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Luigi Einaudi:
l'economia civile e l'edificazione della "società aperta"[1]

Pier Luigi Porta

Luigi Einaudi nasce nel 1874, il 24 marzo, a Carrù, una cittadina delle Langhe di circa 4000 abitanti in provincia di Cuneo.

Il padre, Lorenzo, era a Carrù concessionario per la riscossione delle imposte. Luigi aveva solo 14 anni quando il padre morì. La madre, Placida Fracchia, proveniva da una famiglia di una certa importanza a Dogliani, località sempre delle Langhe cuneesi di pari dimensioni rispetto a Carrù: dopo la scomparsa prematura del marito, ella si trasferì appunto a Dogliani, in realtà a poca distanza.

Uno zio materno, Francesco, avvocato, fece in sostanza da padre al giovane, gli infuse l'amore per la terra e la curiosità che anima gli studi, due passioni che Luigi coltivò ardentemente fin da giovane. Completati brillantemente gli studi liceali a Torino, Einaudi si iscrisse, sempre a Torino, nel 1891 alla Facoltà di Giurisprudenza. Studente di primissimo ordine, conseguì la laurea assai giovane e già durante gli anni universitari si mise in luce con un saggio sulla distribuzione della proprietà a Dogliani. Coltissimo, brillante, di spicco nella comunicazione scritta e nella capacità oratoria, sperimenta la passione per l'ideale socialista. Si tratta di un elemento importante che qualifica l'opera e il pensiero di Einaudi come economista, educatore e come figura ben presto di riferimento per l'Italia della prima parte del secolo ventesimo. Einaudi si avvicina alla collaborazione con la "Critica sociale", la rivista fondata e diretta dal grande socialista riformista lombardo Filippo Turati. Qui infatti apparirà il suo primo contributo a stampa. Si tratta di uno scritto sulla crisi agraria in Inghilterra che costituisce una rielaborazione del lavoro fatto per la sua tesi di laurea, discussa nel 1895.

Il lavoro sulla proprietà a Dogliani divenne anche una sua significativa relazione presentata nella sede del Laboratorio di economia politica, fondato da Salvatore Cognetti de Martiis presso la Facoltà di Giurisprudenza della Università di Torino. Il Laboratorio (così si chiamava) era in realtà un centro di ricerca di primissimo ordine al quale facevano riferimento gli studenti più portati per l'economia politica. A quell'epoca le Facoltà di Economia non esistevano nella forma che oggi conosciamo. Esistevano le cosiddette "Scuole superiori di Commercio", di recente istituzione, ma erano poco numerose. In ogni caso la Laurea in Giurisprudenza godeva di altissimo prestigio e i migliori economisti italiani dell'epoca provengono molto spesso dalle Facoltà giuridiche appunto. Torino aveva un primato nell'attrarre giovani con interesse per gli studi economici: aveva cioè il Laboratorio ed è appunto attraverso il Laboratorio che Einaudi realizza la sua vocazione di economista. Tra i compagni di strada vi erano nomi eccellenti, come Pasquale Jannaccone, Antonio Graziadei, Camillo Supino, Gioele Solari e quel Luigi Alberini. Quest'ultimo doveva poi divenire in breve arco di tempo lo "storico" celebre direttore del "Corriere della sera", allora "nuovo" quotidiano a Milano che doveva registrare una rapida ascesa. Einaudi sarà per molti anni, dal 1903 assiduo prestigioso collaboratore del "Corriere", sino agli anni difficili dell'avvento della dittatura mussoliniana nel 1925.

Dopo la laurea Einaudi entrava nella Università di Torino come allievo del Cognetti. In breve torno di tempo conseguì la libera docenza e vinse il concorso a cattedra per la disciplina di Scienza delle Finanze nella Università di Pisa, a ventisette anni di età, nel 1901. La cattedra venne presto trasferita (già l'anno successivo) a Torino, dove nel frattempo, mancato il Cognetti, gli era succeduto un importante economista, vicino al socialismo, Achille Loria. L'ambiente culturale del giovane Einaudi è segnato, come abbiamo detto, dalla vena socialisteggiante della sua collaborazione con Turati e dalla passione scientifica, ispirata ai canoni del positivismo e alla coltivazione della ricerca empirica, coltivato in seno al Laboratorio di Cognetti.

Di grande significato è anche l'incontro del giovane Einaudi con una grande personalità del socialismo e del meridionalismo come Francesco Saverio Nitti. Nitti in quegli anni aveva fondato, con Luigi Roux (allora direttore de "La Stampa", colla quale pure Einaudi già collaborava dal 1896), la "Riforma sociale", il periodico che Einaudi poi per molti anni dirigerà, sino alla chiusura decretata dal Governo fascista nel 1935, e al quale è per molti versi tuttora collegato il suo nome.

