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Le nuove “tecniche” nella gestione delle richieste di asilo

MARIA TERESA BATTISTELLI
Articolo pubblicato nella sezione "Naufragio con spettatori: noi e i migranti"

Nel quadro di un aumento esponenziale dei flussi migratori verso l’Europa nell’ultimo quinquennio si è registrata in Italia una forte domanda di riconoscimento della protezione internazionale. Quest’ultima infatti costituisce, a fronte della drastica riduzione dei canali di accesso regolare, il locus minoris resistentiae nel tentativo di soggiornare legittimamente in un paese Europa. Secondo una stima dell’OCSE nel 2016 in Italia le domande di riconoscimento di protezione internazionale presentate sono state 120 mila, una cifra che colloca l’Italia al terzo posto nel mondo dopo Germania e Stati Uniti. Ciò ha comportato, accanto a una serie di conseguenze di ampia portata sociale e politica, specifici effetti in relazione alla gestione delle richieste di protezione internazionale, con particolare riferimento alla durata del loro espletamento. Nel tempo si era andato consolidando un allungamento della durata media di valutazione della singola istanza da parte delle autorità decisionali competenti (le Commissioni territoriali), sino ad arrivare ad una media di otto mesi e mezzo per ciascuna pratica.


I diritti dei richiedenti asilo nel quadro internazionale, europeo e nazionale

L’art. 14 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite firmata nel 1948 riconosce il diritto di ciascun individuo a godere del diritto di asilo in un paese diverso dal proprio. La Convenzione di Ginevra del 1951 e il relativo protocollo del ’67 definiscono rifugiato colui che è costretto a fuggire da un paese per timore di essere perseguitato. Tale definizione è ancorata alla rigida presenza dei requisiti di inclusione; in particolare di quello soggettivo, il “fondato timore” e di quello oggettivo, la “persecuzione”.
Ai fini della sussistenza dello status in oggetto diviene necessario verificare la presenza del “causal link” tra gli atti di persecuzione e i motivi che ne giustificano il timore. Conseguenza diretta del riconoscimento dello status di rifugiato è il principio di “non refoulement” previsto dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra, che al secondo comma prevede espressamente alcune eccezioni al respingimento in ragione di motivi di ordine e sicurezza pubblica. Tale principio e le rispettive eccezioni devono essere lette alla luce dei numerosi strumenti internazionali di tutela dei rifugiati e dei principi affermati dalla giurisprudenza della Corte Europea. A tal proposito, ricordiamo la sentenza del 2008, Saadi c. Italia, in cui la Corte riconobbe il valore assoluto dell’art. 3 CEDU, il quale prevede il divieto di tortura, indipendentemente dalla pericolosità dei richiedenti. In questa direzione, un contributo a livello internazionale è fornito dalle pronunce del Comitato dei diritti dell’uomo che implicitamente hanno sostenuto il principio di “non refoulement” attraverso il richiamo agli art. 6 (diritto alla vita) e 7 (divieto di tortura) del patto sui diritti civili e politici del 1966. Inoltre, l’art. 3 della Convenzione ONU del 1984 contro la tortura vieta espressamente il “refoulement” a favore di tutti gli individui.
Per la prima volta a livello europeo, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea proclamata nel 2000 a Nizza ha riconosciuto all’art. 18 il diritto di asilo e all’art. 19 il divieto di respingimento di un soggetto che si trovi in una situazione in cui esista un rischio di tortura o trattamento disumano. Il trattato di Amsterdam del 1997 e la relativa comunitarizzazione in materia di immigrazione e asilo hanno dato un notevole impulso all’emanazione di una serie di direttive e regolamenti che ne disciplinano l’ambito. In particolare l’art. 63 TCE ha costituito la base giuridica della direttiva “qualifiche” 2004/83, modificata dalla direttiva 2011/85 e della direttiva “Procedure” 2005/85, modificata dalla direttiva 2013/32. Inoltre allo status di rifugiato si affianca in via complementare quello di protezione sussidiaria, venendo così a precisarsi il concetto di protezione internazionale. A livello nazionale, il D. Lgs. 2007 n. 251 attua la direttiva 2004/83 CE e il D. Lgs. 2008 n. 25 la direttiva 2005/85.
