1. L’analisi del fenomeno dei matrimoni precoci e forzati a partire dalla definizione di schiavitù contemporanea
Il secolo appena trascorso si è contraddistinto per la crescente affermazione di nuovi diritti e tutele che hanno profondamente rivoluzionato la vita dei singoli individui.
La nascita di una cultura dei diritti umani ha portato gli Stati a doversi necessariamente confrontare con normative sovranazionali nate e affermatesi al fine di tutelare i singoli nei confronti di tutte quelle forme di violazione dei diritti, espressione di una profonda riluttanza nei confronti della vita, della libertà e della dignità umana.
Il fenomeno della schiavitù rappresentava e rappresenta a tutt’oggi uno degli esempi più aberranti di tale violazione. Diffusosi nei secoli come istituto legalmente riconosciuto ed accettato, espressione sostanziale dell’esercizio di un “diritto di proprietà” sulla vita di un altro individuo, essa ha progressivamente iniziato a suscitare critiche e dubbi di legittimità che hanno lentamente portato alla sua abolizione, avvenuta, perlomeno “formalmente”, nel 1926 ad opera della Slavery Convention.
Tale condanna ha però contemporaneamente sancito il passaggio ad una nuova tipologia di schiavitù che, mutando le proprie caratteristiche intrinseche e le proprie modalità estrinseche, ha continuato a diffondersi e svilupparsi, trasformandosi in una forma di violazione dei diritti talmente occulta e dilagante da non potersi registrare, ad oggi, l’esatto numero di schiavi presenti nel mondo.
Nonostante la comunità internazionale sia intervenuta in più occasioni per condannare questo fenomeno, si è dunque passati da vecchie forme di schiavitù nelle quali l’essere umano figurava come un “oggetto” legalmente di proprietà del padrone, a nuove forme di schiavitù che, espandendosi nella clandestinità, hanno trasformato gli esseri umani in “strumenti ‘usa e getta’ per fare denaro” (Bales 2000, p. 10) ed è proprio il denaro, o meglio il profitto economico, uno dei fattori principali che muove la nuova economia schiavista.
Nella schiavitù contemporanea la vulnerabilità dei singoli individui nelle sue varie forme (vulnerabilità economica, vulnerabilità legata all’età, vulnerabilità legata al genere) diventa uno degli elementi determinanti della condizione di privazione forzata della libertà e di violazione estrema della dignità. Non è un caso, dunque, se i minori e le donne risultano essere i soggetti maggiormente sottomessi al giogo della schiavitù.
Se il minore figura come individuo vulnerabile a causa della specifica condizione di insufficiente maturazione fisica, intellettiva, emotiva e psicologica in cui versa, che di fatto lo priva degli strumenti adeguati alla propria difesa personale, la donna diventa un soggetto vulnerabile nel momento in cui si trova a doversi confrontare con una cultura in cui vige una scarsa sensibilità alle tematiche di genere, in cui viene esercitata una forte discriminazione nei confronti della figura femminile e in cui il ruolo della donna viene interpretato in chiave di sottomissione nei confronti della figura maschile predominante. Quando poi le due variabili s’incontrano, la vulnerabilità aumenta considerevolmente, ancor più laddove si consideri che ad esse va spesso sommata anche la vulnerabilità dovuta alla totale mancanza o al difficile reperimento di risorse economiche utili alla propria sopravvivenza.
Secondo la definizione fornita all’art. 1 della Slavery Convention, per schiavitù si deve intendere “the status or condition of a person over whom any or all of the powers attaching to the right of ownership are exercised”.
Oggi la schiavitù rappresenta dunque una forma di privazione della libertà esercitata nei confronti di un altro essere umano, il quale risulta sottomesso all’esercizio di poteri connessi al diritto di proprietà, o di taluni di essi. Mezzo di tali poteri diventa spesso la violenza o la minaccia della violenza, nelle sue numerose e differenti forme, sia questa fisica, economica, sessuale, emotiva o psicologica.
Nel contesto attuale le modalità con cui tale pratica si manifesta hanno raggiunto un livello di notevole varietà: se di alcune forme di schiavitù abbiamo sufficiente conoscenza, di altre si ignora completamente l’esistenza.
