A partire dalla pubblicazione in Italia di Confini Morali di Joan Tronto (alla fine del 2006)[1], alla quale hanno fatto seguito, nel corso del 2007, alcune sue lezioni e conferenze in varie università italiane, nonché presso associazioni femministe[2], le occasioni di dibattito sull’etica della cura e, più specificamente, sul lavoro di cura (nella prospettiva in cui viene proposto dal libro della studiosa americana) si sono moltiplicate[3].
L’ottica in cui Tronto affronta il tema del lavoro di cura è quella di considerarlo qualcosa che non è caratteristico solo del genere femminile, in quanto a seconda dei contesti sociali esso è stato svolto da soggetti diversificati, seppur accomunati dalla condizione di essere socialmente deboli e più vulnerabili: le donne, ma anche gli schiavi, le persone appartenenti ai ceti più poveri e ai gruppi o alle etnie esclusi dalla sfera pubblica e politica.
Questa prospettiva interagisce fortemente con il tema della giustizia sociale e per la studiosa può divenire davvero una occasione di modifica degli equilibri sociali e di potere. La tesi di Tronto si inserisce a pieno titolo nel dibattito aperto a partire dagli anni ’80 del Novecento nel femminismo anglosassone, con particolare riferimento al tema della differenza di genere e alle caratteristiche, come quelle appunto legate alla pratica del lavoro di cura, quali aspetti distintivi femminili. Per Tronto, considerare il lavoro di cura e l’attitudine ad esso un qualcosa di innato e specifico solo del genere femminile risulta non solo fuorviante, ma controproducente. Infatti, a suo parere, su questa divisione del lavoro tra i sessi, successiva alla riproduzione, si è basata la motivazione che ha portato alla esclusione delle donne dalla partecipazione alla vita politica.
Come si può constatare dalle discussioni generate dalla riflessione di Tronto l’argomento è affascinante, anche perché in qualche modo divide lo stesso movimento delle donne o perlomeno le studiose che si sono occupate di studi di genere nei vari ambiti di ricerca.
Le tesi di Tronto sull’etica della cura, sul lavoro di cura, ma più in generale sul ruolo dell’assistenza pubblica sia in riferimento alla cura delle persone sia al sistema sanitario, sono diventate negli ultimi anni aspetti di dibattito politico non di poco conto, anche negli Stati Uniti. Per questo motivo, data anche l’attuale fase di confronto politico per la definizione dei candidati attraverso le elezioni primarie nei principali partiti americani, mi è sembrato interessante rivolgere alla professoressa Tronto alcune domande proprio sull’attualità delle sue tesi, in relazione alla situazione politica americana e sui loro possibili sviluppi, dato che per la prima volta è in atto una sfida che vede di fronte una donna e un nero. Già questa sfida, al di là di quello che sarà l’esito finale, prima interno al Partito Democratico, poi in relazione all’elezione del presidente degli Stati Uniti, va nell’ottica di quella rottura di schemi politici che Joan Tronto ritiene necessaria per giungere ad una società più giusta, in cui anche le donne e le classi sociali più deboli, abbiano finalmente riconoscimento sociale del loro lavoro e pieno accesso ai luoghi del potere politico.
La pubblicazione di Confini morali è riuscita negli Stati Uniti ad avviare un dibattito che vada al di là dell'ambito accademico.
Negli Stati Uniti il dibattito sulla cura non è parte di una discussione pubblica quanto lo è in Europa. Ciò era vero negli anni Novanta, perché gli Americani mettevano la discussione politica così insistentemente nei termini dell'individualismo che era impossibile cominciare un dibattito su qualsiasi altro tema. La questione della cura è stata sollevata molte volte, specialmente nei periodici nazionali di sinistra, ma non si è riusciti ad “appiccare il fuoco”. Dal 2001, la discussione politica americana è stata così ossessionata dalla “sicurezza” che nessun altro tema ha una reale possibilità di entrare nell'agenda politica.
Quali commenti si sono registrati nel tuo paese provenienti dal movimento femminista?
