1. Il problema dell’individuazione di un ceto medio
Le riforme economiche degli ultimi trent’anni hanno trasformato profondamente la società cinese, dando vita a nuove categorie occupazionali e nuovi gruppi sociali. In questa articolata e più complessa stratificazione, particolarmente interessante risulta la presenza di un ceto medio, la cui comparsa è stata rilevata inizialmente dai giornalisti per poi divenire successivamente oggetto di studio e di dibattito da parte di sociologi e studiosi. Infatti le opinioni di quest’ultimi spesso non concordano sui criteri e i parametri in base ai quali identificare la presenza di un ceto medio.
Sul problema della corretta individuazione di tale strato gravano anche le generalizzazioni dei media occidentali, che spesso lo identificano con la fascia dei nuovi ricchi e di quanti dispongono oggi in Cina di potere e ricchezza; costoro appartengono a un’élite economica piuttosto che a un vero e proprio ceto medio, simile a quello delle società occidentali. Infatti, anche in Occidente, individui che percepiscono un reddito medio non potrebbero permettersi un tenore di vita eccessivamente alto, simile a quello dei nouveaux riches di altri paesi ex-socialisti, alla costante ricerca di un lusso sfrenato e spesso stravagante. Lo status di appartenenza alla nuova élite in Cina è caratterizzato dall’ammissione a circoli privati ed esclusivi, dal possesso di automobili di grossa cilindrata e di barche di lusso, dallo sfoggio di capi griffati e di alta sartoria, dall’ostentazione di accessori e oggetti rifiniti con materiali pregiati. L’identificazione di tale gruppo con un ceto medio da parte dei media occidentali porta quindi a non pochi equivoci e a molte analisi fuorvianti anche dal punto di vista delle potenzialità del mercato cinese.
In lingua cinese ‘ceto medio’ è reso come zhongchan jieceng o zhongjian jieceng; la stessa dicitura inoltre è spesso utilizzata da alcuni autori per indicare la classe media[1]. Anche in questo caso si preferisce oggi adoperare jieceng, “strato”, un vocabolo privo di connotazioni politiche e più neutro rispetto a jieji, “classe”, un termine del quale si è abusato talmente tanto nelle passate analisi della società cinese da farlo diventare ormai quasi obsoleto; essendo infatti strettamente associato all’idea di lotta e conflitti di classe, esso richiama una vecchia immagine della società cinese legata a un passato rivoluzionario da cui si tende ora a prendere le distanze.
Rispetto alla classe media esistono non pochi preconcetti e tabù di natura ideologica in base ai quali essa è stata identificata in passato con la borghesia e l’ideologia borghese: infatti nel 1989 Jiang Zemin si era espresso in maniera negativa verso quanti avessero auspicato la crescita di una classe media, che potesse costituire la base di sostegno per rovesciare il sistema socialista[2]. Tale preoccupazione derivava in parte dall’assunto in base al quale una classe media avrebbe aspirato inevitabilmente alla democrazia, dando impulso, anche in un regime totalitario, alla riforma politica; una visione che va però contestualizzata all’indomani della sanguinosa repressione di piazza Tian’anmen e del dibattito interno al Partito comunista sulla crisi dell’Unione Sovietica.
Alla luce di ciò sembra assumere un preciso significato politico il problema della datazione della nascita di un ceto medio, a seconda se si tratti degli inizi, della metà o della fine degli anni ’90. Per questo periodo più tardo protende infine la maggior parte degli studiosi, sebbene i pareri non siano unanimi; infatti solo a partire dalla fine degli anni ’90 potrebbero essere presi in considerazione alcuni parametri, quali il tenore di vita e la composizione dei consumi: indicatori la cui rilevanza, secondo i più, starebbe a certificare la presenza di uno strato intermedio. Prima di tale periodo non si potrebbe ritenere consolidata la formazione di un ceto medio, a causa dell’assenza anche di altri fattori socio-economici chiave, quali l’avanzato avvio di un processo di urbanizzazione e un aumento della ricchezza prodotta dal terziario tale da superare il 50% del PIL[3].
