Introduzione
L’uso di categorie analitiche deriva da dinamiche di sviluppo storico che generano importanti differenze di senso. Questo accade anche quando si parla di spazio cibernetico, basti pensare, infatti, alle numerose qualificazioni che nel corso del tempo hanno dato vita a termini nuovi come cyber warfare, cyber crime, cyber terrorism, cyber attak, cyber security, riconducibili prevalentemente alla letteratura di matrice americana (Healey, Grindal 2013; Kurose, Keith 2012; Libicki 2007; Kramer, Starr, Wentz 2009; Singer, Friedman 2014; Buchanan 2017).
La valenza di questa nuova terminologia è ascrivibile al piano descrittivo, cioè funzionale a catturare specifici aspetti del fenomeno e non già a quello normativo (cfr. Schmitt 2013, p. 4), cioè riferito a disposizioni regolanti, dimensione quest’ultima che invece coinvolge la categoria più ampia di cyberspazio, uno spazio cibernetico spesso identificato come “società dell’informazione e della conoscenza”, caratterizzato dall’esistenza di un’insieme di nodi (i sistemi) e di collegamenti (le reti) che, attraverso l’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Information and Communication Technology - ICT), condividono dati, metadati e informazioni riguardanti “persone” o “cose”, oltrepassando confini geografici e limiti temporali, disegnando nuovi modelli sociali, politici, economici e giuridici, al centro dei quali vi è lo scambio di informazioni e la condivisione di conoscenza.
Il concetto di cyberspazio, pur nella differenziazione definitoria che deriva dai diversi approcci al tema (Schmitt, Vihul 2017), rimanda all’idea di uno spazio in cui gli individui interagiscono attraverso informazioni e dati e mediante la virtualizzazione di una corporeità che è essa stessa “frammentata” e trasformata in informazione e dati (cfr. Novak 1993, p. 233).
L’assunto implicito di questo processo è l’importanza strategica dell’informazione e il potenziale applicativo delle nuove tecnologie, oltre che la loro capacità di coinvolgere il sistema delle relazioni a livello privato e istituzionale.
C’è un elemento di novità, dunque, che caratterizza l’attuale forma dell’organizzazione sociale ed è rintracciabile nell’assunzione dell’elaborazione e della trasmissione delle informazioni nella valenza di fonti basilari di produttività e, soprattutto, di potere.
Questa considerazione assume rilievo se analizzata unitamente ad ulteriori questioni che, in particolare, attengono al tema della sicurezza pubblica e della libertà.
La contemporaneità della realizzazione dei doveri pubblici, in termini di sicurezza, e di esercizio delle libertà, in termini di tutela privata, implica forti e necessarie revisioni delle stesse categorie repressive tradizionali (e non solo). Le nuove fattispecie criminose e le nuove dinamiche che caratterizzano le relazioni sociali delineano, infatti, uno scenario complesso che sposta la dimensione della governance dal concetto di luogo a quello di spazio, rispetto al quale lo stesso modello foucaultiano della “statalizzazione del biologico” non può trovare oggi piena applicazione. Per molti aspetti, il superamento della proposta foucaultiana è divenuto evidente già negli anni Novanta del secolo scorso con il progressivo passaggio da una società “disciplinare” ad una società “informazionale”, in cui la sorveglianza investe non soltanto il corpo con la relativa sfera delle libertà all’interno dello spazio fisico (habeas corpus), ma anche la sua dimensione digitale all’interno del cyberspazio (habeas data). Pochi dubbi resistono alla considerazione che la sorveglianza rappresenti, anche oggi, il mezzo essenziale dell’ordine e della gestione sociale, perché la società dell’informazione è una società sorvegliata (Lyon 2002), eppure questo requisito non è sufficiente a spiegare le innumerevoli implicazioni collegate alla categoria del cyberspazio.
Il terreno di analisi, dunque, non può prescindere dalla comprensione del “dominio” di interazioni in cui si realizzano forme dell’identità digitale che impongono di affrontare la delicata questione dei livelli di vulnerabilità generati sia da fattori endogeni, «a differenza di quanto possiamo fare con il nostro corpo fisico possiamo rapidamente creare un doppio elettronico» (Rodotà 2005, p. 114), sia da fattori esogeni, cioè comportamenti qualificabili come attacchi esterni.
