Premessa
È fatto largamente riconosciuto che la strategia di sviluppo socialista portata avanti in Cina tra il 1949 e la seconda parte degli anni Settanta (quello che viene definito normalmente come “periodo maoista”) si sia dovuta confrontare con una serie di fattori avversi, tra cui: a) l’enfasi sullo sviluppo industriale a scapito dei servizi e dei consumi; b) la relativa lentezza nella capacità di creare nuovi posti di lavoro; c) le caratteristiche dello sviluppo industriale, segnato da una forte enfasi sulle industrie pesanti ad alta intensità tecnologica e di capitale a scapito delle industrie produttrici di beni di consumo ad alta intensità di lavoro. Ed è altresì opinione fortemente condivisa che la Cina non si sia rifatta ad un alcun modello specifico e dettagliato al fine di avviare, a partire dalla fine degli anni Settanta, il processo di riforme noto comunemente come “quattro modernizzazioni” (Jeffries, 2006; Naughton, 2007) [1].
Tale processo ha seguito varie fasi sino a giungere all’attuale caratterizzata, secondo gli stessi Cinesi, dall’esistenza di una “economia socialista di mercato”. Al di là delle formule, possiamo affermare che l’esperienza cinese in questi trenta anni rappresenti un esempio, segnato da straordinari successi ma anche da evidenti contraddizioni, di una politica di riforme graduale [2] finalizzata a guidare il paese nel processo di “transizione” dal modello socialista maoista a quello attuale, caratterizzato da rapida crescita, crescente ruolo del mercato, industrializzazione e urbanizzazione e da un crescente protagonismo regionale ed internazionale.
Oggi, la transizione da una “economia socialista pianificata” ad una “economia socialista di mercato” (per usare ancora la terminologia cinese) appare largamente – anche se certo non del tutto – compiuta e la sfida futura si sta gradualmente spostando dal tema della “transizione” a quella dello “sviluppo”. Si tratta di una sfida sicuramente non meno complessa e ardua di quella sin qui portata avanti, nel cui ambito si collocano obiettivi di grande portata quali la necessità di investire nelle infrastrutture fisiche, di assicurare la crescita qualitativa delle risorse umane, di creare istituzioni efficienti e stabili, di fare fronte alle nuove domande sociali e in particolare proteggere i settori più vulnerabili ed esposti della popolazione (Ciarlone e Amighini, 2007).
Nelle pagine che seguono si cercherà di mettere in evidenza i temi che sono oggi al centro del dibattito in seno alla dirigenza cinese circa le caratteristiche e le modalità dello sviluppo. In particolare, nella prima parte ci si soffermerà su alcune questioni relative alla elaborazione teorica della strategia dello “sviluppo scientifico” avanzata negli ultimi anni, nella seconda parte ci si concentrerà sugli aspetti principali relativi al dibattito sullo sviluppo regionale e infine, nella terza ed ultima, sull’esperienza concreta della creazione di Dongtan e delle prime città eco-sostenibili in Cina.
Uno sviluppo “scientifico”
Sin dal sedicesimo congresso nazionale del Partito Comunista Cinese (PCC), tenutosi nel novembre 2002, e dalla successiva sessione annuale dell’Assemblea Nazionale Popolare (ANP, una specie di parlamento), svoltasi nella primavera del 2003 [3], i temi legati alle caratteristiche e alla sostenibilità dello sviluppo in Cina sono stati posti all’attenzione del dibattito generale, avviando pur gradualmente il superamento di quella fase di forte enfasi sullo “sviluppo quantitativo” che aveva largamente dominato la strategia cinese nel corso degli anni Novanta. Nel nuovo Statuto del PCC emendato durante il congresso del 2002, si fa ad esempio chiaro riferimento all’obiettivo di promuovere uno sviluppo sostenibile, di ringiovanire il paese attraverso la scienza e l’educazione e di promuovere l’innovazione. Con “innovazione”, viene precisato in vari documenti approvati dal sedicesimo congresso, non ci si intende limitare agli aspetti meramente pratici, scientifici e tecnologici ma si intende andare oltre, prefigurando l’indispensabilità di accompagnare il progresso della scienza e della tecnologia (e quindi dello sviluppo “materiale”) con un processo di emancipazione degli animi (e quindi uno sviluppo “spirituale”) che consenta di mantenere il passo con i tempi (Samarani, 2002).