Negli anni ’50 fino ai primi anni ’80 sarebbe esistito uno strato sociale intermedio formato da funzionari governativi, intellettuali e impiegati delle imprese statali; categorie che però, dopo l’inizio delle riforme economiche, avrebbero perso la propria connotazione sociale. Alla fine degli anni ’90 sarebbe emerso un nuovo strato intermedio, di cui fanno parte i funzionari di organismi statali, i quadri di partito, i manager di imprese statali, gli imprenditori privati, il personale tecnico specializzato, gli occupati nelle jont-ventures, nelle imprese a capitale straniero e nei nuovi settori emergenti, in gran parte giovani d’età compresa tra i venti e i trent’anni, con un buon livello di istruzione.
2. I principali indicatori per l’appartenenza al ceto medio
Come abbiamo accennato, tra gli studiosi il dibattito è acceso riguardo la composizione del ceto medio: diverse sono le opinioni circa quali fasce della popolazione e quali categorie occupazionali possano essere in esso annoverate. Non esiste uniformità neanche sugli indicatori di appartenenza a tale strato, tra cui il reddito sembra però il criterio principale di caratterizzazione: l’importanza di questa variabile è determinata proprio dal significato dei due ideogrammi zhongchan[4], che stanno ad indicare un livello medio di ricchezza.
La fascia di individui che percepisce un reddito medio annuale compreso tra i 150.000 e i 300.000 yuan (15.000–30.000 euro) sembra crescere dell’1% ogni anno: essa è passata dal 15% dell’intera popolazione, nel 1999, al 19% nel 2003; nel 2020 potrebbe toccare il 40%[5]. Nel determinare il livello di reddito è necessario tener conto delle differenze geografiche che intervengono tra le diverse aree del paese e che non possono essere tralasciate: ad esempio, per uno stesso tipo di occupazione, nel 2002 si percepivano 435 yuan al mese nel Jilin e invece 1.033 nel Zhejiang[6]. Pertanto può essere considerato appartenente al ceto medio chiunque usufruisca di un reddito superiore al livello di reddito medio percepito in ciascuna determinata provincia cinese.
Oltre al reddito devono essere considerati anche altri indicatori, su cui esistono opinioni diverse da parte degli analisti; su tale problema si è però pronunciata in modo autorevole la più influente istituzione accademica del paese, dotata di notevole peso politico: l’Accademia delle Scienze Sociali. Infatti in uno studio del 2004[7] sono stati fissati ufficialmente quattro indicatori per l’appartenenza al ceto medio: occupazione, reddito, tenore di vita e livello dei consumi, coscienza soggettiva di appartenenza. Non sono stati, però, presi separatamente in considerazione il livello di istruzione e il titolo di studio.
Relativamente alla variabile occupazione, si ritiene che i componenti del ceto medio non debbano essere lavoratori manuali, ma “colletti bianchi”, i quali dovrebbero aver raggiunto il 40% del totale della forza lavoro per poter certificare, secondo alcuni, l’esistenza di un ceto medio[8].
Un altro parametro importante è quello del tenore di vita e del livello dei consumi, un indicatore altrettanto difficile da stabilire data l’assenza in Cina di una società dei consumi matura. Anche in questo caso bisogna tener conto delle enormi differenze che intercorrono tra un’area e l’altra del paese. Al fine di individuare dei criteri per rendere omogeneo il livello dei consumi, l’appena citato studio del 2004 prende in considerazione i vari elettrodomestici e i beni di consumo posseduti da una famiglia tipo, suddividendoli in quattro gruppi:
1 - elettrodomestici ritenuti ormai indispensabili per un livello di vita standard e che la maggior parte delle famiglie urbane possiede: televisore a colori, frigorifero, lavatrice;
2 - elettrodomestici il cui possesso è indicativo di un tenore di vita più elevato e di una maggiore disponibilità economica: telefono fisso, telefono cellulare, impianto stereo componibile, macchina fotografica, condizionatore, forno a microonde;
3 - computer, telecamera, pianoforte, scooter o motocicletta;
4 - automobile.
Per determinare l’appartenenza al ceto medio bisognerebbe accertare il possesso di almeno la maggior parte dei beni contenuti nei primi due gruppi, se non quelli del terzo e del quarto.
