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La pittura, la città e la visione

CARMINE CICCARINI
Intervista a cura di Vincenzo Sorrentino. Articolo pubblicato nella sezione Tra le righe.

Parlare di pittura è sempre pericoloso, perché si può scivolare nell’intellettualismo astratto, nello psicologismo da quattro soldi o nei clichés, allontanandosi dalla materialità delle immagini e dal loro specifico codice comunicativo. Rimando i lettori al tuo sito (www.ciccariniarte.it) per vedere le tue opere. Cominciamo con qualche cenno biografico. In questi ultimi anni, sta crescendo la considerazione per la tua opera nel nostro panorama artistico, come dimostrano anche le tue recenti mostre. Come nasce il tuo interesse per la pittura?


Sono nato in mezzo a restauratori e copisti di madonne rinascimentali e la mia casa in gioventù era piena di opere di Brindisi, Enotrio, Omiccioli, oltre a dipinti di maestri della scuola napoletana come Gigante, Morelli, De Sanctis, amico di camera a Parigi del grande De Nittis. Inoltre mio padre negli anni sessanta restaurava il Convento Michetti, noto pittore e fotografo, che aveva spesso ospitato D’Annunzio che in quel luogo aveva scritto Il piacere, La figlia di Iorio e molte altre opere. Tutti questi quadri erano nella mia stanza, una grande camera di un rosso pompeiano illuminato dal sole che si rifletteva sui monti di fronte a casa mia, a Chieti in Abruzzo. Avevo uno zio, professore di educazione artistica, che mi faceva lezioni di disegno e di acquerello secondo una tradizione più anglosassone che italiana. Avrò avuto all’epoca otto-nove anni, ma disegnare mi rimaneva facile. Qualche anno dopo non avevo difficoltà a riprodurre disegni di Leonardo, Goya, Duhrer e Rembrandt. Saper disegnare o avere in generale affinità per l’arte non è un merito. Si nasce già predisposti, poi naturalmente bisogna lavorarci sopra. Quindi il mio interesse per la pittura credo sia nato molto presto, intorno ai dodici-tredici anni.


Dal 5 settembre al 7 ottobre si è tenuta una tua mostra a Roma, nella bellissima e prestigiosa sede del Chiostro del Bramante, il cui titolo è “Dalla veduta alla visione: il mito della città”. Quello della città è un tema ricorrente nei tuoi dipinti. Cosa rappresenta?


Nelle metropoli io trovo un cuore pulsante dove si combatte la battaglia per la vita e si esprime la difficoltà comunicativa dell’uomo moderno costretto a vivere fra strade, macchine, traffico e strutture architettoniche non sempre costruiti per viverci bene. Si vive in fretta e tutto si consuma rapidamente. Le metropoli possono anche annientare gli uomini se questi non conservano la capacità di guardare oltre la realtà, creandosene una visionaria parallela infarcita di sogni, motivazioni, interessi diversi da quelli imposti. Le rappresentazioni delle mie città spesso sono asfissianti, i grattacieli incombono, i cieli sono pesanti, le strade non hanno mai una fine per il flusso metallico delle automobili. Tuttavia, in questa realtà greve io mi creo delle ali per guardare il tutto dall’alto: da questa posizione, come una cinepresa, riesco a vedere il cuore pulsante della città senza il senso di angoscia che opprime l’uomo sulla strada. Spostando in questo modo il mio punto di vista quelle strade senza fine diventano, piuttosto, un punto di fuga, una luce, una speranza.


Carmine Ciccarini, A new day, 2012 Carmine Ciccarini, A new day, 2012

Carmine Ciccarini, Flying on the river, 2012 Carmine Ciccarini, Flying on the river, 2012

