cosmopolis rivista di filosofia e politica
Cosmopolis menu cosmopolis rivista di filosofia e teoria politica

Neo-integralismi nell’Occidente cristiano:
i teo-cons negli Stati Uniti

Furio Colombo
Intervista a cura di Alberto Pirni

Per addentrarci nel rapporto che lega la religione alla politica e alle istituzioni pubbliche, vorrei partire dal simbolo forse per eccellenza degli Stati Uniti, il dollaro, e, in particolare, dalla dicitura presente sul retro della banconota da un dollaro: «In God We Trust». Cosa sta al fondo di tale solenne espressione di fiducia e affidamento in Dio?

Starei per dire che al fondo sta proprio il contrario di ciò che oggi noi constatiamo come “fenomeno americano”, cioè la separazione tra la vita pubblica e la vita privata, tra la politica e la chiesa, tra la religione e lo Stato. «In God We Trust» non è la banca, non è il sistema finanziario che ha fiducia in Dio, ma è l’individuo che ha in mano quel dollaro. È questa un’interpretazione di un filosofo americano che amo e ammiro, Daniel Bell, ed è un’interpretazione che apprezzo e approvo. Il dollaro, nelle mani della persona che ce l’ha, è un suo biglietto, è come se l’avesse scritto lui, in ogni caso lo ha “fatto” lui, nel senso che lo ha guadagnato, ricevuto, prodotto tramite il suo lavoro. Di conseguenza la fiducia in Dio è la fiducia di colui che ha in mano la banconota, non la fiducia nel sistema finanziario. Dunque quella religiosità originale è la stessa che troviamo nelle carte federaliste, negli scritti che precedono la Costituzione americana e che di tutto ci parlano meno che di una commistione tra politica e religione.

Gli Stati Uniti nascono come uno spazio politico animato da forti passioni civili e, al tempo stesso, religiose. L’elemento forse più di altri caratterizzante è però rappresentato dal permanere plurisecolare di questo nesso, in maniera apparentemente immune rispetto alle dinamiche secolarizzanti che hanno investito l’Occidente europeo. Questa specificità ha importanti cause politiche e culturali. Possiamo provare ad esplicitarne alcune?

Vorrei intanto precisare un punto. Mentre nella vita americana il rispetto e l’attenzione per la religiosità sono sempre state molto vive – poiché l’America manca di ogni ipocrisia e nessuno pretende di essere religioso se non lo è, e nessuno ostacola la religione soltanto per guadagnarsi punti in politica –, al contrario l’Europa ha dato luogo ad una grande ipocrisia nei confronti della religione. In particolare l’Italia è straordinariamente esemplare. È un paese praticamente ateo, nel quale non puoi dire una sola parola di dissenso dalle posizioni della Chiesa cattolica perché vieni preso subito per un disturbatore ed un eversivo. D’altra parte, l’osservanza anche soltanto precettistica della vita cristiana in Europa – penso all’Italia e alla Francia –, non ha niente a che fare con quella americana, dove moltissima gente non crede, ma coloro che credono, credono seriamente e fortemente.

Siamo così ricondotti alla contemporaneità. Dove sta andando, oggi, la religione – e le religioni – negli Stati Uniti e come si va riconfigurando il rapporto con la sfera pubblica?

