Alto, ieratico, elegante. La sua figura è apparsa con grande frequenza in passato nei resoconti dei mass media tanto da diventare familiare ad un vasto pubblico internazionale. Quando veste i paramenti sacri assume un aspetto di grande impatto estetico come sacerdote e pontefice massimo della grande assemblea liturgica. Nei gesti della vita quotidiana mostra tutta la sua cordiale umanità, come ho potuto osservare da vicino nei giorni dell'Assemblea ecumenica europea di Graz (Austria, 23-29 giugno 1997). In ogni caso il cardinale suscita d'incanto simpatia mista a rispetto. Chi lo conosce personalmente lo descrive come uomo dal carattere «timido e schivo, austero e di poche parole»[1], quasi in apparente contrasto rispetto al personaggio di spicco che incarna agli occhi del pubblico un'autorità ecclesiale e culturale ampiamente riconosciuta.
Di lui è difficile dare un giudizio storico complessivo, per la molteplicità degli aspetti della sua personalità e della sua intensa attività e perché non è fuori della storia, ma ancora presente, sia pure in maniera più riservata. Ora egli è arcivescovo emerito e quindi senza responsabilità pastorali dirette e, per aver oltrepassato l'ottantesimo anno di età, non appartiene più al gruppo dei cardinali che hanno diritto di eleggere il papa.
Nel precedente conclave, nel 2005, è entrato, "papabile", quando molti lo additavano quale degno successore di Giovanni Paolo II, portato dal gruppo dei cardinali progressisti. Le cose sono andate in modo diverso, come tutti sappiamo. Ma la sua autorità morale dentro e fuori della Chiesa cattolica non è venuta meno. Per molti ha rappresentato come una bandiera della modernità e del dialogo, un volto umano di un cristianesimo a misura di uomo. In questo senso sono state lette talune sue dichiarazioni e strumentalizzate come una critica alla Curia romana e allo stesso Pontefice. Gli è stata attribuita l'idea di un terzo Concilio Vaticano, ad esempio, prendendo spunto dall'intervento da lui fatto al Sinodo dei vescovi sull'Europa (1-23 ottobre 1999), nel quale esprimeva l'esigenza di «un'esperienza di confronto a livello universale dei vescovi di tutto il mondo da ripetersi periodicamente, sembrato a molti una proposta inopportuna. Recentemente a proposito della legge del celibato ecclesiastico e del testamento biologico, a Martini sono stati attribuiti giudizi critici, quasi che il celibato fosse causa dei casi di pedofilia dei preti, che poi è stato nettamente smentito e rettificato. Attualmente egli è divenuto l'icona dell'uomo sofferente e orante che con il corpo sta in Italia tra i suoi confratelli, con modestia e semplicità, e con il cuore a Gerusalemme, dove si reca ogni qual volta la salute glielo consente.
Il gesuita
La formazione religiosa di Carlo Maria Martini ha le sue radici nella famiglia ed è saldamente gesuitica, secondo la più consolidata spiritualità ignaziana. Gli Esercizi spirituali non li ha soltanto meditati per sé e vissuti come proprio alimento spirituale, ma li ha fatti conoscere e illustrati in centinaia di ritiri e incontri di formazione in ogni parte del mondo, Possiamo considerare il testo del fondatore S. Ignazio di Loyola, scritto nella prima metà del Cinquecento, come il nucleo essenziale della spiritualità di Martini e il nerbo attorno al quale si è svolta la sua suggestiva avventura interiore, umana e cristiana. Egli considera il metodo di meditazione introdotto da S. Ignazio uno strumento per mettere in ordine la propria esistenza, in una rigorosa e lucida gerarchia di valori[2]. In questo senso il cardinale, pur avendo abbandonato negli ultimi venti anni il testo scritto da S. Ignazio, è rimasto sempre nell'anima un gesuita nel senso più nobile ed alto, anche quando ha abbandonato il testo ignaziano del Cinquecento considerandolo anacronistico, ed ha preferito andare per la meditazione direttamente al testo biblico, assumendo il metodo patristico e monastico della "lectio divina"[3].