Le metropoli, però, se ben approcciate possono essere anche le muse da cui attingere immagini, idee e il pathos melanconico che è una fonte inesauribile di nuova energia, perché lega il senso del tempo che passa all’idea di creare nuove sceneggiature per la propria vita. La melanconia che si ritrova in molti miei quadri è ben diversa dalla tristezza, anzi porta a percepire prima il valore del tempo e di quello che stiamo facendo. Molti dicono: «come vivevo bene quel tempo e in quella situazione», magari anni dopo aver vissuto quell’esperienza. I miei ricordi importanti di oggi lo erano anche decine di anni fa, perché già avevo dentro il senso di melanconia che mi faceva capire immediatamente che quel momento appena vissuto sarebbe rimasto nella mia memoria come qualcosa di bello, ma ormai irripetibile. Da melanconico cronico anche in gioventù, ho voluto e sono riuscito a dilatare il tempo perché non sparisse ed entrasse, indelebile, nel romanzo lungo della mia vita: questo ha strutturato il mio carattere. Per questo ho sviluppato prima nella vita poi nella pittura una sorta di memoria eidetica. Il titolo della mia mostra al Chiostro del Bramante a Roma è “Dalla veduta alla visione: il mito della città”: ho voluto esprimere con questo che esiste la veduta di una scena, analizzata neurofisiologicamente dal sistema visivo, e la visione che rappresenta la stessa scena integrata da tutto quello che viene depositato ed archiviato nelle aree associative della corteccia cerebrale, capaci di associare una scena ad un odore, a una sensazione uditiva o quant’altro e che sono le nostre memorie coltivate in anni con la lettura, la visione di film e con le esperienze personali. Faccio un esempio: una nota piazza di Parigi, Place Clichy, da molti è vista quale luogo di passaggio per prendere la metro o da attraversare per andare al mercato delle pulci. Per me, che sono un cinefilo, la visione di questo spazio rappresenta La Novelle Vague francese ed in particolare autori come Truffaut, che in quel posto viveva, si incontrava e sceneggiava molti dei suoi film (molte scene dei Quattrocento colpi si sono svolti in quel luogo). La “veduta visionaria” è molto presente nei miei dipinti.


Carmine Ciccarini, I wanna be... 2, 2011 Carmine Ciccarini, I wanna be... 2, 2011

In I wanna be… nelle sue quattro varianti, vedo una strada in bianco e nero come poteva vederla l’angelo di Wim Wenders nel Cielo sopra Berlino, ma al tempo stesso vedo le strade desolate di Scorzese e in parte immagino Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany quando, appena mattina, si ferma di fronte alla vetrina di Tiffany a mangiare un cornetto.


Carmine Ciccarini, La metropoli dorme, 2012 Carmine Ciccarini, La metropoli dorme, 2012

In La metropoli dorme sono stato suggestionato dalla lettura di On the road di Kerouac immaginando che i due protagonisti del romanzo passassero in una strada come quella dipinta nella loro folle corsa alla ricerca di qualcosa che non troveranno mai.


Carmine Ciccarini, Waiting, 2011 Carmine Ciccarini, Waiting, 2011

In Waiting, nonostante il tutto si svolga vicino Time Square, una forte influenza ha avuto Zurlini con il suo film Il deserto dei tartari in cui l’attesa per qualcosa che potrebbe avvenire, ma che in definitiva non avviene, crea una tensione in chi aspetta a volte esasperante fino quasi alla pazzia.


Carmine Ciccarini, 57th Street, 2012 Carmine Ciccarini, 57th Street, 2012

Nel dipinto 57th street ho forse ricreato le città di Hopper e Sheeler, ma in realtà pensavo ad un romanzo di Fitzgerald, per questo quella New York ha un aspetto retrò.


Pochi mesi fa si è tenuta a Venezia una tua mostra, dal titolo “Brain Maps. Entropia dei sistemi nell'arte”, anche questa con scenari metropolitani. I titoli delle tue mostre connettono il tema della città a quello dell’entropia e del cervello: quali sono i nessi?


Noi viviamo di neuro mediatori quali la dopamina, la serotonina e decine di altre sostanze chimiche che a seconda di come si combinano possono dare la felicità o la depressione. L’arte è uno straordinario mezzo che permette al cervello di associare diverse zone apparentemente scollegate e di creare pertanto miliardi di messaggi fra neuroni di aree differenti e con differenti funzioni.


Carmine Ciccarini, I wanna be... 3, 2011 Carmine Ciccarini, I wanna be... 3, 2011