Passando ad un esame delle procedure applicate in Italia per il riconoscimento della protezione internazionale, si approfondiscono i diritti garantiti al richiedente. Innanzitutto, ai sensi dell’art. 7 del D. Lgs. 2008 n. 25, ad esso è riconosciuto il diritto di rimanere nel territorio dello Stato sino alla decisione della commissione territoriale. L’articolo in esame non recepisce alcuna delle deroghe previste dalla direttiva europea come quella ad esempio in cui la domanda sia stata reiterata, facendo propria un’ottica maggiormente favorevole per il richiedente. Inoltre il decreto non prevede un termine specifico per la presentazione della domanda, consentendo così ai c. d. rifugiati “surplace” (definizione rinvenibile in UNHCR) la possibilità di richiedere la protezione internazionale anche in un momento successivo rispetto a quello dell’arrivo sul territorio italiano. Il richiedente, infatti, può presentare la domanda di protezione internazionale presso l’Ufficio di Polizia di Frontiera all’atto dell’ingresso o in un secondo momento presso la questura competente in base alla sua dimora.
Il momento in cui l’interessato manifesta la volontà di richiedere protezione internazionale sarà tuttavia oggetto di valutazione in fase di colloquio dinnanzi l’autorità competente. L’art. 10 del decreto sopracitato garantisce al richiedente un’informazione completa in merito alla procedura da seguire, fornendo anche la consegna di un opuscolo informativo, sin dal primo contatto con l’Ufficio di Polizia competente. A questo fine, la L. 2015 n. 142 ha aggiunto al D. Lgs. 2008 n. 25 l’art. 10 bis, il quale riconosce tale diritto di informativa anche nei valichi di frontiera e nelle relative zone di transito. Tali informazioni devono essere redatte nella lingua indicata dal richiedente o, se ciò non è possibile, in lingua inglese, francese, spagnola o araba. Il riferimento alle quattro lingue veicolari potrebbe, tuttavia, non essere sufficiente a garantire al richiedente una piena comprensione configurando una violazione della direttiva europea, la quale richiede l’uso di una lingua in grado di essere compresa dal richiedente o che ragionevolmente si ritenga a lui comprensibile. È comunque da osservare che il decreto consente al richiedente di essere assistito da un interprete, in tutte le fasi del procedimento, prevedendo una modalità informativa più garantista rispetto a quella annunciata dalla direttiva, che fa esclusivamente riferimento al momento del colloquio.
Inoltre, l’art. 10 del decreto riconosce al richiedente la possibilità di comunicare con l’UNHCR e con altre organizzazioni di sua fiducia al fine di essere assistito in maniera effettiva durante l’espletamento della procedura di riconoscimento. Momento centrale all’interno del novero dei diritti in capo al richiedente è costituito dal colloquio dinanzi l’autorità competente. Infatti, la possibilità per il richiedente di essere in tale sede udito personalmente costituisce una piena ed effettiva garanzia del suo diritto di difesa. Il diritto ad essere ascoltato rappresenta la regola ordinaria, le cui deroghe, previste dall’art. 12, devono essere considerate tassative. Il colloquio riveste estrema rilevanza, soprattutto se si considera la vulnerabilità di colui che è costretto a richiedere protezione e la sua difficoltà a fornire le prove della sua condizione date le circostanze di emergenza che lo hanno costretto ad abbandonare il suo paese. In tal senso, il colloquio acquista un ruolo particolarmente importante. Un orientamento, espresso da alcune pronunce della Corte di Cassazione nel 2008, ha affermato che in capo all’autorità competente a decidere in merito alla protezione internazionale sussista un vero e proprio obbligo di cooperare nell’accertamento dei requisiti che consentono il riconoscimento della suddetta protezione. Ne consegue un onere probatorio attenuato in capo al richiedente, tenuto conto della sua debolezza e, in capo alla commissione e al giudice competente, un rafforzamento del ruolo attivo e integrativo nell’istruzione della domanda.