Il movimento femminista negli Stati Uniti è concentrato ancora principalmente su questioni di genere, sulla riproduzione e sulla sessualità, e così la questione della cura rimane ai margini della discussione. Molte femministe naturalmente prendono in mano il tema, ma esso non è al centro delle loro rivendicazioni. Si registra un crescente movimento, tra gli stessi operatori sanitari, per tentare di creare un cambiamento a partire da se stessi. Tuttavia, il generale conservatorismo della politica americana nell'ultima generazione ostacola un reale progresso. Per esempio, una decisione della Corte suprema americana del 2006 impedisce agli operatori sanitari a domicilio di essere considerati “lavoratori” nel senso delle leggi per la tutela del lavoro.
Credi che, a dieci anni di distanza, la tua opera andrebbe in qualche modo cambiata?
Non cambierei niente di ciò che ho detto nel libro, ma ora estenderei l'argomento per includervi una critica più accurata delle pratiche politiche democratiche americane.
La discussione sul sistema sanitario nazionale, centrale alcuni anni fa e ancor oggi dopo il film di Michael Moore, è stata in qualche modo influenzata dal tuo libro?
È affascinante notare quanto poco il dibattito sulla sanità pubblica sia avanzato negli Stati Uniti. Persino i principali candidati democratici non escono dalle maglie di un sistema di pensiero che vede la cura nei termini di un'assicurazione privata, solo con la necessità di un più largo accesso. La maggior parte degli Americani crede di avere le migliori cure sanitarie del mondo per tutte le storie di successo dell'alta tecnologia che riempiono le pagine dei giornali. Non prestano alcuna attenzione alle più ampie questioni sanitarie nelle quali gli Stati Uniti non vanno così bene, come per esempio nell'aspettativa di vita e nel tasso di mortalità infantile.
Il fatto che a correre per la Casa bianca vi siano ora anche una donna e un afroamericano significa che finalmente qualcuno (in caso di successo) tornerà a porre i problemi connessi alla cura e alla società al centro delle politiche americane?
Io me lo auguro, ma il sistema politico americano è così dipendente dagli interessi economici (quelli che forniscono contributi sostanziali per una campagna elettorale) che vi è solo una modesta possibilità di cambiamento. Fino a che non si capirà che le istanze di cura possono essere organizzate diversamente, vi sarà scarsa possibilità di cambiare.
Data la discussione che il tuo libro ha suscitato in Italia, credi che qui esso abbia più possibilità di effetto sull'azione politica?
È interessante che in tutta Europa, Italia inclusa, vi è un desiderio crescente di capire che vi è solidarietà fra le persone e che è necessario che la società si prenda cura dei suoi membri. In Italia, come molti sociologi hanno osservato, la famiglia conserva ancora un ruolo primario nella cura degli individui. Tuttavia, il fatto che le persone abbiano necessità di cura viene riconosciuto più facilmente in Europa e in Italia, e questo è il punto di partenza per un cambiamento in questo ambito.
Intervista realizzata il 24 gennaio 2008
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«Un argomento politico per l’etica della cura»:
come le tesi di Joan Tronto potrebbero cambiare anche la politica italiana
Quando ho preso tra le mani il libro Confini Morali, scritto da Joan Tronto oltre dieci anni fa ma tradotto in Italia solo alla fine del 2006[3], non sapevo in realtà cosa aspettarmi di preciso. Pensavo più ad un opera di taglio politico e di denuncia, con una impostazione quasi giornalistica. Perciò sono rimasta quasi sorpresa quando ho scoperto che era a tutti gli effetti un libro rigorosamente scientifico, con tutti i crismi dell’analisi basata sullo studio del pensiero filosofico.
La prima cosa che mi sono chiesta è stata: perché allora un testo del genere dovrebbe interessare fuori dall’ambito di studi prettamente accademici? La risposta è molto semplice: perché parla della vita di tutti i giorni, anche se con un linguaggio tecnico-specialistico come quello filosofico. La stessa Tronto, nella prefazione, afferma: «In questo libro scrivo ovviamente da teorica politica per altri accademici, ma spero di scrivere anche per le donne e gli uomini che stanno cercando un altro modo di comprendere e di agire contro le persistenti ingiustizie del nostro mondo»[4].
La chiave di lettura, infatti, è proprio questa, una analisi rigorosa -non solo filosofica, ma per molti aspetti anche sociologica- per arrivare ad una proposta che ha risvolti politici molto concreti.
