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Il ruolo degli enti locali nell’educazione alla pace

Giulio Cozzari
Intervista a cura di Brenda Biagiotti

La Provincia di Perugia ha dimostrato di prestare particolare attenzione al tema dell’integrazione europea, come attestano anche i numerosi progetti di cooperazione avviati con i paesi dell’Est. Si potrebbe affrontare questo complesso tema proprio partendo dal contributo fattivo che gli enti locali possono dare alla costruzione di tale processo e, per questo, vorrei invitarla a descriverci le finalità dei progetti intrapresi ed in che modo simili iniziative possono contribuire alla sviluppo di una maggiore integrazione fra i differenti paesi e popoli dell’Unione.

L’Unione europea è una nuova realtà politica capace di incidere profondamente sui comportamenti e sugli obiettivi di tutte le differenti componenti che ne fanno parte. Credo che gli enti locali, con l’avvento di un livello politico superiore quale quello della Unità europea, debbano promuovere la consapevolezza che esiste una nuova cittadinanza e che tale differente dimensione deve essere velocemente compresa ed acquisita. Personalmente ritengo che gli enti locali, senza naturalmente nessuna ambizione di entrare in una sfera di competenze che non appartiene loro quale quella della politica estera, debbano impegnarsi in tale compito, prestando particolare attenzione alla sensibilizzazione dei giovani i quali, per primi in questa nuova realtà, sono chiamati ad acquisire tutta una serie di strumenti e di competenze indispensabili per essere presenti nella nuova economia globale.
In questo contesto, stabilire collegamenti ed avviare un dialogo con altre aree è, a mio avviso, fondamentale. Si tratta in realtà di far evolvere la tradizionale politica dei gemellaggi promossa dagli enti locali. Il gemellaggio infatti nasce proprio nello spirito di promuovere una reciproca conoscenza; partendo da qui, si tenta di fare qualcosa di più e cioè di stabilire dei collegamenti, di incoraggiare gli operatori economici ad investire in quelle aree, di avviare contatti con i rappresentanti della cultura e di costruire insieme dei progetti da presentare a Bruxelles.

Come già accennavo, i nuovi partner europei costituiscono i principali soggetti di interscambio coinvolti in queste iniziative. Quali motivazioni hanno orientato questa scelta e quale occasione possono rappresentare tali paesi per lo sviluppo anche della nostra realtà?

La scelta della nuova Europa è stata effettuata in considerazione di differenti fattori. In primo luogo, si tratta di paesi estremamente desiderosi di intraprendere rapporti di cooperazione per crescere economicamente e promuovere il proprio sviluppo. In secondo luogo, si tratta di una realtà di cui abbiamo certamente una minore conoscenza e che, al tempo stesso, offre un campo di interlocuzione maggiore anche per i nostri operatori economici che in paesi come la Romania, la Polonia o la Bulgaria trovano condizioni che favoriscono i loro investimenti e che consentono quindi una crescita e uno sviluppo anche delle nostre realtà. L’Unione europea stessa, d’altra parte, tende ad incentivare progetti aventi come partner aree della nuova Europa per favorire una maggiore integrazione.

Tale obiettivo non è stato perseguito soltanto mediante gli incentivi alla partecipazione a progetti comunitari, ma anche attraverso l’impegno profuso nella diffusione di maggiori informazioni e nel potenziamento di strumenti di riflessione sulla realtà europea.

Diciamo che questo è stato proprio il punto di partenza, come testimonia anche la rete di collegamento con Info Point Europa…

Ora, tale aspirazione alla creazione di un “ponte” fra realtà locale e realtà globale mediante la promozione di un maggior dialogo fra culture e sensibilità differenti, se costituisce un incentivo all’integrazione, si configura anche come un contributo alla formazione di un’opinione pubblica informata, dotata di quella capacità di riflessione critica indispensabile per promuovere una autentica partecipazione e non una mera adesione incondizionata. In che modo, secondo Lei, gli enti locali possono promuovere una cultura dell’integrazione che contribuisca, allo stesso tempo, anche allo sviluppo di uno spirito critico?