Per parlare del rapporto tra religione e sfera pubblica negli Stati Uniti oggi è necessario fare alcuni passi indietro, soltanto di alcuni decenni. Il primo ritorno all’indietro ci porta a John Kennedy e a quando ha dimostrato di essere un candidato serio alle elezioni presidenziali nelle quali si è presentato contro Nixon. John Kennedy, politico nuovo, giovane, certo molto promettente, simpatico, moderno, però considerato inesperto e, per la storia americana, anche il più giovane che si fosse mai affacciato alla Presidenza degli Stati Uniti, a confronto con Nixon, grande esperto della vita politica di quel paese e vice-presidente nella gestione precedente della politica americana. A Kennedy è stata subito posta la sfida: come farà, da cattolico, a fare il Presidente degli Stati Uniti? Come farà, visto che la religione cattolica dipende da un papa romano, e si chiama “Chiesa cattolica romana”, cioè è situata altrove, non negli Stati Uniti? La ferma presa di posizione di Kennedy è stata nettissima: «sono cattolico e sono americano e non vedo – e so che non ci sarà mai – alcun contrasto tra il mio essere cattolico e il mio essere americano, in quanto il mio essere americano precede ogni situazione e legame di qualsiasi altro tipo». Gli elettori gli hanno creduto: Kennedy è stato eletto, è stato il primo Presidente cattolico degli Stati Uniti, ha aperto la strada ad una possibilità di libertà religiosa che è allo stesso tempo riconoscimento e divisione, e ha certamente portato i tempi moderni o, come diceva lo stesso Kennedy, «la nuova frontiera».
Il secondo ritorno all’indietro, rispetto al rapporto religione-sfera pubblica lo troviamo nelle parole di Mario Cuomo. Mario Cuomo è profondamente cattolico, al punto di essere stato professore di teologia alla St. John’s University, prima di essere avvocato e prima di entrare in politica, ed è governatore dello Stato di New York. Gli viene posto con forza, al tempo della sua prima, come della seconda e della terza elezione, il dilemma: «come può un cattolico accettare l’aborto, che è legge dello Stato di New York?». La risposta del governatore cattolico di New York, nonostante le obiezioni – che però non sono mai diventate minacce o tentativo di scomunica – da parte di O’Connor, allora cardinale di New York, è stata la seguente: «io, da cattolico, personalmente e privatamente sono contro l’aborto e non lo accetto; da governatore dello Stato di New York ho il dovere di fare rispettare la legge dello Stato; di conseguenza, mi impegno a far rispettare quella legge».
Il terzo passaggio all’indietro – ed è quello che ci fa entrare nell’esistenza contemporanea dei teo-cons, o teo-conservatori, “conservatori di Dio” – avviene con il reverendo Jerry Falwell. All’improvviso, nel corso della sua campagna elettorale, Ronald Reagan – un laico, che non aveva mai prestato particolare attenzione al dilemma religione-politica, che viene dalla compiacente mondanità della vita di Hollywood – si trova fiancheggiato da un pastore della Chiesa battista, bianco – sottolineo questo fatto perché la Chiesa battista è negli Stati Uniti prevalentemente una chiesa “nera” –, Falwell, appunto, che si era messo a capo di una coalizione di chiese. Nel mio libro Il Dio d’America (1983) avevo chiamato neo-cristiani gli esponenti di tale coalizione. Falwell si era dunque posto a capo di una coalizione di neo-cristiani, i quali si proponevano non solo di abbattere qualunque barriera tra lo Stato e la religione, ma chiedevano e si proponevano come sostegno di un governo fortemente cristiano. Con molta astuzia Reagan ha accettato il loro sostegno, anche se, in verità, non ha mai compiuto alcun atto che avesse potuto comportare una commistione tra religione e politica e tra laicismo e religiosità. Tuttavia ha accettato il sostegno di Jerry Falwell nella prima e nella seconda campagna elettorale e quel sostegno è stato importantissimo per l’elezione e la rielezione. Diciamo che Reagan ha ripagato il debito quasi esclusivamente in due modi: il primo è stato di impegnarsi formalmente – ma quasi solo a parole – per la cancellazione della legge sull’aborto, a cui però non ha dato alcun particolare sostegno; nel frattempo, fra l’altro, aveva perduto il controllo di una delle due Camere e quindi non avrebbe mai potuto ottenerla. Il secondo è stato quello di impegnarsi in una posizione quasi puramente simbolica, che era quella del diritto di preghiera nelle scuole. Negli Stati Uniti è tuttora vietato, nelle scuole pubbliche, di iniziare la giornata scolastica con un preghiera, ed è vietato perché si diceva che gli alunni sono di varie religioni: una preghiera violerebbe il credo di altri. Si pensava in particolare al rapporto tra cristiani ed ebrei, naturalmente, che sarebbe il più sistematicamente violato. Ormai, data la crescita incredibile da allora della comunità arabo-americana, si deve pensare anche al triplice problema: cristiano, ebreo ed islamico. Reagan si è schierato per il diritto di preghiera nelle scuole, ma è rimasta una battaglia simbolica; infatti, non è mai passata alcuna legge ed il problema è rimasto, forse con maggiore libertà, perché mentre in passato ci sarebbero state prontamente denunce e ricorsi ai tribunali se si fosse pregato nelle scuole, probabilmente oggi si fa senza far denunce ai tribunali, ma anche senza la partecipazione degli studenti che desiderano non pregare.