Tornando al tema, apparentemente tecnico ma in realtà proceduralmente cruciale, del colloquio dinanzi la commissione competente, le sue modalità sono disciplinate dagli artt. 12 e 13 del D. Lgs. 2008 n. 25. Al fine di garantire la riservatezza delle comunicazioni in oggetto è prevista la seduta non pubblica e, salvo quando l’autorità competente non lo ritenga necessario, non è contemplata la presenza al colloquio dei familiari. Il diritto al colloquio viene garantito a tutti coloro che abbiano manifestato la volontà di richiedere protezione internazionale, non essendo contemplata alcuna distinzione riguardo la legittimazione attiva. Nel caso si tratti di un minore, in presenza di un genitore o di un tutore, esso viene ascoltato da un componente della commissione con idonea formazione.
Di norma il colloquio avviene dinnanzi ad uno solo dei componenti della commissione, possibilmente dello stesso sesso del richiedente. Sebbene la legislazione precedente prevedesse che il colloquio avvenisse dinnanzi alla commissione in composizione collegiale, la prassi se ne discostava per esigenze di celerità e il colloquio veniva di fatto svolto da parte di un unico componente. Prendendo atto di tale prassi, il D. L. del 2014 n. 119, sancisce il comma 1bis all’art. 12 del D. Lgs. 2008 n. 25, il quale normativizza il colloquio innanzi ad un solo componente della commissione. La collegialità, che assicura maggiormente l’imparzialità della decisione attraverso il bilanciamento tra le diverse estrazioni e professionalità dei membri, permane soltanto nella fase finale, quella dell’adozione della deliberazione.
Per ciò che concerne, invece, l’esame della domanda di protezione internazionale, l’art. 8 dello stesso decreto prevede che la decisione su ogni singola domanda si basi su un esame individuale obiettivo ed imparziale. Quanto all’obiettività, si ritiene essa sia conseguita grazie alla competenza assicurata dalle diverse professionalità rappresentata nel collegio. Quanto all’imparzialità, essa è assicurata dalla indipendenza degli organi decisionali. A questo proposito ha suscitato qualche perplessità la nomina dei componenti delle commissioni territoriali da parte del ministro degli Interni, che potrebbe indurre un’eventuale dipendenza dall’amministrazione centrale dello Stato. Tuttavia è da considerare che l’art. 98 della Costituzione afferma un principio fondamentale per i dipendenti pubblici stabilendo che essi sono al servizio della Nazione. Presupposto fondamentale per l’esercizio del diritto al riconoscimento di protezione internazionale è la possibilità effettiva del richiedente di usufruire in tempi ragionevoli delle misure di accoglienza nel territorio straniero. Durante il periodo necessario all’esame della sua domanda, o sino alla scadenza del termine per l’impugnazione, in caso di rigetto, il richiedente, con i suoi familiari, ha diritto se privo di mezzi sufficienti, ad accedere alle misure di accoglienza del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, ai sensi dell’art. 14 del D. L.gs 2015 n. 142.
Per concludere la rapida disamina di quelli che emergono come diritti di maggior rilievo nel corso dell’esame della domanda del richiedente, un richiamo va all’effetto sospensivo dell’impugnazione del rigetto della domanda. La direttiva 2013 n. 32 prevede che, sino all’esito del ricorso, gli Stati membri autorizzino la permanenza dei richiedenti asilo sul territorio in cui hanno presentato la loro domanda. Il decreto, garantendo l’automatica sospensione dell’esecutività del provvedimento di rigetto della domanda di protezione come regola generale, recepisce la disposizione europea tutelando il ricorrente dal rischio di eventuali espulsioni prima della definizione del giudizio. Salvo casi tassativamente elencati, infatti, al richiedente è permesso di permanere nel territorio italiano sino alla definizione del giudizio del ricorso. Ai soggetti che non beneficiano di tale diritto è comunque garantita la possibilità di richiedere tale misura cautelare in presenza di fumus boni iuris e di periculum in mora. Sull’istanza il giudice si pronuncerà nei cinque giorni successivi, inaudita altera parte, consentendo l’apertura di un contraddittorio cautelare tra le parti.