Sulla base di questi presupposti, il contributo si propone di rivisitare e analizzare le forme di autodeterminazione delle relazioni sociali nel cyberspazio. Le implicazioni che ne derivano sono discusse in relazione al ruolo svolto dalla politica e dal diritto per la realizzazione di un equilibrio tra libertà e sicurezza, pur nella consapevolezza che, come afferma Baumann, libertà e sicurezza coesistono da sempre, perché entrambe ambite e desiderate, ma difficili da bilanciare, «più libertà abbiamo e più sicurezza perdiamo, più sicurezza abbiamo e più libertà perdiamo» (Bauman 2011).
1. Cibernetica, sistema e ambiente. Una ricostruzione del quadro teorico-concettuale
Il concetto di cyberspazio non è riconducibile ad un significato univoco unanimemente condiviso, ma pur a fronte di questa difficoltà è riscontrabile una caratteristica che si potrebbe considerare comune ai diversi contenuti definitori (Tagliagambe 1997), ossia la sua dipendenza dal tempo e quindi la possibilità di descrivere il concetto in termini evolutivi.
Questa considerazione genera numerose implicazioni che, prima ancora di divenire politiche o giuridiche, hanno natura sociale e rimandano all’idea di una modernità della società che si realizza attraverso le forme della sua differenziazione, cioè implica la capacità di operare “distinzioni” rispetto all’elevata complessità raggiunta dalla società (cfr. Luhmann 1982, p. 73). Senza un processo di selezione della complessità, sarebbe difficile operare una specificazione rispetto a fenomeni altamente generalizzati, il ché equivarrebbe ad un blocco operativo per i sistemi sociali.
Con il processo di differenziazione ogni sistema si specifica rispetto ad un proprio codice operativo e attua selezione attraverso un medium della comunicazione simbolicamente generalizzato (Luhmann, De Giorgi 1991, p. 119, pp. 194-195) (ad esempio: per la politica il potere; per l’economia il denaro; per la religione la fede; ecc.) ma al tempo stesso conserva una natura evolutiva, cioè la capacità di assorbire nuova complessità e trattare nuovi fenomeni che assumono rilevanza generalizzata. Le dinamiche socio-politiche legate al concetto di cyberspazio s’inseriscono, dunque, in un contesto di distinzioni operate a livello di singoli sistemi: dalla politica all’economia, dall’educazione al diritto, dalla fede alla scienza. Ma la complessità di queste dinamiche è fortemente ampliata dall’uso di media digitali e dalle potenzialità delle nuove tecnologie, che agiscono da acceleratori (Gamaleri 1998) di un radicale cambiamento non solo nella produzione e nello scambio di informazioni, ma anche nella comunicazione del sapere. Le ICT trovano piena applicazione grazie a internet «un medium di media, nel senso che sintetizza in sé un pluralità di media differenziati» (Longo 2005, p. 75).
La genesi di questa evoluzione, che ha portato alla più formale definizione di “società dell’informazione” (Servaes 2003), è rintracciabile nella seconda metà del Novecento e nelle prime teorizzazioni sulla cibernetica, sui sistemi cibernetici e quindi sui sistemi sociali. Si tratta del periodo in cui l’idea di società post-industriale occupa centralità nel dibattito scientifico e in cui si sviluppano numerose direttive di ricerca tese ad approfondire lo studio delle relazioni tra cibernetica, informatica, tecnologie, informazione e conoscenza, e dalle quali trae origine un nuovo paradigma che riconosce gli effetti di reciprocità tra i differenti aspetti, con effetti in tutti gli ambiti delle scienze sociali (Touraine 1970; Bell 1974; Stonier 1983; Lyon 1991; Castells 2000).