Tra i fenomeni che, sul piano della religione, destano oggi più interesse – ma anche più preoccupazione – si colloca il cosiddetto movimento teo-con. Vorrebbe offrirne un primo profilo sul piano storico e teorico?

Intanto, molto importante per il lettore italiano e per coloro che, in Italia e in Europa, si occupano di tale problema, è operare una distinzione molto sottile anche dal punto di vista grafico. Noi siamo soliti mettere in un unico “dipartimento” della vita politica americana, quello della destra conservatrice, sia i teo-cons, ovvero i conservatori cristiani, la cui radice è schiettamente ed esclusivamente religiosa, sia i neo-cons, ovvero i neo-conservatori, i quali hanno spinto la destra americana a posizioni di politica nazionale e politica estera molto diverse da quelle della destra precedente. Qui dobbiamo riconoscere e identificare due percorsi che, prima dell’11 settembre, nella campagna elettorale di George Bush, deliberatamente si fondono in un unico percorso. La radice neo-conservatrice è profondamente laica e si riconosce in tre personaggi della cultura laica – ed addirittura di provenienza ebrea – della vita americana: John Podorez – figlio di Norman Podorez, grande personaggio della vita democratica americana – che diventa giovanissimo e importante leader della neo-destra super conservatrice; Adam Bellow, figlio del premio nobel Saul Bellow, che certo non è stato un uomo di sinistra, ma nella sua vita è stato certamente più vicino al partito democratico che a quello liberale, e John Kristol Irving – figlio di Kristol Irwing, altro grande personaggio della cultura democratica americana – che insieme ai primi due è stato il protagonista della fondazione del neo-conservatorismo americano. Ora, a questo gruppo si uniscono anche dei cattolici, come il giovane figlio di William F. Buckley, che è stato per decenni il “guru” del cattolicesimo di destra americano, il grande nemico e antagonista di Gore Vidal, tra l’altro. Suo figlio compare tra i giovani dell’Università di Dartmouth e della Dartmouth Review – che sono i veri fondatori del neo-conservatorismo. Per neo-conservatorismo si intende, in primo luogo, un prendere atto che la guerra fredda è finita e che la potenza americana non ha limiti, non nel senso di essere una potenza infinita, ma nel senso di essere una potenza molto grande, non più limitata dall’esistenza di un’altra potenza molto grande. Di conseguenza, l’uso della potenza diventa una decisione discrezionale e libera degli Stati Uniti e non dipende più dal confronto con altre potenze.
Il secondo punto cardine consiste nel riportare il conservatorismo economico alle radici del conservatorismo originale. Tutto, cioè, si deve spostare sulla protezione della ricchezza, perché soltanto con essa, la liberalizzazione completa delle imprese e dell’uso della ricchezza può portare benessere, attraverso la teoria della Triple-down-economy, ovvero della ricchezza che, se agevolata, fa piovere ricchezza lungo tutti gli strati sociali fino ai più poveri. Erano pensieri già espressi da Ronald Reagan, poi da George Bush, ma portati in seguito da George W. Bush ai loro esiti più neo-conservatori. Durante la campagna elettorale di George W. Bush avviene l’accostamento e poi il confluire – almeno temporaneo – dei neo-conservatori con i teo-conservatori. I teo-conservatori hanno la loro forza originariamente in quella coalizione di chiese cristiane fondamentaliste che ho descritto sopra, gestita e diretta da Jerry Falwell e quindi dai protestanti, che vede adesso una partecipazione cattolica molto più vivace e viva, con John O. Read, personaggio che è a capo di una coalizione conservatrice cattolica, ed ha intercettato moltissimi voti dell’America agricola, dell’America interna, delle “grandi pianure”, del “revival belt”, della “cintura della Bibbia”, molti dei quali erano prima voti democratici e relativamente di sinistra – perché sono voti di gente povera – e li ha fatti confluire in nome del neo-cristianesimo al seguito dei neo-conservatori, che di questa gente povera hanno pochissima voglia di occuparsi. Si è formata comunque una coalizione poveri-ricchi, nella quale i neo-conservatori hanno tratto i maggiori frutti sotto le bandiere dei teo-conservatori, e si è arrivati allo schieramento teo-neo, che è attualmente il sostegno di George Bush, matrice della base della guerra in Iraq, secondo quella teoria dell’uso discrezionale della potenza, teorizzata da Robert Kagan nei suoi studi, divenuti famosissimi, sul neo-conservatorismo, in cui descrive gli americani come “figli di Marte” e li contrappone agli europei come “figli di Venere”. Secondo questa prospettiva, gli europei sarebbero dei perdigiorno, che si perdono nella cultura estetica del benessere, mentre gli americani sono rudi “figli di Marte”, sempre pronti al combattimento. Quello che è successo in Iraq ha tolto molto prestigio a questa teoria e, al momento, mentre stiamo parlando, sappiamo che il 75% degli americani è contrario a quel sostegno alla guerra in Iraq che sia i neo-con sia i teo-con hanno appassionatamente dato al debutto e alla seconda elezione di George W. Bush.