A tal proposito, nonostante questo tema risulti ancora poco affrontato, non si può negare il fatto che, in taluni casi, la pratica dei matrimoni forzati rientri all’interno della categoria delle nuove forme di schiavitù. Questa affermazione vale in modo particolare per i matrimoni precoci e forzati, in cui l’estrema vulnerabilità delle vittime minorenni alla costrizione, alla violenza, nonché al controllo e al potere di sottomissione altrui risulta palese e indiscutibile.
2. Il quadro internazionale di riferimento
Nell’ambito delle disposizioni internazionali non esiste una definizione chiara, precisa e specifica di matrimonio forzato: nella Resolution 1468 (2005) Forced Marriages and Child Marriages la European Parliamentary Assembly definisce tale pratica come “the union of two persons at least one of whom has not given their full and free consent to the marriage”, senza tuttavia precisare cosa si debba intendere per “free and full consent”.
Ciò è probabilmente dovuto al fatto che risulta alquanto complesso stabilire in via preliminare, al di là delle ipotesi di violenza fisica, quando il consenso rispetti tali requisiti e quali siano invece gli elementi che ne inficiano il carattere essenziale della libertà (Bello 2016). Da qui nasce anche il complesso dibattito sulla distinzione tra matrimonio combinato e matrimonio forzato, che tuttavia non sarà oggetto di questa trattazione (cfr. Danna 2013, Rude-Antoine 2005).
In presenza di un vuoto normativo la letteratura tende a fare generalmente riferimento alla definizione fornita dalla UK Forced Marriage Unit, un gruppo di lavoro composto appositamente per studiare e contrastare questo fenomeno:
“a marriage in which one or both spouses do not consent to the marriage but are coerced into it. Duress can include physical, psychological, financial, sexual and emotional pressure. In cases of vulnerable adults who lack the capacity to consent to marriage, coercion is not required for a marriage to be forced”.
Nonostante manchi una definizione normativa precisa e unanime, un consenso liberamente prestato da entrambi gli sposi, pieno, effettivo e informato, è un diritto universalmente riconosciuto (art. 16 Universal Declaration of Human Rights 1948), e costituisce un requisito fondamentale richiesto sia dalla normativa internazionale che dalla normativa internazionale a carattere regionale: Convention on Consent to Marriage, Minimum Age for Marriage and Registration of Marriages 1962, art. 1 par. 1; International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights 1966, art. 10; International Covenant on Civil and Political Rights 1966, art. 23; Convention on the Elimination of All Forms of Discrimination against Women 1979, art. 16 par. 1; la Convention on the Rights of Persons with Disabilities 2006, art. 23 par. 1 lett. a); American Convention on human rights 1969, art. 17; Protocol to the African Charter on human and peoples’ rights on the Rights of women in Africa 2003, art. 6; Arab Charter on human rights 2004, art. 33; Council of Europe Convention on preventing and combating violence against women and domestic violence 2011, art. 37.
Quando un matrimonio precoce intercorre in violazione delle disposizioni normative internazionali e presenta caratteristiche che lo fanno rientrare nella definizione precedentemente fornita, allora tale matrimonio risulterà altresì forzato. Nell’accezione di “matrimonio precoce” vanno ricompresi tutti quei matrimoni in cui uno o entrambi gli sposi non hanno ancora raggiunto la maggiore età, facendo riferimento alla concezione di minore fornita dall’art. 1 della Convention on the Rights of Child del 1989 (di seguito CRC), la più importante in materia.
La problematica del consenso nei minori è molto più complessa che negli adulti.
Per i minori in età prepubere, o di poco successiva alla pubertà, la mancanza di un consenso al matrimonio, effettivo, informato e consapevole, e dunque di un “free and full consent”, si deve presumere. La condizione di immaturità nella quale si trovano non li rende capaci di comprendere a pieno il significato del matrimonio nonché le gravi conseguenze che ne possono scaturire e il livello di vulnerabilità a qualunque forma di costrizione risulta estremamente elevato.
Negli individui prossimi al raggiungimento della maggiore età diventa, invece, più difficile stabilire quando il consenso sia prestato liberamente e consapevolmente e quando invece sia inficiato da qualche forma di costrizione e dunque risulti forzato.