Entrato nella Compagnia di Gesù a 17 anni, si è formato culturalmente nelle due istituzioni dirette dai gesuiti, la Pontificia università Gregoriana e il Pontificio Istituto Biblico, nelle quali è stato prima docente e poi rettore, divenendo un'autorità internazionale nel campo degli studi della Bibbia, che è stata l'oggetto della sua indefessa ricerca e del lavoro scientifico, che gli ha consentito di scoprire e mostrare con sicurezza le più recondite ricchezze del messaggio delle Sacre Scritture. Contrariamente a derive fantasiose ed emotive, fondamentaliste o spiritualiste, Martini aggancia la meditazione al dato letterale e contestuale, che non abbassa il livello spirituale, ma lo riempie di contenuti oggettivi che lo rafforzano. Egli rimane sempre in attento ascolto della Parola e ne interroga il significato per l'oggi e per la sua stessa persona. Confessa: «Ogni volta che mi trovavo di fronte ad altri per parlare in pubblico o di fronte ad un testo biblico per spiegarlo mi sentivo preso come da un certo panico, da un senso di vuoto e di inadeguatezza: che cosa riuscirò mai a dire su questo testo? Dimenticavo, sotto l'influsso di questa paura, il consiglio che ho sempre dato agli altri, di domandarsi sempre per prima cosa "che cosa dice il testo?", non "cosa dirò su questo testo?"»[4].
Altri due gesuiti hanno avuto un influsso particolare sulla sua formazione: K. Rahner, di cui cita il pensiero secondo cui «Gesù è la Parola al di là della quale non vi è più nulla da dire»[5] e Bernard Lonergan, che lo ha aiutato a fare sintesi nella molteplicità dei linguaggi moderni ricorrendo al consiglio che suggeriva ai suoi studenti: «Siate attenti, siate intelligenti, siate responsabili»[6].
Maestro e scrittore
Ha inondato le librerie dei suoi commenti alla Bibbia e saggi di spiritualità e non è finita. Ad un rapido calcolo si contano circa 650 titoli di libri e articoli di cui è autore e una trentina di scritti sulla sua figura. Non si contano le citazioni di suoi interventi e prese di posizione nei settori più vari della cultura ecclesiastica e laica. È attesa a giorni la pubblicazione, a cura di Cristina Uguccioni, di una "Lectio divina", risalente al 1987, tenuta all'Università cattolica di Milano, che ha per tema il brano della donna peccatrice che versa olio profumato sui piedi di Gesù creando scandalo tra i presenti che si domandano: "Che cos'è tutto questo spreco?" Nella figura e nel gesto della donna egli intende delineare tratti della spiritualità del laico credente che porta nel mondo la gratuità dell'amore e il profumo del vangelo. Da ciò possiamo comprendere l'attualità di un pensiero che, a distanza di decenni, è ancora ricercato e ritenuto prezioso. Se vogliamo dare una caratterizzazione a tutta l'abbondante produzione martiniana possiamo affermare che è il riferimento a testi della Bibbia, anche quando tratta di questioni attuali di indole secolare.
Questo stile si ritrova in primo luogo nelle Lettere pastorali scritte lungo gli anni del suo ministero episcopale a Milano (1980-2002), che hanno destato interesse e attenzione crescenti e sono state richieste fuori della diocesi, divenendo opuscoli di larghissima tiratura.