Credo che l’arricchimento culturale sia un elemento indispensabile per il confronto nel senso che pone le condizioni per una maggiore disponibilità al dialogo. Conoscere ingenera curiosità e la curiosità spinge ad incrementare le proprie conoscenze con un bagaglio di nozioni ulteriore. Le iniziative che promuoviamo devono fungere da stimolo per contribuire ad una crescita di quell’integrazione di cui abbiamo appena discusso. Credo che uno dei compiti delle istituzioni sia proprio quello di dare ai cittadini tutti i mezzi possibili per riuscire a stare al passo. Questo è quello che ritengo debba essere fatto ed è anche quello che cerchiamo di fare.

Mi pare che la costruzione di un’Unione europea in grado di costituirsi quale soggetto politico di rilievo per la promozione della pace e dei diritti umani divenga maggiormente pressante in considerazione del panorama internazionale attuale che pone di fronte all’Europa l’urgenza di un simile compito.

Questo è uno degli aspetti più gravi dello scenario internazionale perché l’Europa pur avendo un presunto Ministro degli Esteri, Solana, di fatto non ha ancora una politica estera comune, né un’unica politica di difesa. Anche di fronte all’evoluzione dell’economia globale, per concorrere con attori già fortissimi quali la Cina e l’India, possiamo e dobbiamo acquisire una nuova dimensione quale quella europea.

Oltre che Presidente della Provincia di Perugia, Lei è anche Presidente del Coordinamento nazionale degli Enti locali per la Pace e i Diritti umani: cosa significa concretamente dichiarare un ente locale per la pace?

Essere un ente locale per la pace e i diritti umani significa svolgere un’azione di sensibilizzazione nei confronti di quelli che sono i problemi legati alla pace, svolgendo un’azione di promozione di una cultura di pace e, quindi, di “educazione” alla convivenza nel rispetto delle diversità e alla promozione del dialogo come strumento per la risoluzione dei possibili conflitti che parta dalle scuole.
Essere enti locali per la pace e i diritti umani significa anche avere la pretesa, molto difficile, di governare in una maniera diversa. Un ente locale che si pone come obiettivo quello di praticare, incrementare e, in generale, avere sensibilità nei confronti del problema della pace deve tenere in considerazione simili aspetti in tutte le sue scelte, da quelle legate all’urbanistica a quelle legate all’economia e, ovviamente, al sociale; in relazione al primo punto, ad esempio, approva dei piani regolatori che cercano di non sfruttare il territorio, ma di favorire, per quanto possibile, l’integrazione fra i cittadini.

Nel dibattito attuale il tema della pace riveste un ruolo assolutamente di primo piano; spesso però si assiste, a mio avviso, ad un uso – se non un abuso – di questo termine al punto da risolvere l’idea di pace in qualcosa di indeterminato e, spesso, superficiale. Un fecondo punto di partenza per tornare a riflettere in maniera non scontata su tale tema potrebbe essere rappresentato da un’analisi del rapporto che dovrebbe sussistere tra fine e mezzi. Secondo lei, quali strumenti devono essere impiegati per promuovere la costruzione e la diffusione di una cultura di pace, coerentemente con l’ideale che si intende perseguire?

Se osserviamo le contrapposizioni attuali della nuova guerra possiamo notare come si tratta sempre di contrapposizioni fra “buoni” nel senso che le parti in conflitto, dai mujaheddin agli Hezbollah, dagli israeliani a Bush, identificano sempre l’altro, il nemico, con il “cattivo”. Molti equivoci nascono da qui, ovvero dal cedere alla tentazione di ognuno di noi di non interrogarsi sufficientemente sulla reale correttezza del proprio comportamento e delle proprie azioni. Il desiderio e la richiesta di pace è un’esigenza imperativa soprattutto per i più deboli, una vera e propria necessità di vita per coloro che non si possono difendere; a volte solo una finzione per i più forti. Troppo spesso si continua ancora ad applicare il celeberrimo motto della cultura romana Si vis pacem, para bellum.
Per quanto riguarda il rapporto fra fine e mezzi, ritengo che se si vuole essere coerenti non si può predicare una “guerra per la pace”, ma solo una “pace per la pace”. Se si vuole essere coerenti, non esiste il “nemico”, nemmeno quello cui posso rimproverare atteggiamenti di violenza.