Sono numerose le conseguenze negative che i giovani sposi, e ancor più le giovani spose, potrebbero subire a causa di un matrimonio precoce. Violenze, maltrattamenti, sfruttamento domestico, gravi problemi di salute connessi a gravidanze e parti per i quali il corpo non è ancora pronto, aumento del rischio di isolamento, abbandono precoce del contesto scolastico e conseguente diminuzione delle abilità e potenzialità connesse all’istruzione, sono solo alcune delle conseguenze negative che incidono, in particolar modo, sulla vita e sul sano ed equilibrato sviluppo (art. 6 CRC) delle bambine e delle ragazze (Tagliani 2017). Si tratta infatti di un fenomeno che le riguarda principalmente, in quanto frutto di un contesto culturale fortemente discriminatorio nei confronti della figura femminile.
Considerato ciò, la comunità internazionale è intervenuta adottando varie disposizioni, anche a carattere regionale, che direttamente o indirettamente vietano i matrimoni precoci e impongono un’età minima per contrarre matrimonio, che in alcuni casi viene espressamente individuata nei 18 anni: Universal Declaration of Human Rights 1948, art. 16; Convention on Consent to Marriage, Minimum Age for Marriage and Registration of Marriages 1962, art. 2; Convention on the Elimination of All Forms of Discrimination against Women 1979, art. 16 par. 2; Convention on the Rights of the Child 1989, art. 24 par. 3; Convention on the Rights of Persons with Disabilities 2006, art. 23; European Convention for the Protection of Human Rights and Fundamental Freedom 1950, art. 12; African Charter on the Rights and the Welfare of the Child 1990, art. 21 par. 2; Convention on Regional Arrangements for the Promotion of Child Welfare in South Asia 2002, art. 4 par. 3; Protocol to the African Charter on Human and Peoples' Rights on the Rights of Women in Africa 2003, art. 6; Council of Europe Convention on preventing and combating violence against women and domestic violence 2011, art. 37.
3. I matrimoni precoci e forzati come nuove forme di schiavitù nelle disposizioni normative internazionali
La normativa internazionale, oltre a condannare la pratica dei matrimoni forzati e dei matrimoni precoci e forzati, li annovera altresì tra le forme di schiavitù contemporanea.
Ne è un esempio la Supplementary Convention on the Abolition of Slavery, the Slave Trade, and Institution and Practices Similar to Slavery del 1956 (di seguito Supplementary Convention), aggiuntasi alla Slavery Convention al fine di accrescerne gli sforzi nell’abolire la schiavitù, la tratta degli schiavi e tutte quelle istituzioni e pratiche analoghe alla schiavitù.
Tale Convenzione impone agli Stati parte di adottare tutte le misure necessarie ad ottenere la definitiva abolizione di tutte le pratiche ed istituzioni schiavistiche in essa elencate e tra queste vi annovera all’art. 1 lett. c):
“Any institution or practice whereby: (i) A woman, without the right to refuse, is promised or given in marriage on payment of a consideration in money or in kind to her parents, guardian, family or any other person or group; or (ii) The husband of a woman, his family, or his clan, has the right to transfer her to another person for value received or otherwise; or (iii) A woman on the death of her husband is liable to be inherited by another person”
Risulta qui esplicito il rimando ai matrimoni forzati come istituzioni o pratiche analoghe alla schiavitù, ancor più laddove si tratti di matrimoni precoci e forzati. Difatti il successivo art. 2, specifica espressamente che, allo scopo di porre fine alle pratiche di cui all’art. 1 lett. c), gli Stati parte devono impegnarsi a stabilire un’età minima adeguata al matrimonio.
Nonostante l’art. 1 faccia riferimento a tre specifiche ipotesi di servitù basate sulla mercificazione della donna alla stregua di un oggetto, qualora all’atto forzato di costringere al matrimonio, faccia seguito lo status o la condizione definita dall’art. 1 della Slavery Convention, risulta imprescindibile il riconoscimento di tale matrimonio come di una forma di schiavitù.
In proposito sarà, dunque, indicativa la presenza di tre elementi atti a qualificarlo come tale: l’assenza di un consenso libero, pieno e informato, in contrasto alla normativa precedentemente richiamata; la sussistenza di una condizione di controllo che costringa l’individuo in una posizione di subordinazione tale per cui risultano di fatto esercitati poteri relativi al diritto di proprietà; l’impossibilità o l’incapacità di abbandonare la vita matrimoniale o comunque di porvi fine. Abbandonare la casa coniugale, soprattutto per bambine e ragazze, può significare dover rinunciare ad un sostentamento economico e all’appoggio familiare, con aumento del pericolo di esposizione ad altre forme di schiavitù, può voler dire dover subire l’umiliazione e la disapprovazione pubblica, nonché quella della propria famiglia d’origine (Turner 2013).
