Un tentativo onesto di spiegare al pubblico in che modo la scienza può contribuire alla costruzione di una società migliore, non può ignorare che gli ascoltatori sono probabilmente informati, non sempre in maniera corretta, anche delle devianze degli scienziati, dei loro errori e dei danni provocati dalla cattiva condotta di pochi. Occorre quindi verificare e, se possibile, accrescere la fiducia nella scienza riconoscendo i limiti degli addetti, correggendo le notizie deformate dal sensazionalismo e informando sui meccanismi di difesa con cui la comunità scientifica tutela la propria credibilità e smaschera le cosiddette "frodi". Un caso di sospetta frode che di recente ha suscitato clamore, anche sui giornali italiani[1], è quello sui dati climatici. Nella giornata di martedì 17 novembre 2009, il server della Climate Research Unit (CRU) dell'Università East Anglia di Norwich (UK), "covo" di scienziati sostenitori delle responsabilità umane sui cambiamenti climatici, è stato oggetto di un attacco di pirateria informatica e oltre un migliaio di e-mail inviate dai ricercatori o da loro ricevute sono state abusivamente scaricate. Insieme a queste, hanno fatto la stessa fine i dati delle stazioni meteorologiche alla base delle ricerche inerenti il riscaldamento terrestre. Nei contenuti e nei toni delle e-mail, presto diffuse in tutto il mondo, non pochi hanno ravvisato tentativi, anche maldestri, di falsificazione dei dati climatici per renderli coerenti con il fenomeno del "riscaldamento globale". Ne è nato un vero proprio scandalo (il climategate), che la stampa mondiale ha amplificato, trovando terreno più che mai ricettivo visto l'imminente vertice di Copenaghen dedicato al clima. La conclusione dei lavori della Commissione indipendente d'inchiesta è prevista per fine primavera 2010. Si vedrà se i sospetti di frode hanno un fondamento oppure se si tratta solamente di malintesi, abuso di espressioni rozze o insana competitività. Certo, il chiarimento appare indispensabile a chi ha a cuore l'immagine stessa della scienza, un po' deteriorata anche in Italia, visti i risultati di un sondaggio pubblicato dall'ultimo Annuario Scienza e Società[2], riferiti a campioni di 998 intervistati (2007) e 996 intervistati (2008). Le opinioni espresse sono articolate e ambivalenti. Se nel 2008 il 63% degli interpellati si dichiarava molto o abbastanza d'accordo sul fatto che i benefici della scienza sono maggiori dei possibili effetti negativi (60,2% nel 2007), il 54,6% si dichiarava altrettanto d'accordo sul fatto che ormai gli scienziati pensano solo a far soldi (52,7 nel 2007). Se a ciò si aggiungono le preoccupazioni etiche, visto il che il 46,8% degli intervistati 2008 si dichiarava molto o abbastanza d'accordo sul fatto che scienza e tecnologia minacciano i nostri valori, non c'è dubbio che la comunità scientifica, nel suo complesso, debba fermarsi a riflettere. Si può appunto partire dalle frodi, ricordando che, per frode, s'intende un inganno diretto a ledere un diritto altrui, oppure un artifizio o astuzia malvagia con cui si sorprende l'altrui buona fede. La nostra vita quotidiana pullula, purtroppo, di casi più o meno rilevanti di frodi riuscite o tentate, cosicché pare affievolirsi la percezione del fenomeno e la ripugnanza verso la frode. Se le frodi scientifiche, a differenza di altre, destano tuttora tanto clamore, può darsi che ciò dipenda dal fatto che la scienza, secondo il comune sentire, è un'attività dello spirito umano che fin dal suo sorgere ha sempre mirato alla "verità". Benché questa non sia confrontabile con quella cui si tende in altri ambiti (religioso, spirituale, estetico, storico o artistico) e non appoggi sull'accettazione permanente di una qualsiasi delle sue parti, si sa che ha i suoi fondamenti nella coerenza e nell'oggettività[3]. L'amore genuino della verità è stato, secondo Charles Sanders Pierce (1839-1914), fondatore del pragmatismo, il più importante fattore morale che ha dato vita al metodo della scienza moderna. L'amore per la verità non è tuttavia l'unico motore dell'impresa