Ne ricordo alcune a partire dalla prima che ha per titolo La dimensione contemplativa della vita (1980), che è sembrata un sasso nello stagno. La lettera è un forte richiamo alla contemplazione, inviato ai fedeli della diocesi più grande del mondo, caratterizzata dall'industria e dallo stile operativo e pragmatico. Il nuovo arcivescovo sembra voler sfidare e provocare un mondo legato al fare e al successo, indicando una strada nuova. Le lettere pastorali che sono seguite, in conseguenza logica con la prima, hanno posto al centro la Parola di Dio: In principio la Parola (1981), e Attirerò tutti a me (1982). Una che più di altre ha avuto successo e amplissima diffusione è stata Il Lembo del mantello per un incontro tra Chiesa e mass media (1991), che tratta della comunicazione i cui strumenti sono paragonati al mantello di Cristo attraverso il quale la donna del vangelo riesce a comunicare con lui e indica, pertanto, che comunicare non si riduce ad una superficiale informazione.
La Scuola della Parola
Da pastore saggio e soprattutto da educatore e comunicatore consapevole, Martini, appena divenuto vescovo, non si è limitato a parlare della Parola, a presentarla in meditazioni e discorsi, ma ha istituito "La scuola della Parola" con un suo metodo pratico, perché i suoi fedeli ne diventassero attenti uditori. È stata la prima iniziativa pastorale, destinata ai giovani, che consiste nell'insegnare come si affronta un testo della Bibbia nella triplice direzione della lectio, meditatio, contemplatio, cui Martini suggerisce di aggiungere oratio, consolatio, discretio, deliberatio, actio. Il suo commento alla Bibbia è un esempio di lettura rigorosa, potremmo dire scientifica ed esistenziale insieme. Il suo linguaggio, esatto dal punto di vista esegetico, risulta semplice e chiaro, aderente all'esperienza concreta delle persone. La "lectio divina" non deve essere riservata ai monaci o alle persone consacrate, ma insegnata a tutti. La Bibbia è la prima fonte di nutrimento spirituale dei cristiani. L'iniziativa di Milano proposta ai giovani fu accolta con entusiasmo al punto che il duomo di Milano ad un certo punto non riusciva più a contenere le persone. Martini dice a tale proposito: «Non dimenticherò mai quegli incontri e l'impressione vissuta nel vedere quei giovani che pregavano in assoluto silenzio»[7]. Egli era convinto che la vita della Chiesa fosse poco influenzata dalla Parola di Dio e per questo ha puntato su un'educazione tesa a familiarizzare il popolo con la Bibbia, e questo doveva essere il «fondamentale progetto del suo episcopato»[8]. In questo Martini è stato un modello, un precursore e un maestro, che ha avuto ampio seguito ed al quale è derivata una grande popolarità.
Dimensione ecumenica
Oltre all'efficacia pastorale, il costante riferimento alla parola di Dio contenuta nella Scrittura ha consentito al Cardinale di parlare con libertà di spirito dentro e fuori della Chiesa. In questo ambito si interseca la dimensione ecumenica della sua azione. Egli è stato un protagonista, sia con il suo pensiero di larghi orizzonti, sia con gesti di fraternità. «Il cammino ecumenico verso l'unità piena – ha scritto – non può essere inteso quale semplice ritorno degli altri alla Chiesa (cattolica) così come ora si presenta. Tale cammino comporta lo sforzo di ciascuno per una conversione che renda più fedeli all'unico Signore e maestro»[9]. Nel 1998, nella sua diocesi ha costituito il Consiglio delle Chiese cristiane di Milano, attualmente formato da diciotto Chiese (cattoliche, protestanti e ortodosse) che, pur nella loro diversità, si considerano in comunione fraterna e impegnate in comuni progetti di testimonianza cristiana. La dimensione ecumenica di Martini è presa in grande considerazione nell'ampio panorama del movimento ecumenico, di cui è stato membro attivo con ruoli e responsabilità di primo piano. A Basilea, nel 1989, in qualità di Presidente del Consiglio delle Conferenze episcopali europee (CCEE), insieme al metropolita Alessio presidente della Conferenza delle chiese europee (Kek), poi divenuto patriarca, ha presieduto i lavori della prima Assemblea ecumenica europea, di cui è stato anche