Nonostante la normativa internazionale prescriva, anche in ambito regionale, che la vita matrimoniale debba essere caratterizzata dalla parità di diritti e che ad entrambi gli sposi debba essere egualmente garantita la possibilità di porre fine al matrimonio (Universal Declaration on Human Rights 1948, art. 16; International Covenant on Civil and Political Rights 1966, art. 23 par. 4; Convention on the Elimination of All Forms of Discrimination against Women 1979, art. 16; American Convention on Human Rights 1969, art. 17 par. 4; Protocol No. 7 to the European Convention for the Protection of Human Rights and Fundamental Freedoms 1984, art. 5; Protocol to the African Charter on Human and Peoples' Rights on the Rights of Women in Africa 2003, artt. 6 e 7), diventa in questi casi evidente la violazione di tali diritti, soprattutto qualora la sposa costretta sia minorenne. Col diminuire dell’età e di conseguenza della maturità del soggetto coinvolto diminuisce anche la capacità di disporre degli strumenti atti a rifuggire la schiavitù. Con l’aumentare della vulnerabilità, diminuiscono le risorse disponibili per reagire alla propria condizione.
Oltre alle ipotesi precedentemente prospettate, la normativa internazionale identifica il matrimonio precoce e forzato come istituzione o pratica analoga alla schiavitù anche qualora celi in realtà una forma di sfruttamento lavorativo o sessuale. Ne sono un esempio lo siqueh system e gli short-term marriage contracts, pratiche riscontrate in Iran e in Egitto ove dietro ai matrimoni precoci si nascondono in realtà forme occulte di prostituzione (Mikhail 2002).
A tal proposito, l’art. 1 lett. d) della Supplementary Convention sancisce che necessitano di essere contrastate ed abolite “any institution or practice whereby a child or young person under the age of 18 years, is delivered by either or both of his natural parents or by his guardian to another person, whether for reward or not, with a view to the exploitation of the child or young person or of his labour”.
Similmente la ILO Convention No. 182 Concerning the Prohibition and Immediate Action for the Elimination of the Worst Forms of Child Labour del 1999 (di seguito ILO Convention), nell’identificare le peggiori forme di lavoro minorile, all’art. 3 ribadisce la necessità di contrastare, proibire ed eliminare tutte quelle forme di schiavitù o pratiche analoghe alla schiavitù perpetrate nei confronti dei minori “such as the sale and trafficking of children, debt bondage and serfdom and forced or compulsory labour” (art. 3 lett. a)).
Il fenomeno della debt bondage viene specificamente definito come pratica analoga alla schiavitù all’art. 1 lett. a) della Supplementary Convention , ove lo si identifica come “the status or condition arising from a pledge by a debtor of his personal services or of those of a person under his control as security for a debt, if the value of those services as reasonably assessed is not applied towards the liquidation of the debt or the length and nature of those services are not respectively limited and defined”.
In tal senso è importante rilevare che non sono rari i casi di bambine e ragazze vendute come spose dai propri genitori ai creditori al fine di saldare un debito precedentemente contratto e dunque questi matrimoni vanno necessariamente interpretati come forme di schiavitù contemporanea.
La normativa internazionale in materia di schiavitù non la condanna solamente in quanto tale, ma all’art. 2 della Slavery Convention condanna altresì tutti quegli atti che definiscono il fenomeno della tratta degli schiavi:
“The slave trade includes all acts involved in the capture, acquisition or disposal of a person with intent to reduce him to slavery; all acts involved in the acquisition of a slave with a view to selling or exchanging him; all acts of disposal by sale or exchange of a slave acquired with a view to being sold or exchanged, and, in general, every act of trade or transport in slaves.” (Art. 1)
Similmente fa la Supplementary Convention e il successivo Protocol to Prevent, Suppress and Punish Trafficking in Persons, Especially Women and Children del 2000.
Ciò considerato, non si può non rilevare che, qualora questi atti vengano posti in essere al fine di costringere un minore ad un matrimonio forzato di natura schiavistica, come tali debbano essere contrastati e condannati in virtù delle suddette convenzioni.
Il fenomeno della tratta degli schiavi non è tipico esclusivamente del passato. La richiesta di merce umana per il mercato dello sfruttamento lavorativo e sessuale è una costante “invisibile”, caratteristica anche dell’epoca in cui viviamo.