scientifica e la natura umana vuole la sua parte. Così, secondo R.G. Newton, «gli scienziati [...] sono spesso odiosamente competitivi l'uno con l'altro, e la loro ricerca della verità è talora indistinguibile da una corsa al primo posto». Anche per questo, forse, la comunità scientifica si è data, fin dagli esordi, un sistema di regole comportamentali riconosciute da tutti. È noto che i mezzi per comunicare i risultati scientifici erano inizialmente le lettere e le discussioni informali, poi diventarono gli articoli su riviste. Agli articoli si affiancano oggi i convegni specializzati e la rete. Gli articoli sono redatti secondo uno schema convenzionale, familiare a ogni addetto. Per decidere la validità di un articolo scientifico, ammetterlo alla stampa e difendersi dalle frodi, si era imposto a metà del secolo XVIII un metodo basato sul giudizio di esperti di pari competenza e teoricamente imparziali, i cosiddetti referees, che si usa tuttora (peer review). Purtroppo, allora come ora, la valutazione tra pari non poteva garantire l'assenza d'imbrogli, di vario genere ed entità. Ma il bisogno di difendersi dalle frodi non era (e non è) l'unica esigenza etica della ricerca scientifica. Le regole di condotta, seppure non formalizzate, furono implicitamente riconosciute, trasmesse e osservate dalla maggior parte degli studiosi fin dai tempi di Boyle. La formalizzazione si ebbe in coincidenza con il fiorire dell'interesse per la sociologia della scienza, intorno alla metà del Novecento. Fu Robert Merton (Filadelfia, 1910–New York, 2003), considerato il fondatore della disciplina, a farlo, nel 1942, in un articolo di portata storica: A Note on Science and Democracy[4].
In quell'articolo, Merton affermò che l'ethos della scienza moderna comprendeva quattro imperativi: universalismo, comunitarismo, disinteresse e scetticismo organizzato. Più tardi, insieme ai suoi allievi, aggiunse l'originalità, da cui l'acronimo CUDOS e poi l'umiltà (humility), da cui CUDOSH. Il comunitarismo implica che la scienza sia conoscenza pubblica e che non esista la "proprietà scientifica" personale. Le scoperte scientifiche dovrebbero essere comunicate immediatamente alla comunità degli scienziati, per renderle fruibili a chiunque. La segretezza non può essere invocata o aver credito nel discorso scientifico. La disonestà non è ammessa, la fiducia nelle persone è la norma. Gli scienziati accademici non possono rivendicare compensi per la citazione della loro opera. L'universalismo implica che i contributi scientifici vengano valutati esclusivamente sulla base del merito senza tener conto della razza, nazionalità, religione, stato sociale, genere o altre caratteristiche di chi li ha prodotti. Non è ammessa ambiguità nella descrizione dei "fatti" empirici e le teorie per interpretarli devono essere consensuali. Per operare con disinteresse, gli scienziati dovrebbero intraprendere le loro ricerche e presentare i loro risultati non avendo altra motivazione che il progresso della conoscenza. Lo scetticismo porta lo scienziato a non accettare niente solo sulla fiducia. La conoscenza scientifica, nuova o vecchia che sia, dovrebbe essere vagliata di continuo alla ricerca di errori o incoerenze. L'originalità tiene conto del fatto che la scienza va alla scoperta dell'ignoto, perciò una ricerca che non aggiunga niente di nuovo a quanto era già ben noto e compreso non dà alcun contributo alla scienza stessa. Per apprezzare il valore delle riflessioni di Merton, occorre ricordare che esse apparvero in piena Seconda guerra mondiale, quando parlare di universalismo significava affermare il contrario di ciò che il nazifascismo imponeva con sue leggi sciagurate. Detto ciò, sarebbe ingenuo ritenere che nella cosiddetta era post-accademica della scienza, laddove la ricerca è finanziata non con fondi pubblici ma con quelli privati, possa valere il principio del comunitarismo e della mancanza di segretezza. La discussione sulle regole mertoniane e sul loro adeguamento alla contemporaneità è in pieno svolgimento e chissà se finirà mai, ma l'esigenza permane.