Dal riconoscimento dello status di rifugiato o, in assenza dei requisiti necessari, dal riconoscimento della protezione sussidiaria, discende una serie di diritti. Alcuni di essi parificano la posizione dei beneficiari a quella dei cittadini italiani come ad esempio nel caso di accesso all’occupazione, all’istruzione, all’assistenza sanitaria e ai servizi sociali. Per l’esercizio di altri diritti restano alcune differenze tra i beneficiari dello status di rifugiato e quelli a cui è concessa la protezione sussidiaria (permesso di soggiorno, documento di viaggio). Nel caso del rinnovo del permesso di soggiorno accordato (ad entrambi i beneficiari per cinque anni rinnovabili) per il beneficiario della protezione sussidiaria è prevista una verifica del mantenimento dei requisiti richiesti per la concessione. Per quanto riguarda la concessione del documento di viaggio (equipollente ad un passaporto) nel caso dei rifugiati è competente la questura che lo rilascia automaticamente con il permesso di soggiorno, mentre nel caso dei beneficiari della protezione sussidiaria sono competenti al rilascio le autorità diplomatiche del Paese di cittadinanza (solo nel caso ciò non sia possibile sarà competente la questura). Tale differenza di trattamento risponde alla ratio del maggior favore nei confronti dei rifugiati, ai quali deve essere evitata la necessità di prendere con le autorità nel paese di provenienza un contatto presumibilmente complesso o addirittura rischioso.


Novità introdotte dal D. L. Minniti

In conseguenza degli importanti spostamenti migratori del XXI secolo i governi europei si sono trovati a fronteggiare due esigenze differenti e in certa misura contrastanti. Da un lato l’obbligazione giuridica - oltre che morale, sociale e politica - di garantire misure effettive di accoglienza a persone bisognose di protezione; dall’altro quella di rispondere alla crescente percezione di insicurezza e corrispondente domanda di sicurezza che tende a diffondersi, con maggiore o minore spontaneità e fondatezza, tra i cittadini.
In questo quadro si inserisce il D. L. 2017 n. 13, c.d. Minniti, che si propone l’obiettivo di accelerare le decisioni amministrative e giudiziarie in materia di protezione internazionale e, allo stesso tempo, di rafforzare gli strumenti di contrasto all’immigrazione illegale. Ispirandosi al principio di effettività, il decreto Minniti mira a rendere più semplice l’accesso ai procedimenti di riconoscimento della protezione internazionale e al ricorso alla giurisdizione, prevedendo anche una riduzione dei tempi di espletamento delle procedure. L’esigenza di garantire il diritto al riconoscimento in tempi ragionevoli viene collegata alla necessità che i provvedimenti di respingimento e di espulsione degli stranieri privi dei requisiti legittimanti la loro presenza sul territorio italiano, siano adottati tempestivamente. Il decreto in esame, che per questi motivi aveva suscitato un vivace dibattito, si collocava in un contesto nel quale i tempi di attesa procedurali determinati anche dal sovraccarico di casi pendenti dinanzi alle commissioni territoriali prima e ai giudici di impugnazione poi, avrebbe condizionato il diritto fondamentale di riconoscimento della situazione giuridica dei richiedenti. Nell’insieme il decreto Minniti lascia intravedere un divario tra l’apertura tecnica mostrata nell’accogliere nuovi strumenti operativi e la prospettiva amministrativa che privilegia la funzionalità rispetto alla tutela dei diritti dei richiedenti. Per affrontare l’insieme dei complessi problemi che pone il fenomeno migratorio, infatti, il D.L. 2017 n. 13 prevede il ricorso a un ampio spettro di misure che investono sia la dimensione organizzativa, sia quella giuridica della procedura. In concreto il decreto istituisce delle sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’UE presso i tribunali ordinari del luogo nel quale hanno sede le Corti d’appello. Tali sezioni, inizialmente proposte nel numero di quattordici, sono state poi portate a ventisei e sono composte da magistrati esperti in immigrazione, selezionati sulla base di esperienze professionali in materia e appositi percorsi formativi. La nuova composizione delle sezioni ha l’obiettivo di velocizzare l’esame delle domande e di garantire ai richiedenti una obiettiva valutazione della loro situazione in funzione del riconoscimento delle richieste di protezione internazionale.