Negli anni seguenti, altre analisi e documenti sono stati prodotti al riguardo. Tra questi, la “Risoluzione del Comitato Centrale del PCC su alcune questioni relative al miglioramento dell’economia socialista di mercato”, approvata nell’ottobre del 2003 e la “Risoluzione del Comitato Centrale del PCC sul rafforzamento delle capacità di governo”, approvata nel novembre 2004.
La prima (Mirando, 2003) sembra già allontanarsi dalla visione più tecnocratica dello sviluppo elaborata negli anni precedenti e fa emergere l’esigenza di un processo di crescita più equilibrato che tenga maggiormente conto dei fattori di squilibrio sociale e territoriale. Al di là della riaffermazione degli straordinari successi conseguiti nel corso delle riforme, il documento sottolinea con forza i numerosi problemi irrisolti, tra cui la scarsa efficienza del sistema di distribuzione delle risorse, la crescita eccessivamente lenta del reddito nelle aree agricole, gli squilibri occupazionali, il nodo delle risorse ambientali, ecc.
Nella seconda risoluzione (Mirando, 2004) l’analisi si fa ancor più attenta e approfondita, ponendo tra le priorità di una efficace azione di governo il problema di una visione “scientifica” dello sviluppo e della governance. Con il termine “scientifico”, che ricorre frequentemente nelle pagine del documento, si intende evidenziare alcuni aspetti essenziali:
Sviluppo e disparità regionali
Con la nascita della Repubblica Popolare Cinese (RPC) nel 1949, si è assistito nel corso dei decenni a vari mutamenti, spesso radicali, nella politica dello sviluppo regionale (Yingqi Wei e Xiaming Liu, 2004; Samarani, 2004). Negli anni Cinquanta e Sessanta, la Cina ha adottato una strategia nel cui ambito la priorità dello sviluppo economico era affidata alle regioni interne più arretrate e in particolare, tra il 1964 e il 1966, al cosiddetto “terzo fronte”. Con tale espressione, ci si riferisce ad un massiccio programma di investimenti nelle regioni interne (sud-ovest in una prima fase, nord-ovest successivamente) mirante a creare delle basi industriali che avrebbero consentito al paese di acquisire un’indipendenza strategica. Costruendo impianti industriali in regioni spesso montagnose e remote, si ambiva ad assicurare che l’apparato industriale nazionale non fosse vulnerabile a minacce americane o sovietiche.
Successivamente, nella prima metà degli anni Settanta, la strategia è stata modificata e si è cominciato a spostare l’attenzione dalle aree dell’interno a quelle costiere. Successivamente alla morte di Mao Zedong e all’ascesa al vertice di Deng Xiaoping, il Sesto Piano Quinquennale (1981-1985) ha indicato come il modello dello sviluppo regionale dovesse basarsi su due priorità; la prima puntava a far sì che le aree costiere si impegnassero ai fini del miglioramento della struttura industriale, si concentrassero sugli investimenti e sul commercio estero e risolvessero il grave problema delle infrastrutture; la seconda mirava a far sì che le aree interne sviluppassero industrie attive nei settori energetico, delle materie prime e dei trasporti al fine di sostenere lo sforzo della costa.
