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‘Conoscersi è meravigliarsi’

ERMIRA SHABANI
Articolo pubblicato nella sezione Capire i conflitti, praticare la pace. L’esperienza di "Rondine": Serbia e Kosovo.

Secondo la teoria di Allport, Teoria del contatto sociale, il contatto interpersonale è uno tra i metodi migliori per la diminuzione dei pregiudizi tra la maggioranza e la minoranza quando sono in conflitto tra di loro. Quando le persone sono in contatto si sentono capaci di comprendere ed accettare i punti di vista altrui, così come sono. Quando si scende a questo livello, i pregiudizi iniziano a diminuire. Serve del tempo affinché tutto il processo ci dia un esito positivo, perché quando la persona affronta una situazione di contatto con quello con cui era o è in conflitto, ha bisogno di trovare se stesso e la predisposizione al confronto con l’altro (nemico/avversario).
Rondine Cittadella Della Pace è un’associazione che accoglie giovani che provengono dai paesi in conflitto. Per molti giovani provenienti da questa situazione, il contatto con l’altra parte è proibito anche fisicamente nei loro paesi, e tutti in generale siamo limitati dai pregiudizi che abbiamo nei confronti dell’altra parte. Gli studenti rimangono nello Studentato Internazionale da 2 fino a 4 anni, in base agli studi che ognuno fa, master o laurea. Durante questo periodo si fanno diverse attività e si trova l’interazione reciproca. Questo periodo di conoscenza si potrebbe descrivere attraverso il dipinto di Picasso, “Sylvette”, in cui il pittore ha presentato i tre lati del viso della donna, davanti, di fianco e dietro; occhi che imparano a vedere un “totalità” del genere, un’onnicomprensività della persona.
Il primo confronto contiene una sola parola, “nemico” e quando ognuno di noi si trova da solo con questa parola, inizia a provare la paura di essere nemico di qualcuno e di sentire come nemico qualcuno! La forza della parola nella nostra mente inizia a fluttuare, la sua dimensione inizia a ridursi, questa “entità” così grande cade poco a poco e inizia a prendere la forma di una persona, una persona con cui tu condividi la classe, la tavola e gli spazi comuni. La saluti e basta, all’inizio non si va oltre. Questo è il primo impatto per uno che proviene da un paese dove il dolore della guerra sembra aver distrutto la speranza nella pace, come me che vengo dal Kosovo. Questo è il primo contatto quando tu rimani statico a distanza ed è l’ambiente quello che ti dà dei segnali. E nella mente vaga la domanda: “Vuoi continuare a tenere la pietra che pesa nelle tue mani o vuoi lasciarla per terra?” La responsabilità per qualunque scelta che tu faccia, cadrà su di te!
Quando iniziamo a sederci più spesso insieme intorno ad un tavolo, sopra i piatti passano vari argomenti e uno dopo l’altro ti aiutano a comprendere e conoscere l’altro nei suoi diversi strati e lo starsi di fronte aiuta a spogliarsi dai pregiudizi: un processo reciproco! Condividere la sala dove si mangia, il tavolo e altri spazi comuni a Rondine è obbligatorio, però non è obbligatorio bere il caffè insieme sullo stesso tavolo, condividere il tempo libero; questo rimane una tua scelta e poi, se prima sopra i piatti passavano argomenti generali che ti fanno conoscere l’altro negli aspetti generali, con un tazza di caffè si diventa lo studente che condivide pensieri con l’altro studente, che condivide storie, preoccupazioni, con quella persona che la Storia ha definito come il “nemico”.
Può succedere che nella mattinata fuori dalla finestra della tua camera senti la musica “del nemico”, al pomeriggio senti parlare la sua lingua e l’indomani c’è la sua festa, a cui tutta la comunità studentesca partecipa e se manchi alla festa è come se venisse a mancare il pezzo per completare il puzzle... Okay! Decidi di andare ma te ne stai in disparte; ma se qualcuno ti tende la mano ti metti a ballare nella sua festa. E con un sentimento di colpa chiedi a te stesso, questa è umiliazione di fronte all’altro?
Pian piano il circolo degli argomenti diminuisce e ci si trova davanti all’argomento che suscita dolore, paura e ansia, il conflitto! Quando la guerra tocca ancora fisicamente e mentalmente uno dei nostri Paesi, vuol dire che il dolore ancora continua, il processo di pace rimane nella coscienza e, quando tutto si fermerà, la coscienza, l’esperienza passata servirà da lezione e da lì verrà fuori la soluzione. Quando la guerra rimane ormai nella memoria, il dolore diventa un elemento che trovi nei ricordi, e se i ricordi sono forti, il dolore è pesante, e più è pesante, più ti fa apprezzare il valore della pace. Tramite tanti confronti, uno trova l’altro anche qui, ma non più attraverso una tazza di caffè, ma attraverso il dolore passato, attraverso il dolore del presente e attraverso la paura: siamo ad un processo di rispecchiamento. E quando si decide di fare il primo passo, si capisce che non era e non è un’umiliazione, ma è l’accettazione dell’altro con le sue somiglianze e le sue diversità e il suo punto di vista, non è e non era colpa, ma voglia di esprimersi e non venir giudicato; fare questo passo vuole dire continuare a tenere la pietra quando pesa più di prima, vuol dire vedere in una figura i tre lati e la totalità di una persona simultaneamente. Così l’“entità” si riduce e si pensa come una persona che incontra un’altra persona.



Ermira Shabani

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