Quanto al sistema delle notificazioni e delle comunicazioni, il decreto in esame, modificando l’art. 11 del D. Lgs. 2008 n. 25, introduce formalmente l’utilizzo della posta elettronica certificata all’indirizzo del responsabile della struttura in cui il richiedente è accolto o trattenuto. Velocizzando i tempi di notificazione e consentendo un’effettiva conoscenza degli atti il mezzo telematico garantisce un esercizio effettivo della difesa riguardo ai termini per l’impugnazione. Nel caso invece in cui il richiedente non si trovi presso un’apposita struttura, il comma 3 bis dello stesso art. 11 prevede che le notificazioni debbano essere effettuate presso l’ultimo domicilio tramite servizio postale.
Anche in merito al verbale del colloquio, il decreto apporta, all’art. 14 dello stesso decreto, alcune innovazioni “tecniche”. In particolare viene introdotta la videoregistrazione con mezzi audiovisivi e la trascrizione in lingua italiana con l’ausilio di sistemi automatici di riconoscimento del colloquio dinanzi la commissione, mentre la disciplina previgente consentiva solo la registrazione con mezzi meccanici. Ciò non esclude l’insorgere di alcune perplessità in merito all’utilizzo della videoregistrazione quale prova principale nel giudizio di merito dinnanzi alle sezioni specializzate del tribunale ordinario competente in sede di impugnazione. Infatti, lo stesso decreto in oggetto sostituisce il rito sommario di cognizione previsto dal D. Lgs. 2011 n. 150 con un rito camerale basato su un contraddittorio cartolare e un’udienza meramente eventuale, dinnanzi all’autorità di primo grado. La comparizione personale del richiedente dinnanzi alle sezioni specializzate viene lasciata, salvo tassative eccezioni indicate dall’art. 35 bis, alla piena discrezionalità del giudice confermando, quale regola ordinaria, la mera visione della videoregistrazione di fronte al giudice. Se consideriamo, inoltre, la soppressione del reclamo in appello e l’esclusiva ricorribilità in Cassazione (oramai con L. 2016 n. 197, anch’essa a modello camerale) della decisione di rigetto della domanda da parte della commissione, appare ancora più evidente il ruolo sempre più determinante che viene assumendo la videoregistrazione, con possibili conseguenze negative in ordine al diritto di difesa dell’interessato.
Di rilevante interesse appaiono inoltre le modifiche apportate all’art. 6 del D. Lgs. 2015 n. 142 disciplinante i casi di trattenimento nei centri di permanenza per i rimpatri, così denominati all’art. 14 del Testo Unico sull’immigrazione, già Centri di espulsione ed identificazione. Ai fini del trattenimento, al comma 3, dell’art. 6 il decreto Minniti aggiunge l’ipotesi del destinatario di un provvedimento di respingimento che ne abbia ritardato l’esecuzione. Il comma 5, invece, introduce il collegamento audiovisivo tra il centro e l’udienza in sede di convalida di trattamento come modalità di svolgimento di udienza. Inoltre, il decreto aggiunge al comma terzo dell’articolo 10ter del TU una nuova ipotesi di trattenimento per i casi in cui sussista il rischio di fuga, qualora lo straniero si rifiuti in maniera reiterata di sottoporsi ai rilievi foto dattiloscopici negli appositi punti di primo soccorso e identificazione.
Tra le riserve suscitate dalle innovazioni tecniche del decreto Minniti vi è da ultimo l’introduzione di procedimenti telematizzati ai fini delle notificazioni che mirano a semplificare e velocizzare le procedure innanzi alle commissioni territoriali. Nei confronti degli “irreperibili” le notifiche si perfezionano previo deposito, per la durata di venti giorni, presso la questura del luogo in cui ha sede la commissione territoriale. Decorso il termine, la notificazione si intende eseguita (una copia dell’atto sarà disponibile presso la commissione stessa) e inizia a decorrere il termine per fare ricorso. Ciò, tuttavia, comporta che se il ricorrente si presenta alla questura dopo i venti giorni, i termini del ricorso potrebbero essere già decorsi, ledendo così il diritto di difesa dell’interessato. Suscita altresì più di un dubbio la previsione del collegamento audiovisivo come modalità ordinaria di partecipazione del richiedente all’udienza per la convalida del trattenimento. Anche a prescindere dal fatto che tale mezzo è stato previsto sino ad ora per i soli processi di criminalità organizzata, esso impedisce una comunicazione riservata fra trattenuto e difensore e impone uno “sdoppiamento” di quest’ultimo, costretto a scegliere tra l’aula del tribunale o il centro di trattenimento.
