Premessa
In un recente discorso tenuto nel corso di un importante seminario svoltosi a Pechino alla fine di settembre 2012, il Vice-governatore della Banca centrale cinese ha sottolineato (come riportato in www.pbc.gov.cn) come la frenata dell’economia cinese rappresenti un effetto auspicabile delle recenti politiche macroeconomiche. Poche settimane prima, al World Economic Forum’s Annual Meeting of the New Champions – il più importante evento della comunità d’affari asiatica, conosciuto come la «Davos estiva» – il Premier cinese Wen Jiabao aveva riconosciuto i problemi legati al rallentamento economico ma allo stesso tempo aveva difeso con forza la politica economica portata avanti negli anni precedenti, sottolineando altresì come Pechino fosse in grado di stabilizzare la crescita su alti livelli anche se inevitabilmente al di sotto di quelli segnati negli anni precedenti.
I discorsi succitati fanno chiaramente riferimento all’andamento della crescita economica cinese, in calo da molti trimestri e attestatasi sul + 7,4% secondo i recenti dati relativi al terzo trimestre del 2012. È opinione condivisa che la frenata dell’economia cinese sia dovuta innanzitutto alla crisi del debito pubblico nell’Eurozona e alle difficoltà insite nella ripresa statunitense; tuttavia, non pochi osservatori collegano esplicitamente le difficoltà alle incertezze del quadro politico, segnato dal prossimo (novembre 2012) Congresso nazionale del Partito comunista cinese, dal dibattito in corso ai vertici politici ed economici cinesi tra i fautori di una crescita sostenuta e con pochi freni e i sostenitori (e tra questi la People’s Bank of China) di misure che concilino crescita economica e contenimento dell’inflazione, nonché dall’affare Bo Xilai.
Nei paragrafi che seguono si cercherà di mettere in luce alcuni aspetti e problemi relativi all’impatto della crisi economica internazionale sulla strategia a breve e medio termine della Cina, finalizzata a mantenere e consolidare quella stabilità politica che rappresenta un perno fondamentale, assieme alla crescita economica, per il mantenimento del potere da parte del Partito comunista cinese.
La crisi finanziaria globale e il rallentamento dell’economia cinese
Nel momento in cui si avvicina il prossimo Congresso nazionale del Pcc (il diciottesimo dalla fondazione del partito nel 1921) e il conseguente rinnovamento della leadership cinese, appare sempre più evidente – come già sottolineato sopra – come il vertice del partito sia unanimemente consapevole del fatto che il rallentamento economico è un elemento di cui prendere atto anche in prospettiva e come sia necessario rivedere il modello di crescita (o quantomeno alcuni aspetti importanti di esso) che ha accompagnato nel quinquennio precedente il percorso della Cina sotto la guida di Hu Jintao e Wen Jiabao.
A parere degli esperti dell’autorevole Centro di ricerche sullo sviluppo (in inglese Drc/Development Research Center), che dipende dal Governo cinese e che rappresenta uno dei più importanti organismi di studio e di consultazione per i vertici del paese sui temi della politica economica interna ed internazionale, la transizione da una crescita veloce ad una più moderata non è necessariamente un elemento negativo: essa è il segnale dell’esigenza di passare da una fase in cui la crescita è stata trainata da fattori di produzione a basso costo ad una in cui l’elemento trainante deve essere l’innovazione (Dong-Chen 2012).
A parere del Vicepresidente della Commissione economia e finanze dell’Assemblea nazionale popolare, l’importante è agire in modo non affrettato: nelle condizioni attuali, è impossibile ed impensabile prevedere un altro robusto pacchetto di incentivi alla crescita come si fece nel 2008-2009 al fine di contrastare la crisi finanziaria globale. Occorre invece procedere ad una riduzione strutturale della tassazione sulle imprese in modo da consentire loro di accrescere i profitti, guidare il sistema bancario a servire con più efficacia l’economia, trasformare il modello di crescita non mirando esclusivamente all’incremento del prodotto interno lordo, e porre i problemi e le esigenze della gente al centro dell’attenzione (He Keng 2012).
In effetti – come sottolineano gli stessi esperti cinesi ‒ il massiccio programma di incentivi messo in atto nel 2008-2009 ha creato eccessi di capacità produttiva in 21 settori industriali, ampie scorte, riduzione dell’efficienza degli investimenti, crescenti costi ambientali e accumulo del debito dei governi locali (Naughton 2012b, p. 2).
