René Girard, lo studioso francese noto in tutto il mondo per la sua teoria del desiderio mimetico e del capro espiatorio, si è spento a Stanford, la notte del 4 novembre 2015, all’età di novantuno anni, nella città dove si è svolta una gran parte della sua carriera accademica. Ci lascia una teoria importante e controversa, soprattutto per ciò che riguarda il cardine del suo pensiero e, cioè, la trasmissione al nostro tempo dello scandalo del cristianesimo. Nelle pagine conclusive di Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo (1978), raccoglie e attualizza il retaggio biblico, avvertendo che dipende da noi immettere lo spirito di questo scandalo nel pensiero contemporaneo: «Credo che la verità non sia una parola vana, o un semplice ‘effetto’ come si dice oggi. Penso che tutto quello che può allontanarci dalla follia e dalla morte fa lega, ormai, con questa verità. [...] Mi pare sempre che, se riuscissi a comunicare l'evidenza di certe letture, le conclusioni che si impongono a me si imporrebbero anche attorno a me».
Sin dal suo primo libro importante, Menzogna romantica e verità romanzesca, René Girard si presenta come un pensatore che sovverte l’ordine romantico della politica, ne incorpora e ne accetta la sfida, rivelando, con ciò, i meccanismi mimetici che la conformano, e li converte alla verità. Ovviamente, tale sovvertimento lascia la strada aperta a differenti e contraddittorie interpretazioni. Difatti, v’è chi ha elogiato in lui il reazionario nostalgico delle gerarchie pre-democratiche, oppure chi ha plaudito al suo pacifismo, all’irenismo, come risposte alla fine della storia. Ma, in fondo, assai poco René Girard si curò delle controversie che tentarono di assimilarlo a questa o a quell’altra ideologia. Si è allora tentati di annoverarlo tra i maestri del sospetto, e più ancora dello scetticismo, in compagnia di Marx, Nietzsche, Freud, anche perché ormai sempre più il potere si rappresenta paradossalmente facendo pubblica mostra d’implosa, impolitica, impotenza, confidando nelle élites di esperti, abdicando alla tirannia dell’opinionismo intellettuale o delle folle, affidandosi quindi all’esercizio del dispotismo illuminato. Eppure, Girard non nasconde l’altra faccia del suo pessimismo politico. Questa sorta di «difensore del cristianesimo», come lui stesso amava definirsi, v’ha iscritto il fondamento vittimario, propriamente metapolitico, sovvertitore del potere (auto)generante la propria realtà razionale. Benché la teoria del desiderio mimetico sia stata talvolta recepita come un'innocua formulazione sostanzialmente anti-, pre- o post-politica, rimane la sfida portata e trasmessa al cuore del pensiero politico, cui è preclusa una qualche aggiuntiva collocazione tra quei maestri del sospetto (o, almeno, consiglia un forte ripensamento su cosa bisogna intendere per “sospetto”).
Ottimismo apocalittico si dirà, se esso determina la vittima consenziente a non confondersi con i suoi sacrificatori, pur laddove viene meno «l’inganno della violenza» e questa si spande nel mondo fuori di controllo. Questo e altri aspetti della teoria di René Girard possono legittimamente destare l’interesse del filosofo politico ed essere sottoposti a una riflessione, sia che riguardino le rivalità mimetiche e la loro originaria risoluzione sacrificale, sia che attribuiscano alla rivelazione biblica il venir meno delle mediazioni esterne, dei miti politici e dei rituali di fondazione di città, sia, infine, che anticipino addirittura la crisi delle stesse basi della cultura umana. Ma, se ne accolga o no l’apocalittico sentire, Girard solleva questioni alle quali urge rispondere. È il senso del progetto al quale sono stati invitati a partecipare gli autori dei contributi al volume.