A questo riguardo, Tronto afferma esplicitamente che «in una società strutturata da razzismo e sessismo, dove la dignità dei lavoratori e della gente comune è rispettata solo a parole, ho posto fine alla mia stessa passività impegnandomi attivamente nel movimento femminista. Per me il femminismo incarnava un interesse particolare per la giustizia e attribuiva valore alle vite ordinarie di donne, bambini, uomini di ogni razza, religione, etnia»[5]. È immediatamente evidente, quindi, che il pensiero dell’autrice è fortemente permeato dal concetto di giustizia sociale e che l’ingiustizia legata alla esclusione delle donne dalla vita politica e dal potere più in generale, rappresenta solo un pezzo di una ingiustizia più ampia che persiste all’interno della società americana, ma non solo.
La stessa autrice sottolinea, inoltre, che l’affermazione di una superiorità morale delle donne, teorizzata fin dalla sua nascita dal movimento femminista, non è stata sufficiente a modificare la pratica politica che le esclude, proprio in virtù di questa conclamata superiorità morale. Essa ha rappresentato, al contrario, una impostazione perdente. Infatti, se l’ambito della morale è quello connaturato alle donne, in quanto soggetti che svolgono essenzialmente il lavoro di cura e in virtù del fatto che essendo potenzialmente madri hanno una innata propensione verso di esso, allora l’ambito pubblico e politico è loro naturalmente precluso. Cosa pubblica e cosa privata sono opposti non conciliabili e la cura dell’uno esclude la cura dell’altro.
Tronto evidenzia, perciò, come l’argomento che dovrebbe giustificare la pretesa delle donne di far parte della vita pubblica, cioè la “moralità femminile”, diventa proprio il più importante argomento teorico per la loro esclusione[6].
Questa considerazione viene ampiamente analizzata nel corso del libro, che ripercorre le tappe della formazione del pensiero politico occidentale e di quella sua fondamentale divisione -ad avviso di Tronto artificiosamente “costruita”- tra morale e politica, quali ambiti che in qualche modo si escludono a vicenda.
D’altra parte, anche pensando alle vicende politiche del femminismo italiano, la querelle che divise la fondatrice storica del femminismo italiano Anna Maria Mozzoni (1837-1920) dal movimento mazziniano fu proprio la concezione mazziniana di una donna custode della famiglia e dell’educazione dei figli, che la rendeva perciò inadatta all’agone politico e all’azione rivoluzionaria. Visione che la Mozzoni rifiutò giustamente di accettare, orientandosi verso rivendicazioni suffragiste, che solo in parte il nascente movimento socialista riuscì ad accogliere, per la paura che il voto femminile potesse finire preda della “reazione”. Infatti in Italia le donne non riuscirono a conquistare il diritto di voto se non nel secondo dopoguerra, dato che il diritto di voto amministrativo ottenuto negli anni Venti restò inattuato per l’avvento del fascismo che sostituì ai sindaci eletti i podestà. Il fascismo, oltre ad escludere le donne italiane dalla vita politica a cui avevano appena tentato di affacciarsi, le estromise anche da numerosi ambiti lavorativi, con la motivazione della vocazione naturale alla maternità e le politiche di incentivazione demografica. Sono aspetti che hanno avuto profonde conseguenze sull’arretratezza storica della condizione femminile italiana, che si sono protratte nel tempo e che forse continuano ad influenzarla anche oggi.
Il fatto che le donne si siano sempre occupate del lavoro di cura, in pratica in tutte le società sebbene non in tutte le classi sociali, ma con modalità anche fortemente differenziate, è ben presente a Tronto. La divisione del lavoro di cura, che vede tra coloro che lo effettuano non solo le donne ma le classi sociali più svantaggiate, nel passato gli schiavi, oggi negli Stati Uniti le donne della classe operaia nonché le donne e gli uomini stranieri, evidenzia come il lavoro di cura in sé non sia appannaggio esclusivamente femminile in base al genere, ma lo sia in relazione agli equilibri sociali delle singole società[7].
Perciò se le donne svolgono il lavoro di cura non perché naturalmente buone e portate ad avere a cuore il benessere degli altri, ma perché socialmente condizionate a farlo, anche il presupposto di una moralità femminile più elevata e, quindi, dedita comunque al bene del prossimo, viene a cadere.