Per tale ragione si è reso necessario intervenire ripetutamente al fine di condannare il fenomeno del traffico di esseri umani, per mezzo dell’ausilio di numerosi strumenti che possono essere validamente utilizzati anche per contrastare la tratta di minori a scopo di matrimonio forzato.
In tal senso si può ad esempio interpretare la Convention on the Elimination of All Forms of Discrimination against Women del 1979, laddove all’art. 6 impone agli Stati di prendere “all appropriate measures to suppress all forms of trafficking in women”.
Con riferimento al contesto normativo regionale, è interessante notare che l’Inter-American Convention on International Traffic in Minors 1994 vieta espressamente il traffico internazionale di minori, stabilendo, all’articolo 2, che come tale si debba intendere “the abduction, removal or retention, or attempted abduction, removal or retention, of a minor for unlawful purposes or by unlawful mean”. Come unlawful purposes la Convenzione individua, tra gli altri, la prostituzione, lo sfruttamento sessuale e la servitù, risultando dunque applicabile ai casi di traffico di minori a fini di schiavitù o servitù matrimoniale.
Pur non riferendosi espressamente ai minori, anche la Council of Europe Convention on Action against Trafficking in Human Beings 2005, considerata la definizione di traffico di esseri umani fornita all’art. 4 lett. a), potrebbe essere ugualmente applicata e così l’art. 10 della Arab Charter on Human rights 2004.
3.1 ...e nel sistema delle Nazioni Unite
Al fine di controllare l’effettiva applicazione della normativa in materia di schiavitù contemporanea e di verificare i progressi fatti dai singoli Stati, nel 1974 venne creato, in seno all’Organizzazione delle Nazioni Unite, il Working Group on Contemporary Forms of Slavery (di seguito Working Group).
Sin dai primi anni di lavoro fu forte l’impegno e l’interesse di questo gruppo nei confronti delle forme di schiavitù esercitate sui minori, soggetti dallo stesso ritenuti estremamente vulnerabili a tali pratiche. Dal lavoro forzato, al lavoro domestico, allo sfruttamento sessuale minorile, al debt bondage, al reclutamento e utilizzo coatto di minori nei conflitti armati, il Working Group non ha mancato di occuparsi altresì dei matrimoni precoci e forzati.
Nel 2007 lo United Nations Human Rights Council, al fine di affrontare in modo più efficace la questione delle forme contemporanee di schiavitù all'interno del sistema delle Nazioni Unite, con Resolution 6/14, ha sostituito tale organo dando mandato allo Special Rapporteur on contemporary forms of slavery, including its causes and consequences (di seguito Special Rapporteur).
Negli anni di attività i vari Special Rapporteurs si sono occupati spesso del fenomeno dei matrimoni precoci e forzati, realizzando altresì uno specifico Thematic report on servile marriage (A/HRC/21/41, 2012).
Nonostante la normativa internazionale supporti tale ipotesi, il tema non risulta sufficientemente trattato e studiato e, come afferma lo stesso Special Rapporteur Gulnara Shahinian, “over the years [...] the idea that forced and early marriages are forms of slavery and, therefore, servile marriage has been lost” (A/HRC/21/41, 2012, p. 4).
Non si può negare che molti matrimoni forzati, e in particolare matrimoni precoci e forzati, vadano necessariamente identificati come forme di schiavitù. Gli esempi in tal senso risultano numerosi, seppur non è qui possibile riportarli tutti.