il principale organizzatore, sul tema "Pace nella Giustizia", partecipata da 700 delegati cattolici protestanti e ortodossi. Con questa Assemblea l'ecumenismo ha fatto un balzo in avanti, perché le Chiese presenti, come ha notato Martini, non hanno parlato di sé ma dei problemi dell'umanità, la pace, la giustizia e la salvaguardia del creato: «A Basilea sono entrato in una prospettiva nuova – afferma il Cardinale. Non ci siamo occupati propriamente dei problemi ecumenici, non abbiamo discusso sulle differenze dottrinali e disciplinari tra le varie confessioni. Ci siamo piuttosto messi di fronte ad alcune grandi sfide odierne che toccano tutti nel desiderio di trovare una risposta a partire dalla comune radice cristiana»[10]. Ancora a Graz (Austria), nel 1997, da Presidente del Ccee, presiede e modera i lavori della seconda assemblea ecumenica europea sul tema "Riconciliazione dono di Dio e fonte di nuova vita". È stata un'assemblea di popolo e non solo dei delegati ufficiali ed ha avuto successo per la partecipazione di persone dell'Est europeo ormai liberato dalla dominazione dell'Unione sovietica. La divisione delle Chiese, secondo Martini, non è di natura ontologica, ma storica. Non c'è tema di natura ecumenica che non sia stato riportato alla radice originaria dell'unione e della divisione: in Cristo e nel dono dello Spirito è la fonte ontologica dell'unione; nel peccato dei cristiani sta l'origine della divisione. Le differenze, pertanto, non sono causa di divisione perché possono comporsi in unità, che invece viene ad essere lacerata dalla trasgressione peccaminosa contro la carità. «Oggi ancora di più dobbiamo sentirci chiamati a riconoscere e accogliere gli uni la santità degli altri – afferma Martini in un dialogo amichevole con mons. Ravasi – attraverso una rigorosa e cordiale receptio delle reciproche tradizioni»[11].
Relazione con gli ebrei
Una relazione del tutto particolare Martini l'ha avuta con gli ebrei e con la città santa di Gerusalemme. Nel 1992, invitato a ricevere l'iscrizione nel Libro d'oro del Fondo nazionale ebraico, dirà «dopo l'Italia Israele è il paese che conosco più da vicino e di cui mi sono care anche le pietre»[12]. Egli si sente discepolo e amico del card. Agostino Bea, già per molti anni professore e anche Rettore del prestigioso Istituto Biblico. Durante il Concilio Vaticano II Bea è stato il centro propulsore del Decreto sull'unità dei cristiani (Unitatis redintegratio), e soprattutto della Dichiarazione Nostra Aetate, riguardante i rapporti della Chiesa con le religioni non cristiane, e, prima fra tutte, con il popolo e la religione ebraica (paragrafo 4 della Dichiarazione). Martini è il diretto erede dell'insegnamento e dell'impegno di questo grande maestro, già conosciuto e stimato per la sua competenza di biblista di fama. La sua "filosofia" ecumenica e biblica sta nell'idea che se siamo d'accordo tra studiosi di diversa confessione sui testi originali, perché non dovremmo esserlo anche nella loro traduzione? Questa non è un'operazione arbitraria o ideologica. Ciò ha portato a scavalcare l'ostacolo delle diverse letture della Bibbia ed ha dato origine alla serie di traduzioni interconfessionali. «Il card. Bea – afferma Martini – è stato mio maestro e confratello. Con lui ho condiviso questi ideali»[13]. Per iniziare un vero dialogo tra cristiani ed ebrei si deve tener conto di tre fattori essenziali previ, secondo Martini, indicati nella lettera pastorale (1998-99) Ritorno al Padre di tutti[14]. In primo luogo dobbiamo imparare a conoscere il vero volto del Padre nella Bibbia degli ebrei, quella che noi cristiani abbiamo ricevuto con gratitudine e umiltà. La seconda condizione è di condividere il dolore per le "tragedie storiche" che si sono abbattute sul popolo tanto amato da Dio fino al tentativo di distruzione totale. In terzo luogo ritenere che l'alleanza di Dio con questo popolo non è stata mai revocata. Cristiani ed ebrei hanno, inoltre, mete comuni da perseguire: essere testimoni dell'amore del Padre in tutto il mondo. «Per l'ebreo, come per il cristiano non vi è dubbio che l'amore verso Dio e verso il prossimo riassume tutti i comandamenti»[15].