Infine, per quanto riguarda le modifiche di natura giuridica, quali il giudizio di merito meramente cartolare e la soppressione del ricorso in appello, non si può non rilevare il rischio che esse comprimano il diritto ad un ricorso effettivo del richiedente. Nella nuova normativa il contradditorio diviene eventuale mentre la soppressione del ricorso in appello determina un’eccezione rispetto alla previsione del doppio grado di merito, garantito dall’ordinamento italiano anche per controversie di minor valore, affidato adesso ad una procedura sui generis ispirata ad una mancanza di oralità. L’accertamento di un diritto fondamentale, come nel caso della valutazione della sussistenza di un fondato rischio di persecuzione o di tortura, rientra infatti tra i principi inalienabili della Repubblica, che sarebbe meglio tutelato se esercitato in tutti i gradi di giudizio. Si determina infatti un vulnus non indifferente nei confronti del contatto diretto tra ricorrente e giudice durante l’intero giudizio di impugnazione. Il diritto alla difesa è un diritto fondamentale, la cui inviolabilità è celebrata dall’art. 24 e dall’art. 111 della Costituzione. Lo stesso diritto è inoltre riconosciuto, tra gli altri strumenti internazionali, dall’art. 6 CEDU, rubricato “Diritto ad un processo equo”, e dall’art. 47 della Carta di Nizza, in cui si ribadisce la necessità di un ricorso effettivo dinnanzi ad un giudice imparziale. Tale diritto rischia di essere significativamente indebolito, ledendo la possibilità del richiedente di essere ascoltato personalmente dinnanzi ad un giudice e consentendo unicamente un ricorso di mera legittimità davanti alla Corte di Cassazione, impossibilitata a rivedere la causa anche de facto. Quanto detto sinora sottolinea la complessità di una materia nella quale convergono tanto la ragionevole considerazione di impellenti necessità di funzionamento, quanto l’irrinunciabile tutela di diritti inviolabili previsti dalla Carta costituzionale.


Novità introdotte dai D.L Salvini in materia di immigrazione

Ancora più recente, il decreto Salvini del 2019 n. 113 in materia di sicurezza pubblica, prevenzione e contrasto al terrorismo e alla criminalità mafiosa restringe la gamma di diritti in capo ai richiedenti asilo segnando una non indifferente involuzione nel sistema di accoglienza e integrazione degli stessi in Italia.
Il decreto infatti, oltre a rendere più difficile per i richiedenti asilo il godimento di fondamentali diritti necessari all’integrazione nel tessuto sociale nel quale si inseriscono quali l’iscrizione anagrafica (art. 13) e l’accesso allo SPRAR (art. 12), ora riservati solo a coloro che hanno ottenuto la protezione internazionale e ai minori, estende la gamma di reati tali da legittimare ulteriori ipotesi di revoca e cessazione della protezione internazionale (art. 7). Inoltre il nuovo decreto dispone che la situazione di condannato o di mero imputato in un procedimento penale implichi l’avvio della “procedura immediata” avanti la Commissione Territoriale competente e comporta, in caso di valutazione negativa, l’immediata espulsione del soggetto (art. 10).
Contemporaneamente, il decreto prolunga la durata del periodo massimo di trattenimento dello straniero nei summenzionati CPR, dai 90 a 180 giorni (art. 6) e legittima il trattenimento per fini di identificazione in appositi locali presso le strutture di cui all’art. 10 ter comma 1 del TUI (i c.d. “punti di crisi”) per un periodo non superiore a 30 giorni, estendibile in 180 giorni presso il CPR nel caso in cui persista l’impossibilità di verificare l’identità e la cittadinanza (art. 3). Il decreto, inoltre, introduce ulteriori deroghe alla possibilità di permanere sul territorio durante l’esame della domanda. Nel caso di reiterazione di identica domanda senza addurre nuovi elementi rispetto alla decisione da parte della commissione territoriale, la questura trasmette la documentazione necessaria alla Commissione territoriale che adotta la decisione entro 5 giorni. Una procedura accelerata dai termini ancor più cogenti è prevista nel caso in cui il richiedente presenti la domanda di protezione internazionale direttamente alla frontiera o nelle zone di transito e dopo essere stato fermato per aver eluso o tentato di eludere i controlli (art. 9).
