Nel corposo Dizionario storico del Movimento cattolico[1], articolato in decine e decine di "voci", non figura, con un'autonoma trattazione, Cattolicesimo democratico (anche se sono presenti, ovviamente, voci come "Movimento cattolico", "Partito popolare", "Democrazia cristiana", ecc.). Non si tratta di una strana dimenticanza dei curatori ma di una scelta di campo che può ancora oggi essere condivisa: il "cattolicesimo democratico", infatti, non è un partito, né un movimento, né un soggetto politico fra gli altri, ma piuttosto una mentalità, una cultura, uno stile di far politica, un modo di intendere il rapporto tra la fede e la storia. Si tratta, dunque, di una realtà difficilmente definibile: in questo caso – forse più che in altri – sono gli uomini concreti (le idee che essi incarnano, i progetti di cui si fanno portatori) che danno concretezza storica a quella complessa e polimorfa categoria concettuale che è appunto il "cattolicesimo democratico".
Gli "antenati"
Le origini del cattolicesimo democratico possono essere fatte risalire, attraverso un'ideale galleria di personalità rappresentative, a quella concitata fase della storia dell'Occidente che accompagnò e seguì la Rivoluzione francese del 1789. Allora, già all'interno dell'Assemblea nazionale (nella quale, almeno agli inizi, significativa era la presenza del clero e dei laici cattolici) si delineò una vera e propria spaccatura fra quanti intendevano conservare, sia pure ammodernandolo, l'ancien régime, e quanti ritenevano invece necessario orientarsi verso lo Stato di diritto e la democrazia, quella democrazia che da poco più di due decenni era stata anche formalmente instaurata negli Stati uniti, anche con il concorso di eminenti personalità francesi, primo fra tutti M.-J. Lafayette, e che alcuni decenni più tardi avrebbe avuto il suo grande interprete nel Tocqueville de La Démocratie en Amérique.
Emersero in questa fase, all'interno del clero più aperto alle innovazioni, coloro che vennero chiamati abbés démocrates, quanti, cioè, ritenevano possibile l'incontro fra i valori del cattolicesimo e i nuovi ideali politici. Questa corrente di pensiero – che alimentò quello che più tardi venne definito "cattolicesimo liberale" – trovò vasti, sia pure elitari, consensi tanto in Francia quanto in Italia (da Montalembert a Ozanam, da Rosmini a Manzoni) e, pur nella grande varietà di posizioni, si caratterizzò per la comune convinzione che fosse ormai conclusa la stagione dei regimi autoritari e che fosse necessario caratterizzare la forma di governo in senso democratico (secondo la famosa formula di Ozanam, occorreva passer aux Barbares). Si trattò comunque, sin dall'inizio di un movimento di pensiero sostanzialmente elitario, seppur non marginale, perché gran parte del mondo cattolico dell'Ottocento rimase legato alle antiche monarchie, nell'ambito di una concezione autoritaria del potere, e restò diffidente nei confronti della modernità, anche nella sua espressione politica. Il cattolicesimo liberale, da questo punto di vista, può essere considerato l'ideale antecedente del cattolicesimo democratico, che tuttavia si affermò circa un secolo dopo, nel mutato contesto dell'Europa del Novecento, e soprattutto dopo la constatazione del drammatico fallimento dei regimi autoritari.
La contrapposizione fra cattolici conservatori, moderati, intransigenti, clericali (per ricorrere alle tradizionali, anche se un poco generiche, definizioni) da una parte e cattolici liberali (e poi cattolici democratici) dall'altra ha rappresentato una costante nella storia del cattolicesimo fra Ottocento e primo Novecento e per certi aspetti è continuata, sia pure in forme diverse, anche nella fase apertasi dopo la fine della seconda guerra mondiale. La distinzione, e talora la contrapposizione, fra cattolici conservatori e cattolici democratici non ha riguardato tuttavia, da allora, l'accettazione o meno del metodo democratico quanto piuttosto la qualità della democrazia: in questo senso la lacerazione che si aprì all'indomani del 1789 non è stata del tutto ricomposta.
Il graduale affermarsi delle posizioni del cattolicesimo liberale – divenuto, nella sostanza, da minoritario maggioritario a conclusione di un percorso secolare in cui punti iniziali e terminali possono essere considerati, in Italia, i Progetti di costituzione redatti da Rosmini attorno al 1848 e la Costituzione repubblicana del 1948 – si è verificato attraverso una serie di tappe che è possibile, in questa sede, ricostruire soltanto a grandi linee.