Perché, a proposito del movimento teo-con, si parla da più parti di “neo-integralismo” o “neo-fondamentalismo” cristiano? Su cosa si fonda tale giudizio?

Si fonda su un’interpretazione pietrificata della Bibbia. Nessuna interpretazione è possibile, la Bibbia va accettata e seguita in modo letterale, e questa è la ragione per la quale, ad esempio, viene da un lato ripudiato l’evoluzionismo darwiniano – e da qui la proibizione anche legislativa, in molti Stati americani, di insegnare l’evoluzionismo –, dall’altro, si profila una rivoluzione nell’insegnamento della storia, per effetto della quale si proibisce di insegnare nelle scuole pubbliche americane che l’evoluzione del mondo è avvenuta attraverso milioni di anni, perché, secondo l’interpretazione letterale della Bibbia, deve essere avvenuta soltanto nell’arco di 5-10.000 anni. Questi due temi sono ovviamente simbolici ma ci dicono che, dalla pena di morte alla conduzione dei processi, dai dettagli della vita politica alla rappresentazione della realtà nelle scuole e alla ricerca scientifica, tutto deve essere rigorosamente regolato non dall’interpretazione del pensiero cristiano, non dall’armonizzazione della scienza con la teologia, ma da una rigorosa prevalenza della teologia e da una pietrificata ed inalterabile interpretazione della Bibbia.

Se questa etichetta di integralismo regge, ha allora senso provare a confrontare questo con quello che siamo abituati a qualificare come integralismo islamico. Vorrebbe tracciare alcune linee guida a partire dalle quali impostare un possibile confronto?

Il confronto è piuttosto evidente. Il fondamentalismo cristiano chiede di non distinguere tra Chiesa e Stato; chiede che sia legge la proibizione dell’aborto, che sia legge la pena di morte, che sia legge l’intoccabilità dell’embrione, che sia legge tutto ciò che viene dettato dalla Chiesa. E chiede la superiorità del dettato teologico rispetto al dettato giuridico; impone che le leggi non modifichino ciò che dicono le varie Chiese, o meglio, ciò che si ritiene dettato direttamente dalla Bibbia. Di conseguenza, si abbozza una giustizia cristiana che si stacca gradatamente dalle sue radici greco-romane, per accostarsi ad una sharia cristiana. Del resto, che altro era, se non una sharia cristiana, il rogo delle streghe nell’America dei puritani di cui parla Arthur Miller nel suo dramma Il crogiuolo, che era d’altra parte una metafora dell’America dell’estrema destra del maccartismo. Come si vede, ci sono degli aspetti abbastanza evidenti del neo-cristianesimo e del fondamentalismo cristiano che lo accostano di parecchio al fondamentalismo islamico, il che significa: prima la Chiesa, prima la religione, prima Dio, prima i testi sacri: che si chiamino Vangelo, Bibbia o Corano, la differenza è irrilevante dal punto di vista del rapporto con la politica.

È anche interessante vedere come questa somiglianza travalichi una delle classiche bandiere dell’americanismo, ovvero i diritti degli individui e della persona, che sembrano per così dire “bypassati” all’interno dell’integralismo di matrice cristiana.