Il termine cyberspazio, coniato nel 1984 dallo scrittore americano William Gibson con la pubblicazione di Neuromancer, indica, nella sua accezione più immediata, un nuovo universo, una nuova realtà “multidimensionale”, generata, alimentata e resa accessibile dal computer attraverso le reti globali di comunicazione. Una realtà fatta di “cose” che si vedono e si sentono ma che non sono oggetti fisici né, necessariamente, rappresentazioni di oggetti fisici, bensì costrutti di dati, di pura informazione, provenienti in parte dalle operazioni del mondo fisico, ma in misura ben maggiore dall’accumulazione e dallo scambio di conoscenze che scaturisce dall’iniziativa umana nella cultura, nella scienza e nell’arte (Tagliagambe 1997, p. 39).
Questa visione, tuttavia, trae le sue origini dagli studi analitici sulla cibernetica del matematico americano Norbert Wiener, che egli definisce come scienza del governo dei sistemi “vivi” e “non-vivi”. Il sistema cibernetico è concepito, dunque, come un insieme in cui si realizza l’interazione e lo scambio di materia, di energia o di informazioni che costituiscono comunicazione e in cui gli elementi reagiscono cambiando di stato o modificando le loro azioni.
Nel 1948, con la pubblicazione dell’opera Cybernetics: or control and communication in the animal and the machine, Wiener presenta ufficialmente la sua teorizzazione sulla cibernetica, fornendo evidenza dei modelli logico-matematici utilizzati e descrivendo le potenzialità della nuova scienza, anche in relazione alla sua estensione nell’analisi dei sistemi sociali. In particolare, Wiener dedica la parte finale della sua opera alla problematizzazione dell’aspetto epistemologico delle scienze sociali e si occupa del rapporto tra osservatore e fenomeno osservato all’interno di un sistema in cui l’assunzione metodologica è quella propria delle scienze esatte (Wiener 1948) e quindi del rapporto di osservazione (osservatore/osservato) in termini “catalettici”, cioè di assunzione di tutta la soggettività al polo attivo dell’indagine e di riduzione totale dell’oggettività al polo passivo dell’indagine stessa. La natura catalettica del rapporto osservatore/osservato significa poter esercitare il diritto di analizzare, programmare, descrivere e decidere le condizioni dell’oggetto e qui si coglie uno degli aspetti fondamentali delle scienze esatte e delle metodologie per lo studio delle “cose” (Maccacaro 1978, XXV). Tuttavia Wiener compie uno sforzo maggiore quando afferma che la cibernetica si occupa anche dei sistemi “vivi” (affermazione, oggi, più che mai vera). In questo caso, il rapporto di osservazione, in quanto avviene tra “persone”, diviene “dialettico” e richiede una metodologia che implica il riconoscimento di soggettività ai due poli del rapporto e di ridistribuzione dell’attività su entrambi. Inoltre, la natura dialettica del rapporto di osservazione tra osservatore e osservato (o meglio, tra osservatore singolo e osservati multipli) si estende al rapporto esistente tra tutti gli attori trasformando l’“insieme” in “sistema” (cfr. Preite 2016, pp. 95-96).
L’attenzione di Wiener anche alle scienze sociali, porta progressivamente ad un ampliamento della sua analisi fino a pervenire ad una definizione di cibernetica intesa come scienza dei fenomeni, appunto sociali, avente ad oggetto l’osservazione della comunicazione, dei processi comunicativi e dei relativi contenuti; scrive, infatti: «Uno degli aspetti più interessanti del mondo è il fatto che esso può ritenersi costruito sulla base di modelli. Un modello è essenzialmente una disposizione caratterizzata dall’ordinamento degli elementi di cui si compone anziché dalla natura intrinseca di questi elementi» (Wiener 1970, p. 16), l’informazione allora altro non è che «la misura della regolarità di un modello le cui parti componenti si sviluppano nel tempo» (ivi, p. 21).
Wiener analizza l’agire comunicativo in relazione ai modelli di comunicazione ed afferma che la natura delle diverse comunità sociali (sistemi) è determinata dal tipo di comunicazione che in esse si instaura, in altri termini, dipende dalla natura dialettica del rapporto tra osservatore e osservato a livello di corrispondenti ordini degli elementi. In politica, ad esempio, la democrazia è la rappresentazione di un agire comunicativo condiviso e partecipato, in realtà è ben lungi dall’essere realmente raggiunta; in economia, il mercato rappresenta l’espressione della libertà individuale, tuttavia i risultati raggiungibili sono condizionati dalla razionalità limitata degli individui; nel diritto, norme e sanzioni garantiscono sicurezza e tutela, eppure i conflitti si moltiplicano e sfuggono al controllo.