Questo, però, è un aspetto che può in parte confliggere con il pensiero femminista classico, soprattutto per come si è sviluppato negli Stati Uniti, dove sono state soprattutto le donne delle classi medie e le intellettuali a dare consistenza ad una teoria femminista in cui la preponderanza dell’oppressione è più legata alla predominanza maschile e patriarcale, che non a problematiche di classe o di ordine sociale. È in particolare negli USA, infatti, che dal suffragismo si passa ad una analisi femminista più vasta ed articolata, che tiene conto di aspetti di natura sociologica e psicologica e ciò non è casuale, dato lo sviluppo assunto da queste discipline in quel paese. D’altra parte anche studi antropologici, quali quelli di Margaret Mead sul ruolo femminile nella famiglia e nei comportamenti sessuali[8], hanno avuto un peso non indifferente nella teorizzazione femminista volta a scardinare la visione tradizionale della donna, a partire dall’affermazione del relativismo dell’organizzazione sociale.
In questo sta anche l’attualità del pensiero di Tronto, la quale cerca di proporre una soluzione che parte da una analisi rigorosa della società e che potremmo anche definire “post- femminista”, per il fatto che supera l’analisi esclusivamente basata sul dato dell’oppressione maschile (pur partendo l’autrice da un approccio culturale femminista e anche dall’attiva militanza nel movimento delle donne).
Sicuramente, per quanto riguarda l’Italia, a oltre dieci anni di distanza dalla pubblicazione originaria del libro, i temi evidenziati da Confini Morali, sono più che mai all’ordine del giorno. Anche perché è proprio a partire dagli ultimi anni che si è ampliato il fenomeno del lavoro di cura svolto da migranti giunti nel nostro Paese appositamente per questo, donne dell’est europeo, africane, sudamericane e uomini soprattutto asiatici, in particolare in alcune grandi aree metropolitane. Questo forse spiega lo scarso interesse, registratosi in Italia anche in ambito accademico, per l’uscita del libro negli Stati Uniti. Forse all’epoca i tempi non erano ancora maturi per un’analisi attenta dei fenomeni. Oggi indubbiamente l’aumento del tasso di occupazione femminile nel nostro Paese, fatto relativamente recente, anche se non ancora adeguato agli obiettivi europei, ha permesso che la discussione sul tema del lavoro di cura, che allora non sembrava attuale, lo stia diventando invece sempre di più. Infatti, anche in realtà come per esempio quelle dell’Emilia Romagna, dove il tasso di occupazione femminile è stato sempre più elevato che non nel resto del Paese, fino a una decina di anni fa il problema dei servizi per la prima infanzia (0-3 anni) non si poneva in modo quasi drammatico come oggi; al contrario in alcune zone si registrava un sottoutilizzo di alcuni servizi considerati “costosi”, quali i nidi. Ciò perché la disponibilità di persone che potevano svolgere il lavoro di cura -nonne che non lavoravano, madri che non erano occupate, persone disponibili a svolgere in nero lavori di “babysitteraggio”- faceva sì che non ci si interrogasse più di tanto sulla questione. Oggi il tasso di occupazione delle donne a livello regionale è già pari alla media europea ed in talune fasce di età la supera; se si unisce questo fenomeno a quello dell’invecchiamento della popolazione, ci si accorge che l’organizzazione del lavoro di cura sta diventando una vera e propria emergenza sociale[9]. Non va, inoltre, dimenticato che persiste una mentalità scarsamente collaborativa negli uomini italiani, rispetto agli altri paesi europei: ne è una riprova anche il limitatissimo utilizzo dei congedi parentali.