Dialogo con l'islam
Attento alla storia non poteva trascurare il tema dell'islam al quale ha dedicato un discorso in occasione della festa di Sant'Ambrogio 1990: Noi e l'Islam. Dall'accoglienza al dialogo. Qui, partendo dalla benedizione data da Dio al figlio di Abramo avuto dalla schiava Agar, Ismaele, descrive la situazione della presenza musulmana in Europa e propone linee di un possibile sviluppo dell'integrazione che non sia conflittuale e neppure remissiva. Si deve partire dalla profonda conoscenza di chi siamo noi e chi sono i musulmani, che problemi hanno, quali esigenze esprimono. E si domanda anche se noi possiamo o dobbiamo presentare la fede cristiana con la missione verso di loro. Problemi e domande tutt'altro che risolte che si concludono nelle parole di Martini con il riconoscimento dei valori storici dell'islam, seguendo le indicazioni del Vaticano II, l'apertura di un dialogo con i singoli musulmani oltre che con le istituzioni ufficiali e presentare il Vangelo in quanto vissuto, più che organizzare una specifica e formale missione verso l'islam, evitando "lo zelo disinformato". Martini si rifà a S. Francesco che nella regola ai frati dice di recarsi tra i saraceni, di non fare liti, di dichiararsi cristiani e di non predicare fino a che non venga loro rivelato dal Signore e di essere pronti a subire disagi e sofferenze per amore di Cristo.
Sul dialogo interreligioso più in generale l'impostazione martiniana, sulla scia della posizione teologica di K. Rahner, è dettata dal dato di fede che Cristo è presente e attivo nel credente non cristiano attraverso il suo Spirito e ciò sta alla base del dialogo ed inoltre a partire dalla storicità del Cristo si pone la necessità di dare ragione della speranza cristiana[16].
Attenzione ai non credenti
Nella lettera pastorale del 2000, La Madonna del sabato santo, egli scrive: «Per i non credenti pensosi – accomunati dalle stesse domande (dei credenti) – potrebbe forse essere l'occasione per ascoltare le testimonianze della fede sul senso di questo tempo (sabato santo) e sul senso della storia, non come schema ideologico, ma come frutto di sofferta riflessione e quindi come soffio purificatore, impulso a ricercare, a sperare, ad ascoltare la Voce che parla nel silenzio a chi cerca con onestà»[17]. Gli uomini si dovrebbero distinguere in pensanti e non pensanti, più che in credenti e non credenti, in quanto, secondo Martini, e secondo Bruno Forte, teologo suo grande amico, le due dimensioni di fede e non fede sono dentro ogni uomo pensante, in perenne dialogo tra loro. Il successo della "Cattedra dei non credenti", istituita dall'arcivescovo a Milano, è dovuto a questa impostazione che apre la possibilità di un autentico dialogo tra interlocutori di pari dignità e soprattutto di interrogare se stessi e di mettersi in questione con sincerità. In questo Martini ha dimostrato coraggio, prestando consapevolmente il fianco alle critiche, che d'altra parte ha messo nel conto fin dal momento della sua nomina a vescovo quando ha scelto come motto dello stemma episcopale "Pro veritate adversa diligere". Per amare sinceramente la verità bisogna saper amare anche le avversità che si incontrano nella ricerca, oltre che nella difesa, della verità. La Cattedra dei non credenti, che dovrebbe essere piuttosto intitolata "del non credente che è in me", è iniziata in sordina nel 1987 e si è sviluppata con grande successo fino all'ultimo incontro del 29 maggio 2002; è l'esempio dell'apertura di questo pastore che non si limita a custodire il gregge, ma va in cerca rispettosa di chi è, o si sente, o è ritenuto lontano e sembra voler domandare: lontano da chi? lontano da dove?