Spose di guerra in Uganda:
“In Uganda, it was estimated that the rebels of the Lord's Resistance Army, supported by Sudan, had abducted some 10,000 children, with girls as young as 12 given to rebel commanders as “wives”. That practice in fact constituted sexual slavery since the victims did not have the freedom to leave or to refuse the sham ‘marriage’”. (E/CN.4/Sub.2/2000/21, 2000, p. 5)
Girl markets in Madagascar:
“Girls start to go to the markets, at the age of 13, where they try to attract cattle owners and negotiate a price for a “marriage”, which can last for a night or the duration of the market (from Friday to Monday), after which they are paid (up to $4 a night). After the market, the girls return home. [...] Parents persuade their young daughters to go to the market to find a husband. [...] Given the poverty and pressures borne by the family, girls have no choice but to accept”. (A/HRC/24/43/Add.2, 2013, p. 17)
Ritual servitude in Ghana:
“The practice of trokosi is a form of ritual or religious servitude [...] whereby a family gives one of their children, usually a young girl between 6 and 10 years of age, to a traditional fetish shrine in atonement for their family members’ sins. [...] Once she has reached puberty the trokosi is given in marriage to the shrine’s priest who is entitled to sleep with her in order to consummate the marriage between her and the gods. In this capacity and as her custodian, she belongs to the priest, who can beat her and use her for sex, in addition to the ritual duties, domestic chores and farming work she must perform”. (A/HRC/27/53/Add.3, 2014, p. 15)
4. Considerazioni conclusive
Non sono solo le bambine e le ragazze a essere vittime di matrimoni precoci e forzati, ma anche bambini e ragazzi possono essere interessati dal fenomeno; tuttavia il loro coinvolgimento risulta decisamente inferiore.
Gli ultimi dati riportati da UNICEF nel Report del 2014, Ending Child Marriage: Progress and prospects, fanno riferimento in generale ai matrimoni precoci e parlano di circa 15 milioni di ragazze che ogni anno si sposano prima di aver compiuto diciotto anni e di 5 milioni di bambine che si sposano prima dei quindici anni. Le stime riportate indicano che ad oggi nel mondo più di 700 milioni di donne e ragazze si sono sposate prima del loro diciottesimo compleanno e circa 250 milioni prima del loro quindicesimo.
Molto inferiori sono i dati riguardanti i bambini e i ragazzi: circa 156 milioni i ragazzi che ad oggi risultano sposati prima del loro diciottesimo compleanno e molti meno quelli al di sotto dei quindici anni di età. Inferiori sono però anche gli studi e le ricerche in proposito, che risultano alquanto limitate.
Si tratta indubbiamente di un fenomeno che deve essere letto secondo un’imprescindibile ottica di genere, poiché la cultura discriminatoria che ne sta alla base influisce in modo gravoso sulle vittime di sesso femminile, maggiormente vulnerabili al fenomeno dei matrimoni precoci e forzati come forma di schiavitù contemporanea.
Ad oggi non esistono dati relativi al numero di matrimoni precoci e forzati classificabili come forme contemporanee di schiavitù e, per le ragioni anzidette, sarebbe alquanto complesso poterlo ricavare. Tuttavia, prendendo in considerazione i dati forniti da UNICEF, si può ritenere che un’alta percentuale delle bambine e delle ragazze coinvolte in matrimoni precoci siano in realtà vittime di schiavitù, ancor più laddove si consideri che con l’aumentare della povertà e col diminuire dell’età aumenta considerevolmente la vulnerabilità di cui tale pratica “si nutre”.
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Report of the Special Rapporteur on contemporary forms of slavery, including its causes and consequences, Gulnara Shahinian, Thematic report on servile marriage, UN Doc. A/HRC/21/41, 10 July 2012.
Report of the Special Rapporteur on contemporary forms of slavery, including its causes and consequences, Gulnara Shahinian, mission to Madagascar, UN Doc. A/HRC/24/43/Add.2, 24 July 2013.
Report of the Special Rapporteur on contemporary forms of slavery, including its causes and consequences, Urmila Bhoola, mission to Ghana, -UN Doc. A/HRC/27/53/Add.3, 1 October 2014.
Report of the Special Rapporteur on contemporary forms of slavery, including its causes and consequences, Urmila Bhoola, mission to Niger, UN Doc. A/HRC/30/35/Add.1, 30 July 2015.
[*] Il presente articolo è il frutto di una riflessione nata in occasione del seminario Matrimoni precoci e forzati: un fenomeno persistente e “invisibile”, che ho tenuto presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Modena e Reggio Emilia il 25 novembre 2016, nell’ambito del corso di Teoria e prassi dei diritti umani di cui è titolare il Prof. Thomas Casadei. Il seminario, parte di un ciclo di incontri dal titolo Forme della violenza maschile contro le donne: consuetudini, norme, azioni di contrasto, è stato organizzato in occasione della “Giornata internazionale contro la violenza alle donne” dal Laboratorio CRID su Discriminazioni e Vulnerabilità in collaborazione con il Gruppo di ricerca interuniversitario sulla soggettività politica delle donne, all’interno del calendario di incontri Contrastare la violenza sulle donne. Un impegno per l’Università.