In breve torno di tempo Einaudi terrà "cattedra" anche dalle colonne del "Corriere della sera" (un'esperienza anche questa interrotta dall'avvento del Fascismo) e, all'indomani del primo conflitto mondiale, nel 1919, avrà la nomina a Senatore del Regno all'età di quarantacinque anni.

Un aspetto di interesse della personalità e dell'esperienza di Luigi Einaudi risiede nell'avere egli fatto parte di quel gruppo di intellettuali che, soprattutto agli inizi del secolo ventesimo, stabilirono un legame culturale e scientifico particolare tra Milano e Torino, un legame che è alla radice di numerose intraprese tra le quali il varo (nel 1902) della "Università commerciale" milanese intitolata a Luigi Bocconi. L'Università Bocconi rientra nel novero di iniziative che hanno come obiettivo il lancio degli studi economici, politici e sociali e che nascono in varie parti d'Europa. Si tratta, per l'Italia, di una Scuola di grande efficacia e di immediato successo, che è anche espressione dalla componente laica e liberal-socialista della borghesia milanese di quegli anni, al pari (ad esempio) di un'altra gloriosa istituzione della Milano dell'epoca, la Società umanitaria, fondata da Prospero Moisè Loria, un nome che è tutto un programma. I Bocconi erano imprenditori di grande successo, venuti dal nulla: si decisero a varare l'Università Commerciale per onorare la memoria del giovane Luigi, figlio del fondatore, disperso nella disfatta di Adua nel 1896, forse la maggiore tragedia del nascente colonialismo italico.

Alla Bocconi Einaudi collabora da vicino con Angelo Sraffa, il grande avvocato e padre dell'economista Piero, che era allora forse la maggiore figura carismatica del gruppo fondatore della Università Bocconi, della quale sarà Rettore per una decina d'anni prima dell'avvento della dittatura. Einaudi stesso vi insegnò fino alla instaurazione del regime nel 1925. Einaudi appartiene a quella schiera di intellettuali che, nella scia del Manifesto di Croce del 1925, diedero una risposta di opposizione al regime dall'interno del paese.

Fatti i conti con Marx attorno alla fine del secolo, ben presto si delinea la personalità scientifica di Einaudi. A questo stadio riveste grande rilievo la influenza del maggiore intellettuale dell'Italia della prima metà del secolo e uno dei migliori filosofi di ogni tempo, Benedetto Croce, che appunto a Marx aveva dedicato uno dei suoi lavori giovanili di successo.

La concezione dell'economia sviluppata da Luigi Einaudi dà ampia visibilità al convincimento dell'eccellenza del capitalismo concorrenziale nel quadro di una "società aperta", senza tuttavia tradursi in una visione troppo rigidamente individualistica. Tra l'individuo e lo stato, nella concezione di Einaudi, trova posto una fitta trama di corpi economici intermedi, basati sulla azione e la partecipazione volontaria, che qualificano in modo essenziale l'impostazione dell'economia politica e la stessa concezione della democrazia nel caso specifico di questo autore. Einaudi stabilisce un legame molto stretto tra il liberalismo economico (o liberismo) e il liberalismo politico: l'idea che Einaudi coltiva di una società sana e vitale eccede il mero canone di efficienza perseguito nell'economia di mercato. In Einaudi, ad esempio, il benessere «non si compone della sola "ricchezza" misurabile e sommabile, traducibile mentalmente in moneta. Il "benessere" è diverso ed è qualcosa di più della ricchezza; è un composito di ricchezza, di contento, di buone relazioni sociali, di governo ordinato, di famiglie, anche se piccole, salde, di mancanza di invidia e di odio fra ceto e ceto, al cui posto si afferma la emulazione che eleva i mediocri e non abbassa moralmente i grandi»: così egli scrive in una delle sue opere più note, i Miti e paradossi della giustizia tributaria, pubblicata negli anni Trenta.

La concezione di Einaudi mostra cospicue assonanze con il canone della economia civile, che la tradizione italiana aveva inaugurato nel Settecento, specie a partire da Antonio Genovesi. I riferimenti intellettuali di Einaudi rinviano a quella tradizione, così come alla tradizione dell'Illuminismo scozzese del Settecento e, per quanto riguarda la cultura ottocentesca, non solo ad autori come John Stuart Mill e Alexis de Tocqueville, ma anche ad ampi settori del socialismo utopico che includono, ad esempio, Saint-Simon e Sismondi.