Un importante punto di svolta è stato rappresentato – dopo le dure contrapposizioni, anche fra cattolici, determinatesi nel secolo successivo ai fatti del 1789 – dalla Rerum novarum di Leone XIII e dall'opera teorica, al magistero leoniano strettamente legata, di Giuseppe Toniolo[2]. Nella linea inaugurata da Papa Pecci lo stesso Toniolo dava alle stampe del 1897 un saggio ben presto divenuto famoso, Il concetto cristiano di democrazia, nel quale la democrazia viene esplicitamente accettata sia pure non in senso politico ma in senso sociale, come «azione benefica a favore del popolo», nella linea, appunto, aperta dell'enciclica leoniana. Nei successivi decenni – nonostante le opposizioni, tacite o esplicite, che la linea di Leone XIII suscitò negli ambienti conservatori[3] – caddero a poco a poco le riserve nei confronti della democrazia politica, sino al finale riconoscimento della democrazia come forma di governo ispirata più di ogni altra ai grandi valori del Cristianesimo da parte di colui che può essere considerato il maggior teorico del cattolicesimo democratico del Novecento, e cioè Jacques Maritain. La "svolta" impressa al rapporto tra Chiesa e modernità avrebbe dato i suoi frutti maturi, mezzo secolo più tardi, in Christianisme et Démocratie, nel quale il filosofo francese sintetizzava una posizione di pensiero che era andata maturando progressivamente appunto a partire dalla Rerum novarum.
Luigi Sturzo e Alcide De Gasperi
Nello specifico contesto italiano, il progressivo affermarsi del cattolicesimo democratico è da ricondursi a due decisive stagioni dell'impegno politico dei cattolici: quella, assai breve, del Partito popolare (1919-1925) e quella, assai più lunga, della Democrazia Cristiana (1943-1992) e a due importanti figure che hanno impresso la loro orma nell'una e nell'altra, e cioè Luigi Sturzo e Alcide De Gasperi[4].
Fondando, il 18 gennaio 1919, il Partito popolare, Sturzo si proponeva dichiaratamente di fare incontrare non tutti i cattolici ma soltanto quelli che schiettamente si riconoscevano nelle istituzioni della democrazia (nonostante fosse ancora pendente la "questione romana") e prendeva dichiaratamente le distanze dai cattolici conservatori, o clericali, nei quali persisteva una radicata diffidenza nei confronti della democrazia politica. Del resto anche nel 1905, in quel discorso pronunziato a Caltagirone che può essere considerato l'incunabolo del nuovo partito, il sacerdote calatino aveva affermato la necessità della distinzione tra i cattolici "sinceramente conservatori" e quelli "sinceramente democratici"[5]: proprio l'atteggiamento assunto nei confronti della forma di governo democratica avrebbe dovuto rappresentare la discriminante fra i cattolici impegnati in politica: soltanto quanti si riconoscevano nelle istituzioni della democrazia avrebbero potuto confluire nel Partito popolare. Di fatto ciò non avvenne perché, dopo il 1919, anche consistenti componenti del conservatorismo e del clericalismo cattolico aderirono al Partito popolare, salvo distaccarsene ben presto (dando luogo alla costituzione del gruppo dei clerico-fascisti) allorché Mussolini assunse con la violenza il potere. La spaccatura del Partito popolare mise in evidenza quanto il riconoscimento della democrazia come forma ottimale di governo rappresentasse una discriminante – per qualche tempo occultata – fra cattolici democratici e cattolici conservatori.
Fu probabilmente quello il momento in cui – in presenza di un regime che apertamente blandiva i cattolici per fini di potere ma che nello stesso tempo esercitava una dura dittatura – più chiara divenne la distinzione, poi in parte smarrita, fra cattolici democratici e cattolici autoritari.
Anche per il particolare contesto storico in cui si trovò ad operare, Sturzo non riuscì nell'impresa di portare almeno la grande maggioranza del cattolicesimo italiano su posizioni democratiche; tale impresa venne invece condotta felicemente a termine da Alcide De Gasperi, che poté avvalersi della drammatica smentita, offerta dal corso degli stessi avvenimenti, data dal regime fascista al sogno, o forse all'illusione, di potere "cristianizzare" uno Stato autoritario apparentemente benevolo (soprattutto dopo il concordato del 1929) verso la Chiesa e le sue istituzioni. La dura lezione della lunga parentesi totalitaria era che, alla fine, una democrazia talora incline a posizioni anticlericali era nel complesso meno pericolosa e più affidabile rispetto alle blandizie dei regimi autoritari. L'amara esperienza del fascismo, l'ignominia delle leggi razziali, la supina acquiescenza del nazismo, i guasti di una guerra fallimentare fecero pendere decisamente la bilancia, soprattutto a partire dal 1943, a favore della democrazia, anche nella più conservatrice componente cattolica. Così quando nel 1943, con la pseudonimo di Spectator, De Gasperi poté dare alle stampe le Idee ricostruttive della democrazia cristiana (preparate con un gruppo di amici nella "lunga vigilia" e già prima circolanti in forma dattilografata tra gli antifascisti cattolici) il terreno era pronto per l'inaugurazione di una nuova stagione di presenza. Le Idee ricostruttive si situarono del resto all'interno di un vasto movimento di pensiero dei cattolici antifascisti, che portò all'elaborazione di una serie di documenti e manifesti, sino alla sintesi conclusiva rappresentata dal "Codice di Camaldoli"[6].