L’idea che la dimensione sociale abbia le caratteristiche di un “sistema” analogo a quelle della vita (quindi associato ad una relazione di reciproca dipendenza degli elementi), proviene dalla recente storia della sociologia contemporanea e trova una fonte privilegiata di legittimazione nell’acceso dibattito sulla cibernetica come nuova scienza dei sistemi (cfr. Carradore 2013, p. 152), in particolare nella descrizione del rapporto tra individuo e sistema attraverso la complementarità di socializzazione e partecipazione.
Al concetto di unità della forma tra individuo e società si dedica Émile Durkheim sin dalla fine dell’Ottocento, occupandosi di emergenza della coscienza collettiva rispetto a quella individuale (Durkheim 1963), un concetto ripreso successivamente da Max Weber con l’analisi della distinzione tra agire sociale ed agire individuale (Weber 1961), fino a Georg Simmel e George Herbert Mead che sull’interazione sociale fondano il proprio impianto teorico.
Lo struttural-funzionalismo parsonsiano della metà del Novecento e la forte valenza empirica dei suoi studi introduce, tuttavia, elementi di criticità nella visione di reciprocità del rapporto tra individuo e società. Parsons introduce l’idea dell’esistenza di due sistemi distinti: il “sistema della personalità” ed il “sistema sociale” simultaneamente parte e ambiente dell’altro (Parsons 1995). Il modo in cui i due sistemi operano è descritto attraverso il modello analitico quadrifunzionale AGIL (Parsons 1986) costruito su concetti della cibernetica, cosiddetta di primo ordine (le teorizzazioni successive si considerano di secondo ordine in quanto includono il concetto di mezzo simbolico generalizzato e quello di gerarchia cibernetica).
Nel modello parsonsiano la trasmissione dell’informazione è unidirezionale, cioè è indirizzata dal sistema sociale all’individuo e non viceversa. La trasmissione dell’informazione produce negli individui interiorizzazione di ruoli e rielaborazione dell’informazione, ovvero determina l’integrazione dell’individuo nel sistema, e quindi socializzazione. Questa trasmissione non ha una direzione contraria, cioè dall’individuo al sistema, perché quest’ultimo non può assimilare la personalità, ma può ricevere solo energia motivazionale (cfr. Baraldi 1992, p. 93).
Gli anni Settanta del secolo scorso segnano l’avvio di un mutamento di prospettiva, la visione sistemica parsonsiana entra in crisi e si affermano nuove teorizzazioni basate sulla cibernetica di secondo ordine, i cui principali protagonisti sono Humberto Maturana, Francisco Varela, Henri Atlan, Heinz von Foerster, Ernst von Glasersfeld, Paul Watzlavick, Edgar Morin.
La cibernetica di secondo ordine è caratterizzata da una impostazione metodologica che determina il superamento delle precedenti teorizzazioni: a) i sistemi non sono aperti, bensì chiusi e autopoietici, quindi in grado di riprodurre ed organizzare autonomamente i propri elementi; b) l’informazione non si trasmette, ma si costruisce nel sistema in quanto rappresenta la radice dell’autopoiesi e quindi dell’autorganizzazione del sistema; c) l’osservazione non si produce all’esterno dell’oggetto osservato, ma è inclusa in ciò che è osservato, essendo l’operazione fondamentale del sistema.
La discontinuità metodologica evidenziata dalla cibernetica di secondo ordine, come osserva negli anni Settanta Gregory Bateson, non è priva di criticità, in particolare per l’assenza di un chiaro riferimento epistemologico al rapporto esistente tra i sistemi (Bateson 2005), tuttavia, pochi anni dopo, l’uscita dell’opera Soziale Systeme. Grundiß einer allgemeinen Theorie (1984) di Niklas Luhmann si afferma come risolutiva per superare la fase di stallo.