Per quanto riguarda le frodi, va detto che il primo scienziato che ne tentò una classificazione fu Charles Babbage (Londra, 1791–1871). Viene ricordato come matematico ma, soprattutto, come padre del moderno calcolatore programmabile. Le sue opere e la sua autobiografia, tradotta anche in italiano[5], rivelano interessi multiformi, ben oltre la matematica. Due anni dopo aver conquistato la cattedra di matematica a Cambridge pubblicò, nel 1830, le Riflessioni sul declino della scienza in Inghilterra e su alcune delle sue cause[6]. Spirito polemico e riformatore, Babbage denunciò gli errori dell'establishment politico, accademico e culturale. Fece una classificazione delle frodi scientifiche che verrà ripresa successivamente da tutti coloro che si occuperanno dell'argomento. Individuò quattro tipi di frode: 1) l'imbroglio o mistificazione (hoaxing); 2) i ragionamenti basati su osservazioni mai effettuate (forging); 3) l'esclusione dei risultati più lontani dalla media (trimming); 4) il ricorso a pochi valori concordanti, estratti arbitrariamente da un insieme più ampio, per forzare le conclusioni nel senso desiderato (cooking). La storia della scienza non manca, purtroppo, di esempi che rientrano nelle diverse tipologie di frode individuate da Babbage. L'accesso ai diari di laboratorio, ai resoconti delle esperienze e, in genere, a documenti considerati privati ha consentito di trasformare talvolta i sospetti in qualcosa di più. Ad esempio, il materiale incluso nel recente libro di Judson[7] illustra i casi di Newton, Darwin, Pasteur, Freud , Millikan e Mendel. Ma gli storici della scienza non sono d'accordo nel valutare i casi di cooking e trimming. Accentuare la connotazione negativa di tali operazioni e considerarle meramente fraudolente può, in alcuni casi, oscurare il valore della scelta critica o del rigetto di dati da parte di alcuni spiriti geniali. Certo, l'alterazione del quadro sperimentale da parte del ricercatore non è automaticamente fraudolenta e l'eliminazione dei dati devianti può essere una scelta giusta se fondata su una seria ipotesi scientifica. Le frodi non sono tutte eguali ed esiste una zona grigia in cui è difficile orientarsi. Gli interessi economici diretti sono all'origine di alcune frodi scientifiche, specialmente in campo biomedico, ma vi è una molteplicità di motivazioni. Hanno un ruolo importante anche altri fattori, come ad esempio l'accesa competizione per procurarsi fondi per la ricerca, il desiderio di fama e di pubblici riconoscimenti, la regola del pubblicare o perire, nonché altre spinte psicologiche già individuate e discusse. Alcune di queste motivazioni stanno alla base di frodi recenti, che ho già analizzato in una precedente ricerca di carattere storico[8] e che verranno riassunte anche qui.