Proprio l’incremento del debito dei governi locali costituisce uno dei nodi chiave del problema. Infatti, è evidente che sul piano generale gli interessi dei poteri locali divergono sostanzialmente da quelli del potere centrale: essi infatti mirano a rafforzare ulteriormente la situazione economica in loco attraendo maggiori investimenti. Come è stato sottolineato, nel momento in cui negli ultimi mesi si susseguivano le dichiarazioni delle autorità centrali contro qualsiasi ipotesi di un nuovo massiccio programma di stimoli alla crescita, numerosi governi locali hanno al contrario annunciato l’avvio di un nuovo, consistente piano di investimenti. Ovviamente, si tratta di annunci che devono poi misurarsi concretamente con l’effettiva disponibilità di fondi oppure di investimenti spalmati su più anni: e tuttavia, appare chiaro che le ambizioni del centro e della periferia per molti aspetti non coincidono o addirittura divergono (Naughton 2012b).
Se nel breve periodo il rallentamento dell’economia è visto a Pechino – come indicato sopra – nel segno della preoccupazione ma anche della inevitabilità (cfr. al riguardo anche “Quarterly Chronicle and Documentation”, in The China Quarterly, June 2012, pp. 544-548), nel medio-lungo periodo è assai difficile stabilire se tale rallentamento segna o meno la fine definitiva del miracolo cinese protrattosi per circa 3 decenni.
A partire dagli anni Ottanta, la crescita economica in Cina è stata straordinariamente alta e continua, facendo seguito ai miracoli del Giappone negli anni Cinquanta e Sessanta e a quelli di Taiwan, della Corea e di numerose altre economie nel mondo nei decenni successivi. Se da una parte è vero che di norma ogni periodo di straordinaria e persistente crescita ha un termine, dall’altra è evidente che gli studi condotti sulle diverse esperienze storiche di miracoli economici non offrono risposte certe, sia nel senso di una conferma che anche la Cina è giunta ormai ad un momento di svolta sia nel senso di una messa in dubbio che la Cina sia inevitabilmente arrivata ad un picco di crescita proprio in questi anni (Naughton 2012a; Eichengreen-Park-Shin 2011).
Lo stesso Piano quinquennale (2011-2015) per lo sviluppo economico e sociale, approvato nella primavera del 2011 dall’Assemblea nazionale popolare, andrà molto probabilmente ritoccato e riadattato. Esso confermava tra l’altro la svolta maturata nel corso degli anni del passaggio da una pianificazione tradizionale altamente centralizzata ad una di guida ed orientamento, sottolineava ‒ per quanto concerne gli obiettivi ‒ l’esistenza di elementi di diversità ma anche di continuità tra vecchio e nuovo piano quinquennale, ed enfatizzava infine tra le sfide da affrontare quella giovanile. In particolare, nel Piano veniva segnalato con forza il problema della percezione tra un numero crescente di giovani della diseguaglianza esistente nelle opportunità di accesso al sistema educativo e formativo, soprattutto superiore ed universitario, e veniva sottolineata l’importanza di fornire ad un numero assai più alto di studenti cinesi la possibilità di usufruire nel loro paese, invece che all’estero, di una istruzione adeguata e di qualità (per la traduzione inglese del Piano, si veda http://www.xinhuanet.com/english/home.htm).
Incertezze economiche e ricambio politico: il Pcc dalla ‘quarta’ alla ‘quinta’ generazione
Tra l’autunno del 2012 e la primavera del 2013 si formalizzerà il passaggio dalla cosiddetta quarta alla quinta generazione della leadership cinese. Tale passaggio avrà la sua sanzione ufficiale attraverso, rispettivamente, i lavori del diciottesimo Congresso nazionale del Pcc, che porteranno ad un presumibile ampio ricambio nella dirigenza del partito, e della nuova Assemblea nazionale popolare, che sfocerà nella definizione del nuovo assetto del potere statuale (la stessa Anp, il governo, la commissione militare centrale che sovrintende gli indirizzi politici delle forze armate, ecc.).
Lo Statuto del Pcc prescrive infatti che il Congresso nazionale si tenga ogni cinque anni: un dato che è stato rispettato rigorosamente sin dal 1982 (il primo congresso di partito dell’era di Deng Xiaoping e il secondo congresso successivo alla morte di Mao Zedong nel 1976), ma che in precedenza era stato largamente disatteso. Il rispetto delle norme dello Statuto circa la convocazione dei congressi di partito è rappresentativo in realtà di una tendenza più ampia finalizzata al consolidamento del processo di istituzionalizzazione: una tendenza che mira ad evitare i problemi e le distorsioni degli anni del maoismo (aspre lotte per la successione, con deleteri effetti sulla stabilità politica) nonché alcuni limiti nell’azione di Deng Xiaoping negli anni Ottanta e Novanta (pur convinto della necessità di consolidare il processo di istituzionalizzazione, Deng incontrò non pochi problemi e difficoltà).