Nel momento in cui le donne “scoprono” che il lavoro di cura non è necessariamente iscritto solo nel loro dna, perché l’interesse per i propri simili, il prendersi cura dei più deboli, dei più piccoli, sono aspetti che connotano l’essere umano in quanto tale (non solo le donne), è evidente che il problema si pone in modo nuovo. Ci sono paesi europei dove il congedo per la nascita dei figli è diventato di un anno, come in Finlandia, ma con l’obbligo di fruizione a metà per madri e padri. Se questo per il contesto sociale italiano è ancora un miraggio, è pur vero che le donne italiane sono sempre meno disponibili ad incentrare tutta la loro vita sul “prendersi cura”, e il ridotto tasso di natalità lo evidenzia. C’è una diversa percezione di sé e della propria realizzazione che si è ormai affermata e dalla quale, nonostante le difficoltà, le donne non ritornano indietro, se non a costo di grandi rinunce, come testimonia il dato relativo all’abbandono del posto di lavoro dopo la nascita del secondo figlio, purtroppo ancora frequente.
Il lavoro di cura, perciò, è un problema di tutta la società e come tale va affrontato, con una riflessione che deve essere di tutti. Per questo motivo diventa particolarmente interessante, anche in Italia, l’analisi offerta da Tronto. Si tratta infatti di ragionare sul modo in cui si debbano organizzare in ambito sociale queste attività, dato che per la presenza delle donne sul mercato del lavoro non ci sono le condizioni perché possano essere loro i soggetti che svolgono in toto il lavoro di cura (né, d’altra parte, esse oggi lo vogliono più essere). Ci sono peraltro molti tipi di lavoro, che Tronto considera «di cura», svolti comunque anche da uomini: basti pensare a tutto l’ambito dell’assistenza sanitaria, e per certi versi anche quello della sicurezza e di chi vi opera. Il fatto che, seppure più tardi rispetto ad altri paesi europei e agli USA in particolare, le donne siano entrate a far parte della polizia, dell’esercito, è indicativo anche della trasformazione che certe strutture stanno vivendo. Basti pensare all’esercito italiano, che svolge ormai solo ruoli di peace-keeping, se pure fra molti problemi ed anche contraddizioni, e al fatto che nelle sue fila le donne cominciano ad acquisire un ruolo almeno quantitativamente significativo.
A conclusione del suo libro Tronto afferma che: «Riconoscere il valore della cura chiama in questione la struttura dei valori della nostra società. La cura non è una preoccupazione particolaristica delle donne, un tipo di questione morale secondaria o il lavoro delle persone socialmente più svantaggiate. La cura è una preoccupazione centrale della vita umana. È tempo di iniziare a cambiare le nostre istituzioni politiche e sociali per riflettere questa verità»[10]. Sarebbe interessante capire come questo assunto è stato accolto -se è stato accolto- dalle istituzioni e dagli uomini politici americani. C’è stata in effetti una fase della vita politica americana in cui, in ambito democratico, questioni come l’assistenza pubblica, in particolare quella sanitaria hanno avuto uno spazio rilevante nel dibattito politico (ricordo in particolare la prima campagna di Bill Clinton, molto incentrata su questo tema). Ciò, però, non ha poi portato a scelte politiche conseguenti, anche per l’ostruzionismo delle lobby economiche presenti in ambito istituzionale, ed il tema, quantomeno quello legato al diritto universalistico alla sanità, è rimasto aperto: il recente film di Michael Moore lo ha evidenziato in tutta la sua gravità.
Non ho elementi per pensare che nell’ambito di altri bisogni che possano essere soddisfatti dal lavoro di cura ci siano stati passi in avanti significativi negli USA, anche perché successivamente sia l’opinione pubblica sia il bilancio federale hanno dovuto fare i conti con problemi molto diversi, dopo l’11 settembre e le discutibili scelte della politica estera americana. Non è certo casuale che gli unici ospedali interamente pubblici di cui si legge sulla stampa siano quelli militari e quelli riservati ai veterani. Quando il problema si è riproposto, alcuni mesi fa, con la proposta di allargamento dell’assistenza sanitaria a fasce di bambini i cui genitori hanno un reddito superiore alla soglia di povertà che dà diritto all’assistenza pubblica, il veto è stato posto dallo stesso presidente americano. Rispetto a questa parte del problema, Tronto a un certo punto, nelle pagine finali del suo studio, afferma che: «L’altra parte più significativa -il difficile problema che ha suscitato le ricerche di questo libro- è la questione di come includere in quanto attori politici le donne e gli altri soggetti che ne sono stati tradizionalmente esclusi»[11].