Su questa linea restrittiva, la disposizione che ha destato maggiori dubbi di costituzionalità è l’abrogazione della protezione umanitaria sino ad ora garantita dal nostro ordinamento per coloro che rilevassero oggettive e gravi situazioni personali nel paese di origine. In sostituzione di tale permesso vengono previsti casi speciali di permessi di soggiorno temporanei per esigenze di carattere umanitario (permesso di soggiorno per cure mediche, permesso per atti di particolare valore civile, permesso di soggiorno per calamità e per protezione speciale). L’eliminazione di tale protezione rischia di portare una maggiore irregolarità, con conseguente incremento della marginalità sociale e della stessa criminosità, considerando che solo negli ultimi 10 anni hanno ottenuto il permesso umanitario più di 100 mila richiedenti asilo. Nel tentativo di definire l’ambito di applicazione della controversa abrogazione della protezione umanitaria, il 19 febbraio 2019 è stata depositata una sentenza della Corte di Cassazione in cui si ribadisce la non retroattività della norma e la sua non applicabilità alle domande presentate prima dell’entrata in vigore del decreto, ovvero il 5 ottobre 2018. La Cassazione ha infatti affermato la connessione della protezione umanitaria con il diritto d’asilo costituzionale, definito “diritto soggettivo perfetto appartenente al catalogo dei diritti umani, di diretta derivazione costituzionale e convenzionale”.
A conclusione di questa breve disamina del recente intervento normativo, si ricorda che in sede di conversione del D.L Salvini in legge, sono state introdotte due ulteriori disposizioni, sino ad ora deliberatamente non recepite a livello nazionale dalle direttive europee, alquanto contraddittorie in termini di garanzie dei richiedenti asilo. Viene infatti inserito l’art. 2bis al d.lgs. 2008 n. 25 che introduce la lista dei “Paesi di origine sicuri” adottata con decreto del Ministro degli Affari esteri di concerto con i Ministri dell’Interno e della Giustizia al fine di accelerare la procedura di esame delle domande di protezione internazionale provenienti da tali paesi inseriti nella lista. Tale norma ha il discutibile effetto di invertire l'onere della prova dalla Commissione territoriale al richiedente asilo che dovrà dimostrare che quel Paese non è sicuro per la situazione particolare in cui lo stesso straniero si trova, senza tener conto dei vincoli della sua condizione. A consolidare la suddetta inversione della prova a carico del richiedente, è l’ulteriore previsione della c.d. protezione interna, tale da consentire il rigetto di una domanda se, in una parte del territorio del Paese di origine, il richiedente non ha fondati motivi di temere di essere perseguitato o non corre rischi effettivi di subire danni gravi.
È inoltre da considerare il recentissimo decreto legge approvato il 17 giugno 2019 dal consiglio dei ministri del decreto sicurezza bis proposto d’urgenza dal ministro dell’Interno Matteo Salvini, volto ad inasprire le sanzioni per gli operatori preposti ai soccorsi in mare e a trasferire maggiori competenze al Viminale. Tuttavia, i recenti mutamenti di governo lasciano intravedere un cambio di passo in materia di immigrazione e di riconoscimento del diritto di asilo, presumibilmente orientato ad abbandonare l’approccio “emergenziale” riportando la questione sul piano dell’amministrazione ordinaria. Le manifestazioni di apertura verso canali legali di arrivo dei migranti lasciano immaginare una prospettiva maggiormente incentrata sull’integrazione e sull’inclusione dello straniero, sulla base di una risposta europea di condivisione delle responsabilità al soccorso e alla redistribuzione dei migranti e richiedenti asilo.


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