Luhmann recupera e rielabora l’idea parsonsiana del rapporto tra differenti sistemi, ma introduce un nuovo concetto, quello di accoppiamento strutturale (cfr. Luhmann, De Giorgi 1991, p. 151), inoltre supera il problema dell’asimmetria del modello parsonsiano, attraverso un impianto analitico che considera anche gli individui in termini di sistema, più in particolare, sistemi psichici, in grado di “costruire la conoscenza”. L’autopoiesi, dunque, continua ad essere la caratteristica propria dei sistemi, quella che consente di spiegare la dimensione sociale e la produzione di comunicazione, ma è anche la caratteristica che assicura la stabilità degli stessi rispetto alle possibili vulnerabilità.
Gli individui, a loro volta, contribuiscono alla comunicazione, ma anch’essa si specifica funzionalmente rispetto al sistema cui appartiene, così l’amore, l’educazione, il potere, il denaro, la fede, la verità scientifica diventano forme di una specificazione che fornisce evidenza ai rispettivi sistemi di appartenenza e che descrive la distinzione rispetto all’ambiente di ogni sistema.
Le possibili forme di selezione realizzabili nel cyberspazio, gli accoppiamenti strutturali rispetto all’ambiente indifferenziato della rete e l’autodeterminazione degli individui in una “modernità avanzata” (Longo 2005, 79), aprono, tuttavia, la strada a nuove e numerose questioni che rappresentano altrettante sfide teoriche e pratiche. Gli esiti sono provvisori perché gli stessi fenomeni osservati possono evolvere in modi difficili da predire, ma alcune specificità possono essere comunque colte.
2. La sfera pubblica del cyberspazio
All’interno di uno spazio cibernetico, il sistema della politica si considera “informazionale” nella misura in cui genera democratizzazione delle informazioni e crea nuovi modelli di agorà, configurando quella che Castells definisce società in rete.
La produzione e riproduzione di conoscenza è un valore dello scambio sociale, l’espressione di una socialità attiva che si declina in modi differenti, si seleziona e si contestualizza affinando la capacità selettiva in relazione all’esperienza. Nel cyberspazio, tuttavia, queste dinamiche valoriali non sono realizzabili nei termini attuabili tramite la socialità reale.
Le ICT, infatti, agiscono sulle modalità comunicative e organizzative, sul modo di concepire il rapporto pubblico/privato, i rapporti interpersonali e l’intelligenza collettiva (cfr. Lévy 1996, p. 86). La stessa conoscenza, dunque, assume rilievo rispetto alla mediazione tecnologica, non a caso si parla di computer mediated communication per identificare qualsiasi tipo di comunicazione mediata dal computer (Thurlow, Lengel, Tomic 2004).
Di fronte a questo scenario il sistema politico è sottoposto all’onere di dover riferirsi a due dimensioni distinte: da una parte la società reale che si specifica come cittadinanza attiva, dall’altra il cyberspazio, spazio della complessità indefinita.
Isolando temporaneamente i problemi di indeterminatezza dello spazio globale, si può evidenziare che queste potenzialità “promesse” dalle ICT in termini di accessibilità, condivisione e partecipazione democratica, consentono di “aspirare” a quei princìpi che sono alla base degli ordinamenti democratici: 1) opinione pubblica informata, ovvero capacità di supplire, mediante l’informazione reperibile in rete, alla scarsa articolazione della politica mediatizzata; 2) partecipazione, favorita dal narrowcasting, ossia ricevere notizie e commenti in tempo reale da qualsiasi parte del mondo; 3) dibattito razionale, per effetto dell’estensione orizzontale della comunicazione; 4) rappresentanza, ovvero rinforzo e rilancio nell’accesso ai processi dibattimentali (Barnett 1997).
Questa forma di accesso “potenziato” all’informazione, sotto alcune condizioni, ha rilievo anche in termini di garanzia dell’esercizio di libertà fondamentali, in particolare alla libertà di pensiero e fruizione di tutte le fonti disponibili e alla libertà di espressione che, connessa alla libertà di pensiero, rappresenta la possibilità di dare un seguito concreto alle proprie idee, organizzando e diffondendo le proprie opinioni.