Le tre città
Un modo per dare ordine alle attività del card. Martini potrebbe essere, come felicemente ha fatto Gianfranco Ravasi, attraverso i luoghi di vita del Cardinale che si può descrivere come un movimento che ha tre punti obbligati di riferimento e di passaggio cruciale: Roma, Milano e Gerusalemme, tre città emblematiche, cariche di significati intensi e profondi[18]. Lui stesso spiega di aver inserito nel suo stemma episcopale tre cuori simbolo delle tre città: «Roma mi dava l'esperienza scientifica, Gerusalemme quella mistica-contemplativa, Milano mi forniva l'esperienza pratica, affettiva ed effettiva, un buttarsi, dedicarsi, perdersi. L'esperienza di Roma era quasi quella di accumulare per me stesso un sapere, una competenza; quella di Gerusalemme era di ricevere un dono dall'alto; quella di Milano era di spendermi per gli altri»[19].
A Milano Martini, oltre alle iniziative per l'educazione del popolo alla lettura della Bibbia, si è speso a contatto con la gente e con i bisognosi e si sorprende per «le innumerevoli e commoventi espressioni di carità che il Signore sa suscitare nelle persone e nelle comunità»[20].
L'amore per Gerusalemme si trova già nella formazione spirituale del giovane gesuita che scopre come negli Esercizi spirituali di S. Ignazio abbia un posto rilevante Gerusalemme, come città fisica, in quanto nodo della storia mondiale, della Chiesa e del regno di Dio, per il suo legame con l'ebraismo[21]. Nel 1992, invitato a ricevere l'iscrizione al Libro d'oro del Fondo nazionale ebraico, Martini dice: «Ho la convinzione che la cultura ebraica è un crocevia obbligato dei grandi cammini umani… Ho pure la convinzione che Gerusalemme, città della pace, come dice il suo nome, è una città attorno alla quale si decide il destino della pace dell'umanità intera»22. Questa città è presente più delle altre e segna non un passaggio, ma un compimento, un approdo, desiderato e cercato per una vita intera. Alla morte di Giovanni Paolo II, fra i suoi meriti egli indica che è stato il primo papa a visitare una sinagoga e soprattutto a fare gesti di riconciliazione con Israele. In un messaggio inviato da Gerusalemme il 3 aprile 2005 scrive un elogio al Papa defunto perché non ha solo combattuto l'antisemitismo, ma in positivo si è impegnato con amore di entrare in dialogo con il popolo d'Israele, con le sue tradizioni religiose e la sua cultura.
Martini "politico"
C'è anche un Martini "politico", nel senso che si è trovato a trattare temi di carattere sociale e di attualità derivanti dall'ambito del mondo del lavoro e della sanità, non trincerandosi dietro schemi astratti, ma affrontando le questioni su un piano di concretezza e di rispetto per le posizioni altrui. «Il Martini "spirituale" è politico perché etico, ed è etico in quanto cristiano, a partire da un'esperienza di fede che mette il sale e il sapore nella testimonianza»[23]. Martini non si esibisce, ma neppure si sottrae e diviene oggetto dell'attenzione anche quando tace, venendosi a trovare in una posizione centrale e tutta interna alla comunità. Egli continua a dialogare ancora nelle pagine di un quotidiano nazionale, il "Corriere della sera", nella rubrica settimanale "Lettere al cardinal Martini", rispondendo con franchezza e libertà alle domande che i lettori gli pongono.
Un uomo che continua a
segnare la storia e la vita di molte persone.