Si può affermare che, dopo il 1943, pur permanendo una componente autoritaria all'interno del cattolicesimo, il rifiuto delle istituzioni democratiche è stato un atteggiamento assolutamente marginale.
Una "mutazione genetica"
In questa prospettiva poteva sembrare che non potesse esservi più posto in Italia per il cattolicesimo democratico, dato che tutti i cattolici erano ormai diventati democratici. Ma proprio a tale riguardo si registrava quella che può essere considerata la "mutazione genetica" di esso: ciò che tendeva a caratterizzarlo non era la pura e semplice accettazione della democrazia (il grande problema dell'Ottocento e di parte del Novecento) ma il modo di essere della democrazia. Sotto questo profilo discriminante diventava l'atteggiamento nei confronti della nuova Costituzione e, soprattutto, della sua attuazione pratica.
All'elaborazione della nuova Costituzione avevano concorso in modo determinante i cattolici democratici, con una felice simbiosi – mediatore De Gasperi – tra il vecchio gruppo popolare e la nuova generazione dei Dossetti e dei Fanfani, dei La Pira e dei Moro. Il consenso sulla Carta entrata in vigore il I gennaio 1948 fu, tra i cattolici – e, sia pure con alcune riserve, negli stessi ambienti ecclesiastici – pressoché unanime. Andavano del resto in questa linea i grandi radiomessaggi degli anni di guerra di un Pio XII che dalla lezione stessa degli avvenimenti (a partire dall'insignificanza pratica dei Concordati del 1929 con l'Italia e del 1933 con la Germania al fine della salvaguardia dei valori fondativi del cattolicesimo) aveva ricavato la convinzione che, nel complesso, i regimi democratici fossero più affidabili di quelli autoritari: ciò che contribuì in modo determinante a rimuovere le residue simpatie autoritarie di parte dell'elettorato cattolico.
Si profilava, tuttavia, una nuova divisione: non più fra cattolici democratici e clerico-fascisti, ma fra cattolici portatori di una diversa visione della democrazia: la stessa Costituzione, da questo punto di vista, era assoggettata a diverse letture. Era riconosciuto pressoché da tutti che il quadro costituzionale rappresentava un felice punto d'incontro fra le diverse culture e offriva sicure garanzie per la tenuta del sistema democratico. Ma quale dovesse essere l'interpretazione da dare alle indicazioni costituzionali era problema aperto, e su questo terreno – quello, appunto, dell'attuazione della Costituzione – si rinnovò la distinzione, se non la contrapposizione, fra le diverse "anime" del cattolicesimo italiano, anche all'interno della Democrazia cristiana.
Su questo sfondo si può affermare che – già nell'ambito della Democrazia cristiana e, ancor più, dopo la sua crisi e la conclusione della sua parabola – i cattolici democratici furono portatori di un progetto che solo in parte coincideva con quello dei gruppi cattolici conservatori; un progetto che tendeva a completare una democrazia formale con una democrazia sostanziale; a garantire più efficacemente la libertà civili per tutti i cittadini; ad avviare un più incisiva azione per rendere effettivo il principio costituzionale dell'eguaglianza; e tutto a ciò a partire da una franca accettazione del principio di laicità, nella distinzione tra sfera politica e sfera religiosa (e con la conseguente presa di distanza dagli antichi ma non del tutto superati clericalismi).
Senza mettere in discussione la "fede democratica" di altri cattolici, il cattolicesimo democratico si faceva promotore, a partire soprattutto dagli anni '70, e sotto l'ideale guida di Aldo Moro, di una leadership prematuramente interrotta dalla barbarie delle Brigate rosse, di un nuovo progetto di società.
Cattolicesimo democratico e "sinistre cattoliche"
Su questo sfondo si pone il problema, per molti aspetti assai complesso, del rapporto fra cattolicesimo democratico e "sinistre cattoliche". Il cattolicesimo democratico può essere considerato semplicemente una delle tante componenti della variegata e fluttuante "sinistra cattolica"? Riteniamo di no, per una serie di ragioni che non è inopportuno a grandi linee esplicitare.