Benché la vita politica del partito abbia raggiunto un solido grado di istituzionalizzazione e l’informazione sulle scelte della futura leadership abbia compiuto notevoli passi in avanti rispetto a pochi decenni fa, è indubbio che vi sia ancora in Cina al riguardo una insufficiente trasparenza ed una evidente opacità.
L’attuale sistema prevede che i membri del Politburo ‒ ossia l’organismo chiave per quanto riguarda il processo decisionale, attualmente composto da 25 membri (nel suo ambito, il Politburo ha un nucleo dirigente, chiamato Comitato permanente, composto dai 9 dirigenti più importanti) – debbano lasciare l’incarico al compimento del 68° anno di età. In base a tale norma, almeno 14 degli attuali 25 membri del Politburo e 7 degli attuali 9 membri del suo Comitato permanente dovrebbero lasciare il passo, tra cui il segretario generale uscente, Hu Jintao (nato nel 1942) e il primo ministro Wen Jiabao (nato nel 1942) (Miller 2012).
I nuovi dirigenti dovrebbero essere Xi Jinping (futuro segretario del partito, nato nel 1953, sul cui stato di salute si sono tuttavia intrecciate numerose ipotesi nel settembre 2012), Li Keqiang (futuro primo ministro, nato nel 1955) ed un consistente gruppo di leaders sessantenni parte dei quali fa già parte dell’attuale Politburo.
La nuova dirigenza che dovrebbe salire al potere nei prossimi mesi sembra confermare la tendenza, ormai consolidata, a portare al vertice del partito (e dello stato) personalità in possesso di un alto livello educativo. Tuttavia, rispetto al gruppo dirigente che ha guidato la Cina negli ultimi cinque anni, il quale era formato prevalentemente da membri in possesso di laurea o titolo superiore nel campo dell’ingegneria e delle scienze, i nuovi potenziali leaders presentano un ventaglio educativo più ampio, che va dall’ingegneria all’economia e management alla politica economica sino alla storia (Cheng Li 2012a, 2012b e 2012c).
Il sistema avviato negli anni Ottanta da Deng Xiaoping, e via via rimodellato e rafforzato, di rinnovo periodico della leadership collettiva è stato messo in atto al fine di garantire una sostanziale stabilità politica, prevenire una pericolosa personalizzazione ed ossificazione del potere e ridurre al minimo l’impatto del ricambio politico e generazionale sull’economia e la società. Se nei sistemi politici di molti grandi paesi le tensioni e le contraddizioni politiche e strategiche sui grandi temi della governance tendono a sfociare in genere nella dialettica e nello scontro tra governo ed opposizione/opposizioni, nel caso della Cina la situazione è assai diversa. Infatti, un partito comunista come quello cinese – che rappresenta l’unico potere decisionale effettivo, conta oltre 80 milioni di iscritti ed è strutturato secondo una complessa organizzazione che si estende dal centro alle province e giù sino ai villaggi e quartieri, base della vita popolare – vede inevitabilmente riflettersi al suo interno (leaders, gruppi di interesse, dirigenti centrali e locali, ecc) tali tensioni e contraddizioni, creando una commistione complessa ma anche potenzialmente rischiosa tra interessi del partito, da una parte, e dello stato, dell’economia e della società dall’altra (Dillon 2012; Dotson 2012).
In tal senso, la grave crisi politica che ha investito nei mesi scorsi il Pcc non può essere meramente considerata un fatto interno, in particolare considerando la forte sensibilità popolare per i fenomeni di corruzione, disonestà e abuso di potere esistenti nel partito e nel paese. Come è noto, tali fenomeni sono una delle priorità nella lotta condotta nel corso degli anni dalla leadership comunista per una Cina più giusta e migliore; e tuttavia, è altrettanto evidente che essi sono difficili da sconfiggere in particolare in quanto radicati nel cuore stesso del paese, dove funzionari del partito, delle amministrazioni e della stessa polizia sono stati coinvolti in numerosi episodi in cui sono emersi gravi intrecci con gli interessi di gruppi economici e d’affari locali.
Il caso Bo Xilai ‒ che ha coinvolto a partire dagli inizi del 2012 il potente ex segretario di partito della municipalità di Chongqing, la moglie e altre figure tra cui un uomo d’affari britannico – ha avuto ed avrà certamente un importante impatto sulla vita politica del Pcc, almeno sino allo svolgimento del Congresso nazionale.