Il Settimo Piano Quinquennale (1986-1990) ha segnato una chiara inversione di tendenza, segnando il passaggio dalla precedente visione di uno sviluppo relativamente equilibrato ad un approccio “a scala” in cui fossero le zone costiere a trainare lo sviluppo economico prima che questo conoscesse una seconda fase segnata dallo sviluppo delle aree interne. In questo ambito, nel 1988 venne formulata la strategia dello “sviluppo costiero”, ponendo le basi per l’apertura negli anni successivi di varie zone economiche, città aperte, aree e distretti per lo sviluppo economico e industriale. In questa fase venne particolarmente incoraggiato lo sviluppo di industrie high-tech e di settori di servizi nelle aree costiere.
Le strategie di sviluppo nei successivi piani quinquennali (l’Ottavo, 1991-1995 e il Nono, 1996-2000) hanno segnato, da una parte, la continuazione del precedente modello ma, dall’altra, hanno visto il graduale inserimento di misure atte a ridurre le disparità regionali, sino alla forte enfasi posta – come si è visto sopra – nel corso di questi primi anni del XXI secolo sulla accelerazione dello sviluppo nelle aree centrali e occidentali (e quindi sul riaggiustamento delle disparità esistenti), sulla promozione di uno sviluppo regionale più coordinato e, soprattutto, sulle compatibilità dello sviluppo. È nell’ambito di questa nuova tendenza che nel 1999 è stata lanciata, per l’appunto, la campagna “andare ad ovest”, finalizzata sostanzialmente a migliorare le infrastrutture e attrarre investimenti esteri nelle parti occidentali del paese.
Più nello specifico, le prospettive future sinora delineate prevedono tre linee d’azione diversificate sul piano territoriale ma fortemente coordinate tra di loro; la prima prevede che le regioni costiere orientali mantengano la loro posizione di avanguardia nell’innovazione scientifica e tecnologica e nell’apertura al mondo esterno; la seconda individua il compito delle regioni centrali nell’incrementare i livelli di industrializzazione ed urbanizzazione, rafforzare il proprio ruolo in agricoltura e industrializzare il settore agricolo; la terza, infine, mira a sviluppare l’ovest puntando a sviluppare le potenzialità economiche locali, aprire l’area al mondo esterno e utilizzare capitali nazionali ed internazionali per garantirne il processo di crescita.
È sicuramente un compito di medio e lungo termine, nel cui ambito occorrerà non solo – come indicato sopra – stimolare efficacemente e coordinare al meglio le specificità e potenzialità di cui ogni area è dotata ma altresì, all’interno delle tre macroaree (est, centro, ovest, ma soprattutto della seconda e della terza), incentivare le capacità delle singole province a portare avanti proprie strategie basate sulle risorse disponibili e a collaborare successivamente al processo di coordinamento regionale.
Dongtan, una città eco-sostenibile. Alcune note conclusive
Tra pochissimi anni, nel 2010, in occasione dell’Expo di Shanghai, dovrebbe concludersi – si spera con successo – la prima fase della costruzione di Dongtan, prima città eco-sostenibile in Cina, il cui completamento è previsto entro il 2040 (Il Sole24Ore, 9 febbraio 2007; ANSA, 5 febbraio 2007; www.galileonet.it).
Situata nell’isola di Chongming, alla foce del fiume Yangzi e vicina alla metropoli di Shanghai, Dongtan dovrebbe poter ospitare, quando il progetto sarà completato, 500.000 abitanti.
L’area sulla quale dovrà sorgere la prima città eco-sostenibile in Cina, parte di un progetto più ampio che prevede la costruzione di altri centri analoghi in futuro, è attualmente occupata in gran parte da terreni agricoli, ed è collocata sulla punta meridionale dell’isola che è stata dichiarata pochi anni fa dal governo cinese centro naturalistico e ecologico di rilevanza nazionale.
Secondo i piani, Dongtan dovrà diventare una città residenziale e turistica di alta fascia, basata su edifici energicamente autosufficienti, dotati di tetto fotovoltaico e turbine eoliche; la rete di trasporti pubblici, elettrici e ad idrogeno, dovrà assicurare spostamenti a piedi in tempi accettabili all’interno della città. Collegata con Shanghai da una fitta rete metropolitana, Dongtan dovrà caratterizzarsi come area dedita principalmente ad attività agro-industriali, ovviamente sostenibili.