Il potenziale democratico all’interno del cyberspazio implica, in effetti, la nascita di molteplici opinioni pubbliche e di una diversa consapevolezza della partecipazione attiva (Aikens 1996). Per altro verso, facilita anche processi che si configurano in rete come forme di deviazione e di distorsione dei fondamenti democratici (nuove concentrazioni di poteri, nuove disuguaglianze, nuove discriminazioni, monopoli del sapere e della conoscenza, frodi, criminalità, terrorismo), rispetto ai quali la politica è chiamata ad intervenire con decisioni che attengono alla sicurezza pubblica ed è a questo livello di intervento che la funzione della politica si scontra con la complessità del cyberspazio. Ciò rappresenta un serio limite per la politica (e di conseguenza anche per il diritto) sulla possibilità di “controllare” tutte le forme di “controllo”, come avviene, ad esempio, nell’ambito delle politiche di contrasto e lotta al terrorismo islamico. Il cyberspazio è, infatti, lo spazio privilegiato per diffondere la dottrina e i contenuti della “causa”, per accrescere il sostegno del jihad, per formare proseliti e reclutare adepti e addirittura per trovare supporti all’organizzazione e al finanziamento di attentati (cfr. Preite 2016, p. 125); ma è anche una grande “cassa di risonanza” che amplifica, con la brutalizzazione delle immagini e la spettacolarizzazione degli atti, i messaggi di paura e di violenza necessari per mantenere viva l’immagine di questa ideologia.
3. Habeas data come forma dell’autodeterminazione digitale
Nel cyberspazio anche il principio di autodeterminazione subisce una mutazione strutturale e socio-culturale, anch’esso diviene “informazionale” trasformandosi da tensione di “affermazione” a sforzo di “negazione” della esclusività altrui (cfr. Frosini 1991, p. 115). In altri termini l’individuo, non potendo affermare se stesso, non può fare altro che limitare gli influssi esterni, non eliminandoli, ma riducendone la portata e la consistenza a un livello congruo di tolleranza.
Le informazioni private di ogni singolo individuo circolano quotidianamente in molteplici attività, a titolo esemplificativo si pensi alla partecipazione ai social network, all’accesso ai servizi in rete istituzionali o commerciali, alla corrispondenza elettronica, ai pagamenti con carte di credito e di debito, alle telefonate. Si tratta di azioni di routine, dove l’identificazione non è associata a dati anagrafici ma a “credenziali di accesso” che allentano pericolosamente il vincolo tra nome, corpo e identità (cfr. Rodotà 2006, p. 76), che lasciano un’impronta digitale indelebile dei rapporti, delle relazioni, degli spostamenti fisici, delle scelte, dei gusti, delle preferenze e forniscono anche una traccia digitale di informazioni “sensibili”; quindi se da un lato soddisfano le richieste e le aspettative dell’individuo, dall’altro lato implementano banche dati spesso sfruttate dal mercato per finalità statistico-commerciali piuttosto che istituzionali. Le ICT rappresentano un driver per la progressiva rarefazione degli elementi metacomunicativi (espressione del volto, tono della voce, postura), coinvolgendo peraltro aspetti più propriamente appartenenti alla personalità dell’individuo, come la responsabilità e l’inibizione (cfr. Paccagnella 2000, p. 80). I vantaggi di una maggiore partecipazione ai processi e alle interazioni sociali del cyberspazio trovano, dunque, un limite nel rischio di pericolose intrusioni nella sfera privata, investendo non soltanto il “corpo biologico” (habeas corpus), ma anche il “corpo digitale” (habeas data), creando i presupposti dell’indebolimento delle libertà fondamentali, con spazi per la discriminazione, la stigmatizzazione e la sopraffazione (cfr. Rodotà 2004).
Nel cyberspazio, libertà, vita privata, riservatezza e oblìo assumono una dimensione ampliata e dilatata, in cui la stessa funzione regolatrice del diritto è costretta a superare schemi predefiniti di tutela, come nel caso dei “nuovi diritti” (cfr. Bin, Pitruzzella 2001, p. 484), che rappresentano una complessa questione riguardante principalmente i sistemi della politica e del diritto.
