politica intesa come tensione costante al bene comune e a creare condizioni di pari opportunità, ricercando soluzioni capaci di unire, in funzione comunque della giustizia sociale ("se lo Stato non mira alla giustizia diventa una banda di ladri"). Ancora, il metodo del progetto – che implica approfondimento e confronto – , antitetico alla logica di scelte politiche operate in base ai sondaggi o a informazioni fuorvianti o a scorciatoie superficiali: metodo, quello del progetto, tanto più necessario per le grandi questioni da affrontare (v. oggi federalismo non malinteso, lavoro, migrazioni, istruzione, welfare). Infine, importanza imprescindibile dello studio e della competenza anche in funzione dell'obiettivo della mediazione, che in politica non è mera composizione di interessi contrastanti, ma sintesi che valorizza i vari apporti e mira il più possibile ad una condivisione matura.
Dunque, per concludere, un'esperienza interessante e fondativa, quella della Comunità del porcellino. Riflettere sulle ragioni della sua attualità appare più che mai opportuno non tanto per riproporre oggi gli ideali e l'esperienza di quel gruppo di cattolici democratici (è un'esperienza datata e frutto di una stagione irripetibile), quanto perché assai utile per mettere a fuoco due elementi essenziali per un impegno democratico autonomo responsabile dei cristiani laici: da un lato stile e senso di un impegno politico serio, frutto insieme di passione civile e preparazione accurata e disponibilità al confronto; dall'altro riconoscimento dei principi fondativi dello stare insieme in una democrazia pluralista. Il che significa anzitutto dare valore alla Costituzione (che Carlo Azeglio Ciampi ha qualificato come la «Bibbia laica»), certo emendabile ma tendenzialmente punto fermo da difendere e da far conoscere, anzitutto ai giovani, nel periodo della loro formazione alla convivenza civile (ricordando l'ammonimento di Sturzo, che nell'ultimo suo intervento al Senato della Repubblica, il 27 giugno 1957, testualmente ha affermato che «la Costituzione è il fondamento della Repubblica democratica: se cade dal cuore del popolo, se non è rispettata dalle autorità politiche, se non è difesa dal Governo e dal Parlamento, se è manomessa dai partiti, se non entra nella concezione nazionale, anche attraverso l'insegnamento e l'educazione scolastica e post scolastica, verrà a mancare il terreno sodo sul quale sono fabbricate le nostre istituzioni e ancorate le nostre libertà»).
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