A questo proposito l’autrice rileva che pur essendo descritta «come la più antica democrazia», in realtà l’America è una «oligarchia», in quanto «i leader sono sproporzionatamente maschi, bianchi, ricchi e scelti tra i professionisti», e inoltre la percentuale di chi vota è bassa, anche se le donne votano in misura uguale agli uomini. Le donne sono sottorappresentate in ogni altra forma di rappresentanza politica, anche perché i loro doveri privati «le tengono lontane dalla politica»[12]. Formalmente non c’è nulla che ostacoli il coinvolgimento delle donne o di altri soggetti e ci sono stati anche periodi in cui si è registrato un grande coinvolgimento politico. Ci vuole qualcosa che scardini i meccanismi abituali della politica e, secondo Tronto, l’immissione del tema della cura potrebbe essere uno di questi. Infatti una cosa è discutere genericamente di economia, altra cosa è parlare di disoccupazione: «L’etica della cura avrà effetti profondi sulla vita politica. Cambierà le nostre concezioni dei cittadini e del merito, condizionerà la forme della politica e mobiliterà alcuni gruppi politici esclusi»[13].
Questo potrebbe essere vero anche rispetto alla situazione politica del nostro Paese. Il fatto che siano state immesse rappresentanze femminili al 50% nell’ambito dei gruppi dirigenti del neonato Partito Democratico potrebbe avere la capacità di imporre il tema dell’organizzazione sociale del lavoro di cura, come uno di quelli fondamentali da discutere e da risolvere, nell’ottica di una organizzazione sociale più giusta e più rispondente non solo alle esigenze delle donne, ma di tutti i cittadini. Ciò sarebbe senza dubbio fortemente innovativo. Sia consentito solo un esempio: il tema dell’assistenza agli anziani non autosufficienti è un tema che va ben al di là della condizione femminile. Potrebbe, infatti, non solo mobilitare l’interesse delle donne verso la politica (data la possibilità di affrontare temi di rilevanza concreta per la loro vita, ma anche più in generale di tutte le persone, ben lontani dall’autoreferenzialità che ormai ha assunto la politica), ma potrebbe avere un effetto positivo di ricaduta d’interesse anche per l’elettorato maschile, esattamente per le stesse ragioni, se pure viste in un’ottica non di genere. Una politica che invece di occuparsi solo di se stessa -dove partiti e componenti si dividono troppo spesso più che altro per motivare il fatto di esistere- ragionasse su come rendere migliore la vita di tutti sarebbe davvero un fatto realmente “rivoluzionario”. Quella rivoluzione che le pagine di Tronto, con delicata cura, auspicano e prefigurano.
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[1] J. TRONTO, Confini morali. Un argomento politico per l’etica della cura, a cura di A. Facchi, tr. it. di N. Riva, Diabasis, Reggio Emilia 2006. L’edizione originale, Moral Boundaries. A Political Argument for an Ethic of Care (Routledge, London-New York), è del 1993. Joan Tronto è docente di Political Science e Women’s Studies all’Hunter College CUNY di NewYork; nel corso di una ormai ventennale riflessione, ha cercato di ridefinire il paradigma dell’etica della cura, posizionandolo non in un discorso limitato alla “moralità femminile”, ma all’interno di un nuovo approccio all’etica stessa e alla sua dimensione politico-istituzionale.