L’integralismo di matrice cristiana ha guidato il Patriot Act di George Bush, con il quale si sancisce un fatto senza precedenti, cioè il diritto di intercettare qualunque americano, il diritto di limitare fortemente le libertà private, di interferire con i servizi e le intercettazioni su tutta la vita americana, di limitare i processi e la difesa, di imprigionare senza identificare, di non dare risposte o spiegazioni alle persone arrestate. Sono tutte cose inconcepibili nella tradizione giudaico-cristiana e in quella giuridica greco-romana, ma sono inconcepibili anche nel diritto comune che è sempre stato fondamento della vita americana e inconcepibili nella Costituzione americana, che si è basata su una rigorosa separazione tra i principi religiosi e i principi statuali, in cui tutti i principi statuali sono stati tratti dai fondamenti greco-romani del diritto.

È per altro possibile distinguere più anime all’interno di quello che, forse, appare come un unico “movimento” solo perché inquadrato da una certa distanza?

Certamente dobbiamo, e per molte ragioni pratiche, prima ancora di addentrarci nell’esame dei testi, o tentare l’avventura della profezia del “che cosa accadrà”. Noi ci accorgiamo del distacco graduale ma anche consistente e della continua dichiarazione di dissenso da parte ex neo-conservatori, di teo-conservatori, ma soprattutto dei conservatori che originariamente si sono uniti e hanno consentito la creazione dell’America di George W. Bush. Il Senato americano, che è a maggioranza repubblicana, in questi giorni, sta tenendo testa al Presidente americano, che è andato in televisione a chiedere al Senato, cercando di creare una pressione di opinione pubblica, di – espressione letterale che sto traducendo – «abbassare la testa in nome della sicurezza nazionale» e di accettare degli irrigidimenti della legge sulla sicurezza che il Presidente degli Stati Uniti sta proponendo al Senato e che quest’ultimo sta rifiutando. Vediamo poi questo distacco in articoli che sempre più frequentemente appaiono su giornali americani, in particolare sul “New York Times” e sul “Washington Post”, a firma di grandi personaggi che avevano sostenuto e abbracciato la politica sia estera che interna di Bush e che invece dichiarano ora il proprio distacco. Lo vediamo nell’esito, ormai compiuto, di tutte le elezioni primarie americane che precedono le elezioni di mezzo che avranno luogo nel mese di novembre 2006: ovunque, fra repubblicani e fra democratici, ha vinto chi si è distaccato dalla politica di rigidità e di guerra di George Bush; ha vinto fra i democratici, ma ha vinto anche fra i repubblicani. Dunque le venature di distacco sono vive e profonde.

In un mondo globalizzato quale il nostro, che sta progressivamente riconfigurando i rapporti economici, politici, giuridici e sociali sempre più chiaramente al di là dello Stato-nazione, il nesso religione-politica sembra ancora strutturarsi su basi, specificità ed orizzonti nazionali. Solo le prospettive religiose qualificabili come “integraliste”, ancorate ad un passato non riproponibile o ad una visione idealizzata del mondo, sembrano aver sviluppato una vision che va al di là della sfera nazionale e che pone nuove sfide sull’agenda della politica e delle relazioni internazionali. Cosa pensa di questa ipotesi di lettura dell’odierno panorama religioso?

Non mi trovo d’accordo con queste premesse, perché l’intero movimento teo-con è assolutamente internazionale, ma lo è anche la Chiesa cattolica, che invece ne ha preso le distanze nettamente. Il dialogo, abbastanza aspro, che ha avuto luogo subito prima della guerra in Iraq tra Giovanni Paolo II e George Bush, un dialogo ed un confronto all’aperto tra “sì guerra” – “no guerra” è stato certamente globalizzato e planetario ed ha mobilitato milioni di persone da una parte e dall’altra in tutto il mondo e, addirittura, nelle stesse ore. Quindi le stesse posizioni che si oppongono al teo-con e al neo-con attraversano il mondo, attraversano gli intellettuali e la cultura, hanno voci di grandissima portata, da una parte e dall’altra, che risuonano in tutto il mondo e allo stesso modo accade per gli schieramenti politici. Coloro che sostengono George Bush in Italia, in Europa, in Francia e in Inghilterra sono una frattura nel corpo dell’unità europea, che d’altra parte si riproduce in coloro che antagonizzano la politica americana, unendosi, in questo modo, al di là dell’Europa, con molte altre parti e pensieri del mondo. Tutto quello di cui abbiamo discusso fino ad ora riflette certamente un mondo globalizzato; abbiamo parlato prevalentemente dell’America, perché ci offre più documenti, più personaggi ed esercita anche più influenza su tutti noi, anche a causa del livello di potere. Però stiamo parlando di un fenomeno che avviene qui come in India, certamente in Italia, certamente in Inghilterra, certamente in Svezia, certamente nella nuova Europa dell’Est, certamente in Giappone; attraversa e segna il mondo esattamente nelle correnti inverse, l’una contraria all’altra, l’una in scorrimento opposto all’altra, che abbiamo descritto parlando degli Stati Uniti.