Per avere un saggio della concezione dell'economia politica di Luigi Einaudi è ancora oggi consigliabile la lettura del suo primo lavoro monografico, che è in realtà un racconto, dal titolo Il principe mercante, apparso nel 1900, poi più volte ristampato anche di recente. Il racconto è imperniato sulla vicenda di un imprenditore tessile di Busto Arsizio, Enrico Dell'Acqua, il quale, sul finire del secolo XIX, sbarca in Argentina costituendo e sviluppando posizioni di successo su quel mercato. È una celebrazione ottimistica dell'intrapresa individuale e della fede nelle proprie capacità. Ma la vicenda serve anche a mettere in luce un realistico cenno al valore dell'organizzazione, un elemento che Luigi Einaudi aveva cominciato ad apprezzare anche sotto altri aspetti, fin dalle sue prime esperienze di giornalista, per esempio nelle sue indagini giovanili sui conflitti di lavoro. «Per quanto le pagine di questo scritto – vi afferma Einaudi – siano tutto un inno alla efficacia e alla forza della iniziativa individuale, è doveroso riconoscere che nel mondo economico moderno vincono spesso non gli individui più abili, ma le organizzazioni più potenti e salde».

Vi sono già qui quelli che possono essere enucleati come i due aspetti di fondo dell'economia di Luigi Einaudi: l'impulso creativo unito alla volontà di fare da un lato e la razionalizzazione degli sforzi dall'altro. Questi sono aspetti permanenti della lezione di Einaudi, tanto sul piano più propriamente scientifico, quanto della sua azione politica reale (della quale diverrà massima espressione l'incontro con uno dei massimi politici italiani, Alcide De Gasperi) o vagheggiata, come accade per la sua partecipazione al movimento federalista e per i suoi importanti contributi in materia di politica e dell'economia (inclusa la moneta) in un'Europa immaginata come federazione di Stati.

Della vasta produzione di Einaudi, benché il figlio Giulio sia stato uno dei grandi editori di successo in Italia, manca a tutt'oggi una riedizione critica completa. Tra i numerosi lavori, che attestano la sua vastissima attività di studioso, di docente e di pubblicista, merita menzione il volume delle Lezioni di politica sociale, un'opera che riflette una parte della sua attività di docente in Svizzera, dove egli trova rifugio dopo l'armistizio dell'8 settembre del '43, durante la seconda guerra mondiale. Il volume apparirà poi a stampa nel 1949. Nelle Lezioni di politica sociale Einaudi sintetizza la concezione di un liberalismo aperto al sociale che solo oggi, pur non senza difficoltà, viene adeguatamente compresa. Caratteristico di Einaudi è il valore che egli attribuisce al principio di uguaglianza, inteso però rigorosamente come uguaglianza di possibilità o di punti di partenza.

Importante è anche lo sviluppo che Einaudi dà all'idea di "punto critico", come elemento di riflessione capace di vaccinare contro ogni rigidità ideologica. Bisogna essere molto cauti, secondo la lezione di Einaudi, nell'affermare verità assolute in economia: il che bene esprime il suo temperamento pragmatico e anti-ideologico.

Dopo la caduta del regime fascista e la conclusione della guerra, gli economisti italiani di formazione liberale erano destinati a dare un contributo importante alla ricostruzione del Paese e al ristabilimento delle istituzioni politiche. Molti immaginavano per l'Italia un ritorno alle formazioni politiche precedenti (dopo la "parentesi" fascista), dominate da socialisti da un lato e liberali dall'altro. L'Italia repubblicana, dopo la cacciata del Re, vede invece trionfare forze politiche nuove, la Democrazia cristiana e il Partito comunista, le quali hanno molti meriti di vario genere, ma in generale scarsa cultura economica. Einaudi è allora chiamato a diventare il personaggio-guida della politica economica del paese. Già dopo la liberazione di Roma, avvenuta nel 1944, Einaudi vi fu trasferito dalla Svizzera per assumere la carica di Governatore della Banca d'Italia in un momento difficilissimo.

Eletto alla Assemblea costituente, fu poi Ministro nel quarto gabinetto De Gasperi nel 1947.

Ad Einaudi, che al referendum aveva votato per la Monarchia, doveva poi toccare di essere nel 1948 il primo Presidente della Repubblica italiana eletto dal Parlamento. Non fu un'elezione plebiscitaria, a testimonianza delle divisioni politiche troppo aspre che da sempre contrassegnano il nostro Paese.

Tra i vari aspetti della cultura politica di Einaudi è da ricordare la sua attiva partecipazione, come abbiamo accennato, al Movimento federalista europeo, fondato da Altiero Spinelli, i cui ideali (purtroppo rimasti tali) sono oggi di vivissima attualità.

Luigi Einaudi morì a Roma il 30 ottobre 1961.



[1] Questo articolo riprende con modificazioni la voce "Einaudi" del Dizionario di economia civile, a cura di L. Bruni e S. Zamagni (Città Nuova Editrice, Roma 2009). Per maggiori approfondimenti sulla biografia e le opere di Luigi Einaudi si rinvia a R. FAUCCI, Luigi Einaudi, Utet, Torino 1986.
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