[2] Si segnalano qui, a titolo indicativo, alcuni degli eventi che hanno visto protagonista la studiosa americana: la tavola rotonda su “Etica della cura e profili bioetica” organizzata all’Università “La Sapienza” di Roma (Dip. di Studi Filosofici ed Epistemologici: 9 maggio 2007), nell’ambito del Master in Etica Pratica e Bioetica (alla quale Tronto ha partecipato insieme a Carla Faralli, Eugenio Lecaldano, Caterina Botti); la conferenza su “Feminism, Human Rights, and the Ethics of Care”, nell’ambito del Dottorato in “Diritti umani: evoluzione, tutela e limiti” e della Settimana dei diritti (4-9 giugno 2007) dedicata a “I diritti umani tra identità e democrazia” (Dip. di Studi su Politica, Diritto e Società: 8 giugno 2007); il convegno su “Welfare, lavoro di cura e politiche a sostegno della non autosufficienza” organizzato da Manuela Naldini presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Torino (Corso di Laurea in Servizio sociale: 11 giugno 2007); la presentazione e discussione di Confini morali presso l’Università di Salerno insieme a Raffaele Rauty, Giuseppina Cersosimo, Maria Antonio Modolo, Tullia Saccheri (Dip. di Sociologia: 18 giugno); le conferenze tenute presso le Università di Bologna (su Immigrazione, cittadinanza e cura, Dip. di Filosofia: 14 marzo 2007; su “Multiculturalismo, differenza e femminismo”, Facoltà di Scienze Politiche: 18 aprile 2007), Modena e Reggio Emilia (su “Questioni di genere e istituzioni:t«etica della cura» e prassi legislativa”, Dip. di Scienze Giuridiche: 15 maggio 2007), e Urbino (Dip. di Scienza politica: 18 maggio 2007). Tra le conferenze si segnala quella promossa, il 17 aprile 2007, dall’Ass. “Orlando” di Bologna (a dialogare con Tronto è stata la filosofa politica Elena Pulcini, autrice, tra altri studi, de Il potere di unire. Femminile, desiderio, cura, Bollati Boringhieri, Torino 2003).
Su un versante etico e bioetico si veda L. PALAZZANI (a cura di), La bioetica e la differenza di genere, Studium, Roma 2007, che dedica un’intera sezione all’etica della cura; su un versante volto ad indagare le questioni del lavoro di cura e dei soggetti che lo svolgono si vedano G. COLOMBO, E. COCEVER, L. BIANCHI, Il lavoro di cura. Come si impara, come si insegna, Carocci, Roma 2004; G. PERUCCI, Sulla nostra pelle. Il corpo dell’operatore nel lavoro di cura, Carocci Faber, Roma 2006 (in cui una parte cospicua è dedicata alla “multiculturalità degli operatori che svolgono lavoro di cura”). Con un’attenzione particolare alla cura nell’ambito della pratica educativa, Luigina Mortari ha di recente proposto una disamina del concetto di “cura”, istituendo un nesso con le modalità fondamentali delle concrete pratiche di cura (dalla relazione madre-bambino alla relazione amicale, fino al rapporto paziente-infermiere) e costruendo una sorta di mappa delle “buone pratiche”: La pratica dell'aver cura, Bruno Mondadori, Milano 2006. Un libro, quello di Mortari, che intende colmare una grave lacuna nel panorama italiano, ripercorrendo tematiche ampiamente sviluppate e dibattute all’estero, specialmente nell’ambito del pensiero femminile americano, come appunto attesta l’opera di Tronto.
[3] L’occasione è stata fornita dalla tavola rotonda, promossa dalla Commissione Pari Opportunità del Comune di Forlì in collaborazione con Istituto Gramsci e Acli, su “L’etica della cura: una sfida per il nuovo welfare e l’inclusione sociale. Riflessioni a partire da Confini morali di Joan Tronto” (Forlì, 27 novembre 2007).
[4] J. TRONTO, Confini morali, cit., p. I.
[5] Ibidem.
[6] Cfr. ivi, capp. II-III.
[7]Ivi, pp. 127-131.
[8] Allieva di Franz Boas, fu tra le prime a sostenere il carattere di costruzione culturale dei ruoli basato sul sesso: cfr. M. MEADE, Male and Female: A Study of the Sexes in a Changing World, Morrow, New York 1949; tr. it. di M.L. Epifani, Maschio e femmina, Il Saggiatore, Milano 1972.
[9] Svolge interessanti considerazioni sul tema del lavoro di cura nel contesto della Regione Emilia-Romagna, tenendo conto delle tesi di Tronto, Paola Cicognani nel suo articolo Pari opportunità, questioni di genere, lavoro di cura: gli scenari europei e il caso di un’istituzione regionale (il contributo fa parte di un forum dedicato all’opera della studiosa americana, L’etica della cura nella riflessione di Joan Tronto, che raccoglie anche uno scritto della stessa Tronto e interventi di Alessandra Grompi, Thomas Casadei, Sergio Filippo Magni).
[10] J. TRONTO, Confini morali, cit., p. 197.
[11] Ivi, p. 193.
[12] Ivi, p. 194.
[13] Ivi, p. 195.