Si prevede che tutte le case a Dongtan siano orientate verso il sole, i veicoli viaggeranno a propulsione ibrida e nelle campagne sarà incoraggiata l’agricoltura biologica.
Il progetto di Dongtan, che sta suscitando consensi ma anche perplessità, è il frutto della cooperazione tra la Shanghai Industrial Investment Corporation (SIIC) e l’inglese Arup, consulente di fama internazionale nel campo della progettazione globale, ingegneristica e del design. In una serie di interviste (www.arup.com/news.cfm), il Direttore della Arup ha sottolineato come tale progetto rappresenti una chiara indicazione del serio impegno delle autorità cinesi a trovare delle soluzioni ai problemi posti dalle sfide della sostenibilità e della compatibilità. A sua volta, il Direttore della SIIC ha messo in luce l’impegno della Cina al fine di creare la prima città eco-sostenibile.
Anche l’Italia è coinvolta nel progetto attraverso la promozione dell’agricoltura biologica e sostenibile, ponendo al servizio dello sforzo cinese tecnologie innovative per l’irrigazione, la riduzione dei prodotti chimici e della salinità dei suoli nella produzione orticola e ortofrutticola. L’obiettivo generale è la creazione di un’area biologica sino-italiana all’interno del Chongming Dongtan Modern Park, finalizzata alla promozione di Chongming come “l’isola ecologica” di Shanghai.
Riferimenti bibliografici essenziali
— S. CIARLONE – A. AMIGHINI, L’economia della Cina. Dalla pianificazione al mercato, Carocci, Roma 2007.
— I. JEFFRIES, China. A Guide to Economic and Political Developments, Routledge, London-New York 2006.
— M. MIRANDA, Riforme e sviluppo sostenibile secondo il nuovo gruppo dirigente del PCC, “Mondo Cinese”, 117 (ottobre-dicembre 2003), pp. 3-12.
— M. MIRANDA, Il PCC discute di come migliorare la propria capacità di governo, “Mondo Cinese”, 121 (ottobre-dicembre 2004), pp. 3-9.
— B. NAUGHTON, The Chinese Economy. Transitions and Growth, MIT, Cambridge. Mass-London 2007.
— G. SAMARANI, Governare la Cina. Problemi e prospettive dopo il XVI Congresso del PCC, “Mondo Cinese”, 113 (ottobre-dicembre 2002), pp. 3-14.
— G. SAMARANI, La Cina del Novecento. Dalla fine dell’Impero ad oggi, Einaudi, Torino 2004.
— The China Quarterly, nn. 185 (March 2006) e 186 (June 2006).
— YINGQI WEI – XIAMING LIU, Convergence or Divergence? Debate on China’s Regional Development, Lancaster University Management School, Working Paper 002, 2004.
E-mail:
[1] Ossia la modernizzazione dell’industria, agricoltura, scienza e tecnologia, difesa nazionale.
[2] Simbolicamente, la gradualità del processo di transizione può essere ben rappresentata dalla formula proposta dagli stessi Cinesi di “fare due passi avanti e uno indietro”.
[3]È stato nel corso di tali sessioni che ha assunto la direzione del paese la cosiddetta “quarta generazione” della leadership, imperniata su Hu Jintao (a capo del partito) e Wen Jiabao (alla guida del governo).
[4] Uno dei casi citati al riguardo è quello della SARS.
[5] Il Programma è stato poi approvato nella primavera del 2006, nel corso della sessione annuale dell’Assemblea Nazionale Popolare.
[6] Per un recente interessante confronto tra “ottimisti” e “pessimisti” circa le prospettive future della Cina, si vedano tra gli altri il n. 130 (gennaio 2007) di “Prospect Magazine” (www.prospect-magazine.co.uk) e il contributo di M. DIESENDORF, Sustainable Development in China in www.sustainabilitycentre.com.au.