Facciamo un esempio: se io guardo il mio quadro I wanna be… 3 ho un senso di vertigine associato al desiderio di guardare la lunghezza della strada ed un senso di pace dovuto al grigio che domina il quadro dentro una cornice di nero, che sembra la tenda di un teatro o l’oscurità che abbiamo dentro. In una sola immagine ho stimolato le aree della corteccia visiva, le zone temporali proprie del senso dell’equilibrio, l’ipotalamo che regola il sistema di difesa-offesa e l’insula, una struttura che elabora processi informativi per creare un contesto emozionale in risposta alla esperienza sensoriale; l’insula regola l’ansia, il disgusto, la felicità o la tristezza: l’insula è a mio avviso una struttura fondamentale per sentire l’arte. Se sentiamo il nostro cuore palpitare o la pressione che si alza di fronte ad un evento artistico, lo dobbiamo a tale struttura perché è quella che ce li fa percepire.
Le stimolazioni che riceviamo dall’arte possono essere positive o negative a seconda che si crei ordine o disordine nella miscela di neuromediatori liberati dall’esperienza sensoriale. L’Entropia, che nasce come una misura fisica termodinamica, non è che una misura fisica dell’ordine o del disordine che si crea in un sistema, qualunque esso sia. Le alte entropie manifestano il disordine e creano uno stato di agitazione per le strutture del sistema nervoso centrale. Se creo un dipinto con colori inconciliabili determino uno stato di disagio delle strutture neuronali. Prendiamo i dipinti della transavanguardia tedesca, tipo Penck o le opere di Beyus, creatore dell’arte concettuale o quelle di artisti come Macke e Kirchner, due espressionisti tedeschi: le opere di questi artisti hanno un alto indice di Entropia e creano un senso di ansia e talvolta di disgusto. Naturalmente ciò non pregiudica il successo degli artisti in questione, ma li rende meno gradevoli ad un primo approccio.


L’opposto accade con i dipinti degli impressionisti che hanno un basso indice di Entropia: forse questo spiega il successo di molti pittori impressionisti che usavano colori primari e secondari ben modulati, che se fossero stati mescolati avrebbero dato probabilmente il grigio. Anche la struttura del quadro è semplice nelle visioni prospettiche e nelle scene rappresentate.


Molti sono dell’avviso che una foto in bianco e nero sia più facilmente percepita ed accettata dal nostro sistema nervoso rispetto ad una multicolorata perché il grigio, che è la combinazione fra il bianco e il nero, è molto tranquillizzante in quanto causa una bassa Entropia, così come i punti di fuga e le giuste prospettive. Facciamo un esempio con la fotografia. Le foto di Man Ray, Newton, Stieglitz, Adams e in generale i grandi fotografi del bianco e nero, hanno basso indice di Entropia perché il bianco e il nero creano il grigio che è la tonalità meglio accettata dal nostro sistema nervoso in quanto non stimola la produzione di adrenalina e dopamina che sono sostanze chimiche eccitanti. Moltissimi amano le foto in bianco e nero.


Nelle tue opere generalmente le figure umane sono assenti o si stagliano come piccole silhouettes, perché?


Perché l’uomo moderno che vive le metropoli è un ombra schiacciata, spesso senza pensieri creativi ma solo alla ricerca di una sopravvivenza fisica, non intellettuale, che insegue miti creati da una società ipercapitalista che oggi ha perso il proprio Dio: l’idea di dover crescere sempre in senso consumistico, con un forte senso della ipercompetitività e con l’idea che l’ego, la carriera e il denaro siano tutto. Il senso di solidarietà che ha permesso la crescita del genere umano così come il senso dell’amicizia sono andati perdendo di valore. Un simile uomo è solo e merita di essere ritratto come un ombra sfuggente o dal volto mal definito perché non lascia traccia, non “impressiona”.
Rimanendo in tema, tutta l’arte del novecento ha espresso una forte compartecipazione fra gli artisti così come nel tardo ottocento: scrittori, poeti, pittori, musicisti, scenografi, hanno prodotto non solo uno sforzo creativo (che permane nelle loro opere che hanno travalicato il tempo e sono tutt’ora attuali) ma soprattutto il pensiero artistico. Molti artisti dell’epoca hanno creato una propria forma espressiva prendendo a piene mani dal meraviglioso materiale umano con il quale condividevano prima di tutto una filosofia artistica. Quelli di oggi invece, ritengo che non siano riusciti a comunicare tra loro: penso alla tendenza imperante degli anni ’80 e ’90 che vedeva nella realizzazione individualistica l’unico scopo della vita e che ha consentito al marketing sfrenato di molti galleristi moderni di prendere il sopravvento sul valore reale dell’espressione artistica.
«I mondi sono infiniti sia quelli simili al nostro sia quelli al nostro dissimili» (Epicuro): per questo ritengo sia di fondamentale importanza, non solo nel campo artistico, che la dialettica del pensiero liberi, anzi renda cosciente, quel mio uomo metropolitano.


Carmine Ciccarini, Why?, 2011 Carmine Ciccarini, Why?, 2011

Carmine Ciccarini, Red Scarf, 2008 Carmine Ciccarini, Red Scarf, 2008

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