In Europa, gli stati (e per conseguenza la prassi delle corti costituzionali) affrontano la questione dei nuovi diritti con un approccio orientato all’equilibrio tra interessi contrapposti, che si traduce per il sistema del diritto in una metodologia specifica di bilanciamento impiegata sia per risolvere problemi di costituzionalità che emergono dal contrasto tra diritti o interessi diversi, sia per trattare interessi che non hanno uno specifico riconoscimento giuridico.
Per il sistema della politica, la questione dell’habeas data, che esprime uno stadio evolutivo dell’antico habeas corpus e che rappresenta una estensione della libertà personale (cfr. Acuña 2002, p. 1928), diviene, nello spazio cibernetico, il focus principale dell’equilibrio tra libertà e sicurezza.
Per il sistema del diritto, invece, le situazioni giuridiche che ridefiniscono l’integrità stessa della persona, comportano una riflessione finalizzata alla rivisitazione della distinzione tra diritto di habeas corpus delle Costituzioni meno recenti, come quelle europee, e diritto di habeas data su cui si fondano le Costituzioni più giovani ed in cui è espressamente prevista una garanzia diretta sulla libertà individuale nello spazio cybernetico, azionabile direttamente dal cittadino. In questi termini la locuzione habeas data viene intesa come un rimedio costituzionale avente ad oggetto la protezione della sfera “intima”. Essa rappresenta un nuovo e specifico strumento di tutela simmetrico rispetto al preesistente e tradizionale habeas corpus, proprio per proteggere l’intimità delle persona e la libertà del cittadino contro gli abusi appartenenti alla categoria dei cosiddetti cybercrimes.
In questa direzione si colloca la valutazione in ambito politico dell’esistenza o meno di una corrispondenza delle regole costituzionali vigenti alle fattispecie giuridiche che emergono nell’era digitale. In altri termini, il problema che il legislatore deve affrontare è la dilatazione del concetto di libertà personale, intesa come “autonomia e disponibilità della propria persona” in virtù del fatto che la tutela del corpo fisico è, oggi, anche tutela delle informazioni personali che lo riguardano. In questo passaggio, la cultura giuridica tradizionale si scontra con l’affermarsi di nuove forme di autodeterminazione, in cui viene meno la corrispondenza piena e oggettiva ai princìpi costituzionali contemporanei (cfr. Preite 2010, pp. 285-286).
In altri termini, il problema che il legislatore deve affrontare è la “dilatazione” del concetto di libertà personale, intesa come “autonomia e disponibilità della propria persona” in virtù del fatto che la tutela del corpo fisico è, oggi, anche tutela delle informazioni personali che lo riguardano (a titolo esemplificativo il riferimento è al diritto alla privacy, al diritto di accesso, diritto all’oblìo).
Nel caso italiano, così come in molti altri stati dell’Unione europea, i diritti della sfera individuale assumono valenza costituzionale con il metodo cosiddetto “a spirale”, che inizia con l’habeas corpus (ad esempio l’art. 13 Cost. sulla libertà della persona fisica), cioè con la garanzia della persona e dei beni fisicamente connessi ad essa, estendendosi all’ambito spaziale immediatamente circostante e così via in maniera ricorsiva. Ciò crea una continuità nella tutela della sfera individuale che porta la libertà personale a saldarsi tuttavia con altri diritti sanciti dalla Costituzione (cfr. Bin, Pitruzzella 2001, pp. 481-490; come ad esempio avviene sempre più spesso nel cyberspazio tra diritto alla privacy e diritto all’informazione); in tal modo, se da un lato si rafforza e si completa la garanzia complessiva dei diritti individuali, dall’altro lato si assiste ad una variazione della tutela che tende a dilatarsi all’aumento della distanza dal punto di origine. Si tratta, dunque, di far corrispondere nuove garanzie e nuovi livelli di tutela della persona all’evoluzione tecnologica. Ciò non significa affermare la nascita di nuovi diritti, ma piuttosto rivisitare quelle categorie giuridiche sorte in un’epoca che non ci appartiene più. Con la consapevolezza che, in una società complessa come la nostra, ogni decisione comporta sempre una nuova assunzione di rischio.
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