Credo che promuovere una cultura di pace non coincida con l’idea che sia possibile (e, forse, neppure auspicabile) espungere totalmente la dimensione del conflitto, quanto piuttosto con il tentativo di individuare risposte alternative a quelle dello scontro violento. Il ruolo della politica mi sembra assolutamente determinante in questo campo: a suo avviso, attraverso quali forme di comunicazione può essere veicolata in maniera efficace una cultura di pace, soprattutto da parte degli enti locali?Penso in particolare ai programmi di promozione della pace e dei diritti umani nelle scuole, primo e indispensabile passo in questa direzione.

Abbiamo firmato una Convenzione con il Ministero della Pubblica istruzione che ci permette, naturalmente in maniera non invasiva né con intromissioni indebite, di svolgere questa comunicazione in quegli istituti che, dimostrandosi sensibili a tali problematiche, ne fanno richiesta.
Considerare la pace una sorta di situazione di “sonno” di tutte le diversità sarebbe ovviamente un grosso fraintendimento, se non un vero e proprio sopruso. Promuovere una cultura di pace significa al contrario diffondere l’idea che sia possibile eliminare la violenza, soprattutto fisica, ma anche intellettuale. Questo implica portare in primo piano il valore e il criterio del rispetto degli altri che solo può consentire agli individui di diventare persone e di inserirsi in una trama di relazioni. È evidente che a volte la relazione fra soggetti può certamente assumere anche le aspre forme di un confronto serrato; anche quest’ultimo però, se non arriva a sfociare nelle forme inaccettabili della sopraffazione, può essere trasformato in una risorsa per la promozione di una crescita da ambo le parti. Promuovere una cultura di pace significa veicolare l’idea che si debba cercare di riequilibrare le forze per impedire che il più forte approfitti sempre del più debole.

Stiamo assistendo indubbiamente all'emergere di una crescente “domanda” di pace dall’interno della società civile. Credo che tali istanze non debbano essere interpretate come la richiesta di qualcosa che è concepito quale fine in sé, quanto piuttosto come la rivendicazione di una condizione senza la quale non vi è possibilità per gli esseri umani di fruire di quei diritti, di quelle opportunità e di quelle possibilità di realizzazione individuale che, sole, consentono ciò che potremmo definire una “vita conforme all’uomo”. Da questo punto di vista, se la pace - lungi dall’essere un fine in sé - deve essere concepita come il mezzo indispensabile per il perseguimento di altri fini, non crede che la crescente “richiesta di pace” dovrebbe indurci anche ad un’amara riflessione sul lungo itinerario che le forme di convivenza umana devono ancora compiere in questa direzione e, quindi, su un quadro internazionale tutto sommato piuttosto sconfortante?

Credo che la tentazione di usare strumentalmente l’altro sia purtroppo fortemente radicata dentro di noi; la debolezza dell’altro ci offre l’occasione per approfittarne, per imporre la nostra volontà. Il trasformare questa possibilità in atto concreto è una cosa considerata quasi logica. Per questo il tema della pace è un tema molto complesso: esso coinvolge in primo luogo il nostro atteggiamento nei confronti degli altri. Si tratta di un percorso molto lungo nel quale il traguardo è certamente ancora lontano, impossibile da scorgere.
Non voglio però fermarmi a questa constatazione di pessimismo: abbiamo compiuto anche molti passi avanti. Lo stesso star qui a discutere di questo tema, il semplice porsi il problema della pace nei termini sopra esposti, è già un enorme passo in avanti rispetto al passato. È evidente che di strada da compiere ne resta ancora molta ma, proprio per questo, non possiamo permetterci di indugiare.

Intervista rilasciata il 27 settembre 2006


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