Occorre innanzitutto tenere conto delle origini storiche del cattolicesimo democratico. Esso, come si è avuto modo già di rilevare, affonda le sue radici nel cattolicesimo liberale – in una linea che va da Rosmini a Manzoni a Capograssi – egualmente preoccupato delle libertà civili che della giustizia sociale. Anche per questo il suo rapporto con i partiti della sinistra storica (socialista e comunista) è stato per certi aspetti amicale, ma per altri conflittuale; né vi sono state in essi significative confluenze, quali si determinarono invece per altri gruppi della sinistra cristiana.
In secondo luogo il cattolicesimo democratico ha sempre preso le distanze dalle sinistre "puramente sociali": Sturzo da Murri; De Gasperi da Miglioli e dai "cattolici comunisti" di Rodano; Moro dai "cattolici di sinistra" che accettarono di candidarsi, sia pure come indipendenti, nelle liste del Partito comunista. Il cattolicesimo democratico ha costantemente cercato l'incontro e la collaborazione con le varie sinistre, ma sempre nella distinzione e nella rivendicazione della propria autonomia. In questo senso il cattolicesimo democratico, pur orientato a sinistra e aperto al dialogo con le sue varie componenti, non può essere considerato una semplice componente della sinistra italiana in quanto ha avuto e mantiene ancora oggi una sua originale posizione di pensiero, per una marcata attenzione alle libertà civili che non appartiene alla storia della tradizionale sinistra italiana.
Infine, il cattolicesimo democratico non può essere semplicemente ridotto alla continuazione, in altre forme – e nonostante il fatto che alcune sua importanti personalità siano provenute da questa esperienza – della pur importante e significativa esperienza del "dossettismo"[7]. Al di là della banale, seppur ricorrente, accusa di "integralismo cattolico" mossa al gruppo che fra il 1947 e il 1951 si identificò con la rivista "Cronache sociali", il cenacolo riunitosi attorno a Giuseppe Dossetti si caratterizzava per uno stretto legame intercorrente tra impegno politico e impegno religioso: non a caso Dossetti riteneva la "riforma della Chiesa" non meno importante della "riforma dello Stato", perché la seconda non avrebbe potuto realmente realizzarsi senza la prima. Indubbiamente, la sensibilità religiosa e la preoccupazione per un'autentica laicità è ben presente nell'esperienza del cattolicesimo democratico, ma in forme assai diverse da quelle a suo tempo elaborate dallo statista reggiano. Il "dossettismo", dunque, non è puramente e semplicemente il punto di partenza del cattolicesimo democratico; ne è stato semmai il luogo d'incubazione, il clima all'interno del quale si sono formati alcuni esponenti del successivo corso di pensiero.
Ieri ed oggi
L'attuale cattolicesimo democratico può essere dunque considerato insieme come l'erede di un'antica tradizione e come un elemento di novità nella storia del "cattolicesimo politico" italiano, non è riconducibile, come si è rilevato, ad una "corrente" della Democrazia cristiana sopravvissuta al suo scioglimento e nemmeno rappresenta la riproposizione, in altra prospettiva, del "dossettismo". Ma di quale "oggetto" si tratta?
A partire dagli anni '70 del Novecento il cattolicesimo democratico si è di fatto identificato nella "Lega democratica" di Ardigò, Elia, Paola Gaiotti, Gorrieri, Ruffilli, Scoppola e di un folto gruppo di intellettuali cattolici preoccupati insieme della crisi della Democrazia cristiana e di quella di sistema politico italiano[8]. Senza pretesa alcuna di bollare come "antidemocratici" quanti si pongono su diverse sponde ed optano per diversi sistemi di alleanze, i cattolici che hanno condotto quell'esperienza hanno svolto un importante compito di elaborazione culturale che ha lasciato tracce non marginali sul successivo corso della storia politica. Ma quell'esperienza si è in parte esaurita e il cattolicesimo democratico fatica a riproporsi come proposta complessiva – e non come apporto di singoli intellettuali – per il futuro di una democrazia a rischio, come è ormai quella italiana.
In questo senso quella del cattolicesimo democratico si presenta ancora oggi come una proposta connotata nel senso della costruzione di una società più libera, più aperta, sanamente laica, preoccupata tanto degli istituti quanto dei contenuti sociali della democrazia, ispirata in profondità, senza tentazioni egemoniche, dai valori evangelici. È una proposta in qualche modo elitaria e talora (non senza un pizzico di civetteria intellettuale), "di nicchia", non amante delle luci dei riflettori e degli scenari televisivi, ma preoccupata di un lavoro culturale dei base capace di coinvolgere sempre più le giovani generazioni e di prepararle a dotare di senso un sistema politico altrimenti destinato ad essere, se non travolto, certo svuotato da un conformismo mass-mediatico che rischia di trasformare le istituzioni democratiche in una sorta di guscio vuoto. In questo senso i "cattolici democratici" intendono essere portatori di un grande progetto di umanizzazione della politica.