Infine nello stesso studio già citato viene considerato un indicatore soggettivo, la coscienza di appartenenza, in base a una suddivisione indicativa della società in cinque gruppi o strati: superiore, medio superiore, medio, medio inferiore e inferiore; di essi soltanto i primi tre sono considerati equivalenti a un ceto medio. I soggetti del campione preso in esame[9] hanno così risposto: l’1,3% si è ritenuto facente parte di uno strato superiore e il 7,1% di uno medio superiore; la percentuale più alta, il 38,4%, invece, di quello medio centrale e il 23,2% di quello medio inferiore. Bisogna inoltre considerare che tra costoro la percentuale maggiore ha un livello di istruzione elevato, un fattore determinante per la coscienza di appartenenza al ceto medio.
Per quanto riguarda i risultati generali della campionatura, è stata diversa l’incidenza dei vari parametri fissati: un sesto degli intervistati è stato riconosciuto come appartenente al ceto medio per il tipo di occupazione, un quarto per il reddito, un terzo per i consumi e la metà per la coscienza di appartenenza. Quindi il criterio soggettivo è risultato come il l’indicatore maggiormente significativo.
3. Il ceto medio come fattore di stabilità sociale
Rispetto a quanto abbiamo già detto riguardo alla fine degli anni ’80, recentemente l’atteggiamento del Partito è radicalmente mutato, adeguandosi alle trasformazioni sociali sopraggiunte: nel suo rapporto al XVI Congresso del Pcc nel 2002, Jiang Zemin ha parlato della necessità di «allargare la percentuale di coloro che percepiscono un reddito medio»[10]. Il termine usato è stato zhongdeng shouruzhe, senza che fosse menzionato esplicitamente un ceto medio o tanto meno una classe media.
La necessità di ampliare lo strato intermedio risponde quindi oggi a un’esigenza politica, quella di costituire un gruppo che intervenga a modificare l’attuale stratificazione della società cinese: essa infatti presenta una struttura molto piramidale, con una polarizzazione alle due estremità, al vertice e alla base della compagine sociale. Da una parte c’è uno strato superiore alquanto ristretto, che ammonta al 5% del totale, ma che controlla una parte enorme delle risorse sociali; dall’altra, una base molto ampia, costituita dagli strati inferiori, che comprende la maggior parte della popolazione, l’80% del totale, ma che si trova in condizioni di povertà[11].
Tra queste due estremità, la parte centrale occupa circa il 15%, una percentuale in realtà alquanto esigua, che avrebbe necessità di espandersi. La consistenza di uno strato intermedio però è sovrastimata nelle valutazioni dei media occidentali, che propagandano l’esistenza di un ceto medio assai esteso e dalle grandi disponibilità economiche: quella che costituisce attualmente ancora una grande potenzialità di mercato viene invece descritta come una realtà già consolidata.
Il modello piramidale, che comporta una eccessiva polarizzazione del reddito e della ricchezza prodotta, non può produrre stabilità sociale, causando invece tumulti e disordini, come frequentemente avviene oggi in molte aree del paese. Al contrario, in una società in cui le dimensioni dello strato intermedio siano ampie, la distribuzione delle risorse sociali risulterebbe molto più razionale, con una limitata differenziazione nella ripartizione della ricchezza, facendo in modo che si riduca il divario tra individui molto benestanti e indigenti. Considerato come uno strato cuscinetto tra i più ricchi e i più poveri, il ceto medio ricoprirebbe un ruolo tale da appianare la contrapposizione tra strati inferiori e superiori, favorendo la stabilità sociale.
Questa capacità di facilitare l’equilibrio della compagine sociale ha fatto sì che alcuni studiosi teorizzassero il ruolo svolto dal ceto medio proprio in quanto “fattore di stabilità”[12]. Secondo questa “teoria della stabilità”, lo strato intermedio assumerebbe una posizione centrale e di equilibrio tra i diversi gruppi: riuscirebbe a fare in modo che i propri interessi non siano in contrapposizione con quelli dello strato inferiore, di cui può accogliere le debite aspettative, stemperando le contrapposizioni sociali. Rispetto alle classi superiori, il ceto medio sarebbe in grado di difendere con dignità il proprio status, caratterizzandolo con un proprio sistema di valori e definendo una propria forte identità nei settori culturale, politico ed economico. In quest’ultimo campo, dal momento che esso rappresenta il più importante gruppo di consumo, lo strato intermedio è chiamato a svolgere una funzione propulsiva per l’intera economia di mercato.