Certo, questo è vero. Mi permetto però di aggiungere che è vero anche che quanto ha ora sottolineato è stata appunto una re-azione e non una pro-posizione dal punto di vista della vision complessiva. Con una metafora sportiva, rispetto ai neo-integralismi di parte cattolica o islamica, potremmo dire che il resto del mondo (religioso e non) ha giocato una sorta di palla di rimessa e non una palla in battuta. In questo senso provavo ad articolare sopra la domanda. Non so se da questo punto di vista lei può trovarsi più o meno d’accordo.

Sì, da questo punto di vista. Però proprio in questi giorni ci troviamo di fronte ad un fenomeno creato intorno alla Chiesa cattolica dalle parole del teologo Ratzinger – che è anche il Papa Ratzinger – dette nella lezione di Ratisbona. Per questa ragione notiamo l’affiorare di un cacciato di fondamentalismo cattolico accanto al fondamentalismo cristiano di cui abbiamo parlato fino ad ora, che del resto avevamo notato anche nella vita italiana con cattolici come Marcello Pera o quelli presentati da “Il Foglio”. Dunque i fenomeni sono in continua evoluzione con aspetti che, a chi le sta parlando in questo momento, danno ragioni di speranza e, al tempo stesso, ragioni di ansia.

Vorrei concludere con un riferimento al nesso religione e vita quotidiana. Come viene interpretata, nel vissuto concreto, la sfida che i teo-cons hanno lanciato al relativismo e al multiculturalismo? Per altro verso – e con tutte le virgolette del caso – è a suo avviso comunque possibile riconoscere una sorta di “dottrina sociale” di matrice teo-con?

La teoria sociale di matrice teo-con è presto definita: nel senso che non esiste. Non solo non esiste, ma viene negata nel momento in cui si ritiene che le sole opere che contano sono quelle per la migliore rappresentazione e purificazione di se stessi, ma non esiste alcuna immaginazione del “sociale”: ognuno per sé, nel senso che la Grazia è individuale, ti coglie individualmente, devi rispondere individualmente. Non esiste l’altra grande idea del cristianesimo che è la comunità, che viene dalle prime e originarie comunità cattoliche ma che è sempre stata tipica della cultura protestante. Questa idea in ambito teo-con non esiste; esiste il solitario impegno individuale sia per il successo che per la salvezza. Dunque non c’è dottrina sociale, c’è anzi un’appassionata negazione della sua necessità, ma anche una denuncia di ogni dottrina sociale come un pericolo ed una deviazione dall’impegno religioso.
Per quanto riguarda il vissuto quotidiano americano, la vita americana di per sé ormai sensibilmente contrasta con tutti gli assunti del neo-conservatorismo e del teo-conservatorismo e, per questa ragione, è molto probabile che prevalga, con forza, e con la sua forza pragmatica, la vita quotidiana americana. Ad esempio, il multiculturalismo è un dato ineliminabile della vita americana, è un dato di fatto molto più grande e molto più forte della negazione di esso. Un secondo esempio, più specifico: la comunità arabo-americana, che annovera ormai tra i sei e i sette milioni di persone, ed è della stessa grandezza della comunità ebraica, ha il livello economico più alto di tutti i gruppi etnicamente identificabili. Questo ci dice una verità incredibile sulla vita americana a confronto con i manifesti politici americani con cui continuamente ci misuriamo. Questo vuol dire che queste persone vivono libere, vivono in pace e senza difficoltà, si inseriscono bene, rispettano e sono rispettate e non sono impedite da oscurantismi di nessun genere. Questo è un elogio della vita americana, ma ci mostra anche la divaricazione tra quello che noi discutiamo come teorie politiche e quello che avviene effettivamente nella forza pragmatica della vita americana.


Intervista rilasciata il 16 settembre 2006


E-mail:
torna su