Esso non può essere meramente considerato come uno dei tanti segni dei fenomeni di corruzione, disonestà ed abuso sopra citati, ma va analizzato in tutta la sua gravità e complessità. Innanzitutto, Bo Xilai era portatore di un programma politico, imperniato su priorità quali la lotta al crimine organizzato e lo sviluppo dell’edilizia popolare; in secondo luogo, tale programma godeva di indubbi consensi tra la gente, anche se è in effetti difficile misurarne l’effettivo impatto populistico; in terzo luogo, Bo probabilmente aveva tentato di influire – pur dalla base periferica di Chongqing – sull’agenda politica nazionale attraverso un’azione aperta – invece che, come spesso avviene, esclusivamente dietro le quinte – in cui si mescolavano rapporti interni all’elite con il sostegno popolare alle sue iniziative e un’ideologia che trovava raccordi con gli obiettivi della cosiddetta Nuova sinistra, impegnata da anni nella lotta contro le diseguaglianze sociali, la corruzione e l’alienazione della popolazione dall’elite politica. Peraltro, va sottolineato come Bo Xilai, nato nel 1949 e attuale membro del Politburo, aveva nel prossimo congresso del partito l’ultima possibilità di giungere ai vertici del sistema di potere (Fewsmith 2012; sull’emergere della ‘Nuova sinistra’, si veda Fewsmith 2008).
Conclusioni. Il futuro della Cina e Alexis de Tocqueville
Come sottolineato sopra, i prossimi mesi a cavallo tra la fine del 2012 e la prima parte del 2013 rappresenteranno un passaggio chiave per meglio comprendere l’ampiezza e la qualità del rinnovamento del gruppo dirigente del Pcc (e di riflesso della Cina), la via maestra che la nuova leadership vorrà percorrere tra continuità e discontinuità, gli orientamenti della politica economica e finanziaria nazionale alla luce del tendenziale rallentamento della crescita interna e del perdurare della crisi mondiale.
Sullo sfondo permane il dibattito, teorico ma con evidenti riflessi concreti, tra coloro che sostanzialmente ritengono il processo rivoluzionario un dato del passato, magari anche non necessario (i cosiddetti «liberali») e coloro che al contrario ritengono che la difesa dei valori socialisti – antitetici a quelli capitalistici – debba restare un perno del sistema oggi e in futuro. La critica di questi ultimi alle «tendenze neo-liberiste» non ha risparmiato lo stesso Premier Wen Jiabao, rilanciando alcuni virulenti attacchi portati in particolar modo dal sito web Utopia. A sua volta Wen – riferendosi pur indirettamente al caso Bo Xilai e alle tesi della Nuova sinistra - ha ammonito sul fatto che solo una piena riforma politica potrà garantire che i successi economici possano restare solidi e stabili anche in futuro e ha enfatizzato come certe perniciose influenze che furono alla base della Rivoluzione Culturale non sono affatto del tutto debellate e potrebbero anche ritrovare nuovo slancio e rinnovato vigore (Fewsmith 2012, pp. 3, 5).
Negli ultimi tempi, anche il fantasma di Alexis de Tocqueville ha contribuito – curiosamente – a ravvivare ulteriormente il dibattito politico-culturale.
Come è noto Alexis de Tocqueville (1805-1859), considerato uno dei principali storici e pensatori liberali, attraverso i suoi scritti indagò sulla democrazia moderna e sui suoi possibili sviluppi e cercò di indicare dei rimedi alla possibile evoluzione dispotica della democrazia.
L’attenzione in Cina per il pensiero di Tocqueville, ed in particolare per i suoi celebri scritti De la démocratie en Amérique del 1835-40 e L’Ancien Régime et la Révolution del 1856, muove dalla riflessione sul fatto se le profonde riforme introdotte negli ultimi decenni, accompagnate tuttavia dall’assenza o quasi di riforme politiche e da un’estesa corruzione, possano condurre potenzialmente la Cina verso uno sbocco rivoluzionario che travolga il potere costituito. La società assolutista – si sostiene – ha in sé la potenzialità di una futura rivoluzione e di una futura democrazia; e i grandi processi rivoluzionari – si mette ancora in luce, ispirandosi allo studioso francese – non necessariamente avvengono durante i periodi di povertà ma anche nelle fasi di sviluppo economico in cui vi sono forti discrepanze di reddito. E ci si domanda ancora se il Partito comunista cinese sarà ancora in grado in futuro, come è stato sinora, di conservare quelle capacità di «autoritarismo flessibile» che gli hanno consentito di mantenere sostanzialmente il potere (Cheng Li 2012d; Li-Pansey 2012; Pond 2012 ).
Naturalmente la Cina del XXI secolo non è la Francia del XIX secolo. E tuttavia, come è stato sottolineato: «Non c’è dubbio che gli standard di vita del popolo sono molto superiori a quelli di 30 anni fa; e tuttavia, lo scontento popolare non è mai stato così forte» (Fewsmith 2012b, p. 2).
Elenco delle abbreviazioni
Anp (Assemblea nazionale popolare: organo supremo del potere legislativo in Cina)
Pcc (Partito comunista cinese)
Bibliografia
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