4. L’orientamento politico del ceto medio
Un altro tema interessante, oggetto delle speculazioni degli studiosi soprattutto occidentali, è quello dell’orientamento politico del ceto medio in Cina. Mentre in politica estera esso pare attestarsi su un nazionalismo molto spiccato[13], in politica interna sembra assumere le caratteristiche presentate dal ceto medio dei paesi occidentali, che si pone su posizioni politiche moderate e che non è fautore di vasti mutamenti sociali. Lo ha dimostrato una ricerca sulla nuova classe media della provincia nord-occidentale dello Shanxi, nella quale si rileva come la posizione politica di tale strato sia chiaramente schierata a sostegno dello Stato-partito[14].
Quanto il ceto medio dei maggiori centri urbani miri a salvaguardare i propri interessi senza mettere in discussione l’ordine politico esistente è provato da altri studi recenti: tale tendenza conservatrice è evidenziata dall’analisi delle attività di due comitati per la difesa dei diritti dei proprietari di immobili a Canton e a Pechino[15]. Qui, come in altre grandi aree metropolitane, il tessuto sociale urbano sta subendo profonde trasformazioni proprio in seguito all’espansione della proprietà immobiliare, che è ormai diventata uno dei principali status symbol per l’appartenenza al ceto medio.
In tale contesto si inseriscono anche le recenti dimostrazioni avvenute a gennaio e febbraio 2008 a Shanghai, per opporsi al prolungamento della linea del treno ad alta velocità a lievitazione magnetica[16]. Il 12 gennaio una folla di manifestanti ha organizzato una marcia pacifica dinanzi gli uffici della municipalità, protestando per l’impatto ambientale del progetto, per l’inquinamento acustico, per le possibili radiazioni, ma soprattutto per la svalutazione delle proprietà immobiliari situate nei pressi della linea; la leva economica ha costituito senza dubbio il fattore determinante[17]. È stata un’azione dimostrativa da parte di un ceto medio politicamente consapevole, sceso in campo per la difesa dei propri interessi economici e che ancora una volta non si è posto in contrapposizione con l’ordine costituito. Questo caso risulta particolarmente interessante sia per la piena consapevolezza dei propri diritti che per le modalità adoperate nella protesta: nel riuscire a richiamare l’attenzione dei media e nell’utilizzare internet per la mobilitazione.
Un’ulteriore chiave di lettura per comprendere le attitudini politiche del nuovo ceto medio urbano è fornita da un’altra originale analisi della stratificazione contemporanea, che distingue tra strati “all’esterno” e “all’interno del sistema”[18]. Di quest’ultimo gruppo fanno parte i membri del ceto medio che lavorano in unità appartenenti al settore pubblico e che godono di vari benefici garantiti dallo Stato: abitazioni a basso costo, assistenza sanitaria pressoché gratuita, copertura pensionistica e una vasta gamma di sussidi di varia natura, relativi a bonus e rimborsi per i trasporti, le comunicazioni, l’educazione dei figli e persino i pasti. Al contrario, coloro posti “al di fuori del sistema”, poiché operano nel settore non pubblico, non godono degli stessi privilegi e vantaggi garantiti, invece, a chi è un dipendente statale. Rispetto a questi ultimi, dato che ha usufruito di vantaggi molto maggiori, lo strato “interno” deve la propria sopravvivenza al sistema stesso; esso, perciò, ha interesse a che sia mantenuto lo status quo esistente e rappresenta il più convinto sostenitore del Partito comunista e dell’attuale struttura economico-sociale.
Tale provato conservatorismo politico sembra quindi rovesciare quanto fino a qualche tempo fa sostenuto dagli analisti occidentali: l’assunto in base al quale, attraverso un’ulteriore espansione, il ceto medio, per meglio tutelare i propri interessi, potesse porsi in contrapposizione con il regime esistente, dando impulso a una reale riforma del sistema politico.