Un caso recente di forging che ha suscitato scalpore in tutto il mondo è stato, ad esempio, quello del giovane fisico tedesco Jan Hendrik Schön (Verden, Bassa Sassonia, 1970), laureato all'Università di Costanza, premio Otto-Klung-Weberbank per la fisica 2001, ricercatore presso i Bell Labs (USA), ex astro nascente delle nanotecnologie e "mago" dei FET (transistor ad effetto di campo) organici. La sua prorompente produzione scientifica (77 articoli in 24 mesi) sorprendeva molti e qualcuno cominciò a segnalare, prima in privato, poi pubblicamente, gravi incongruità in alcuni suoi scritti, pubblicati anche su riviste scientifiche di altissima reputazione. Nel maggio 2002 fu costituita una Commissione d'inchiesta da parte della Bell per svolgere accertamenti sulla sospetta cattiva condotta scientifica dell'interessato e dei suoi collaboratori, sulla validità dei dati sperimentali e sui metodi impiegati per ottenerli. Nel settembre successivo fu pubblicato un lungo e scrupoloso rapporto. Pur riconoscendo che Schön era un lavoratore accanito e produttivo, la Commissione concluse che aveva falsificato o fabbricato dati in 16 casi sui 24 esaminati dalla Commissione. Tutti i collaboratori furono scagionati, anche se la Commissione colse l'occasione per rivolgere all'intera comunità scientifica un richiamo severo sulle regole da adottare e i comportamenti vigilanti da porre in essere in occasione di collaborazioni scientifiche. Il rapporto includeva, giustamente, anche la risposta di Schön. Pur ammettendo i suoi errori e presentando le sue scuse, Schön confermava di aver osservato sperimentalmente i fenomeni descritti nelle sue pubblicazioni e confidava che i suoi risultati venissero confermati da altri. In ogni caso, dichiarò di aver agito in buona fede, senza l'intenzione di ingannare alcuno. Schön fu licenziato. La famosa rivista "Science" pubblicò la ritrattazione di ben otto lavori di Schön e collaboratori già nel numero del 1 Novembre 2002 cui seguirono, l'anno successivo, quelle di "Applied Physics Letters". Altri casi di falsificazione dei dati che hanno destato scalpore in campo biomedico sono quelli di Eric Poehlman, Jon Sudbø e Woo Suk Hwang. Il primo confessò di aver alterato i risultati di una ricerca sull'invecchiamento per ottenere i finanziamenti federali e scrisse a una decina di riviste chiedendo ritrattazioni o correzioni alle sue precedenti pubblicazioni. Per quanto riguarda il norvegese Sudbø (Radium Hospital Oslo) dovette ritrattare, dopo quattro mesi, un articolo pubblicato su "Lancet" (2005) inerente l'effetto di farmaci antinfiammatori non steroidei, in quanto un'indagine interna del suo ospedale aveva stabilito che si era inventato tutti i dati dell'articolo, compresi i nomi, i generi, le diagnosi e altre variabili di 908 pazienti. Il coreano Hwang Woo Suk, professore al College di Medicina veterinaria della Seoul National University, considerato il padre della clonazione terapeutica, sospettato di falsificazione, fu messo sotto inchiesta da una Commissione della stessa Università. Questa concluse che, per quanto riguarda la clonazione di un cane, lo scienziato non aveva barato, mentre aveva falsificato i dati sulle cellule staminali embrionali. Dopo lo smascheramento, Hwang si dimise spontaneamente dall'Università. Un caso che riguarda la chimica è quello di Pattium Chiranjeevi, già docente di chimica presso la Sri Venkateswara University di Tirupati (India). Fra il 2004 e il 2007 Chiranjeevi pubblicò una settantina di articoli scientifici, specialmente nel campo della chimica analitica, finché un referee della rivista "Analytica Chimica Acta" un giorno si accorse che un manoscritto di Chiranjeevi, candidato alla pubblicazione, mostrava forti somiglianze con un articolo già pubblicato da altri. Dopo un'inchiesta e la scoperta di numerosi articoli plagiati, vennero le ritrattazioni di Chiranjeevi che, poco dopo, fu allontanato da cariche di responsabilità, ma non licenziato.
A questi fatti, purtroppo in aumento, la comunità scientifica tenta di porre un argine con una riforma della peer review,regole più severe per la pubblicazione degli articoli, messa a punto di nuovi software per controllare i risultati e smascherare le copiature, database per riconoscere i duplicati e registrare i conflitti d'interesse. È tuttavia evidente che, a monte, occorre investire nella formazione di ricercatori capaci di operare in maniera eticamente corretta, impegnando le Facoltà Universitarie e le strutture di ricerca, dando spazio a corsi appositi che insegnino ad affrontare anche casi pratici. Anche se sembra superfluo sottolinearlo, non può mancare il buon esempio da parte degli educatori e, infine, il costante incitamento ad ascoltare la coscienza morale. È là che il comando non dire falsa testimonianza, cioè non falsare la verità nei rapporti con gli altri, è inciso da tempo. Se gli scienziati vi aderiranno, forse sapranno e potranno contribuire ancor meglio al bene comune.