Nella provincia del Jiangsu, a sud del Chang Jiang, nasce a Wuxi, il 21 novembre 1910, Qian Yangxian, noto con il nome di Qian Zhongshu, rappresentante di spicco della letteratura cinese moderna e comparatista la cui grandezza, riconosciuta in Cina fra alterne vicende, ha ricevuto nell’anniversario dei cento anni dalla nascita una rinnovata attenzione anche all’estero.
Qian Zhongshu nasce da una famiglia di letterati e riceve fin da piccolo, sotto la guida del padre e dello zio, un’istruzione classica di stampo tradizionale. A segnare il destino dello scrittore c’è il suo nome, che significa «che ama legger libri». Il nome originario di Qian Zhongshu, Qian Yangxian, voleva dire «che ammira i saggi del passato» (Yangmu Xianzhe), ma in Cina c’era la consuetudine, a un anno di vita, di mettere vicino al bambino vari oggetti, per vedere quale oggetto questi afferrasse e capirne così le predisposizioni e gli interessi. Qian Zhongshu, fra i vari oggetti, afferrò un libro, ed ecco perché da allora in avanti venne chiamato con tale nome. A dieci anni poi il padre, avendo notato che Qian Zhongshu era un bambino estremamente loquace, spinto dal desiderio che il figlio imparasse a parlare di meno, gli diede un altro appellativo e lo chiamò “Mocun”, “colui che coltiva il silenzio”. A 19 anni Qian riesce, nonostante l’insufficienza in matematica, a superare l’esame di ammissione per l’accesso al dipartimento di lingue straniere dell’università Qinghua a Pechino grazie a una prova eccellente in inglese e cinese. Si laureerà presso lo stesso ateneo nel 1933. Gli anni universitari, e quelli subito seguenti, sono di fondamentale importanza per la vita e la formazione dello scrittore: proprio in questi anni, infatti, viene inaugurato presso Qinghua l’insegnamento di letterature comparate e, grazie al prezioso scambio con studiosi come Wu Mi (1894-1978) e Ye Gongchao (1904-1981), Qian Zhongshu si avvia a quel ruolo di primo piano nella ideazione ed elaborazione di un metodo nuovo in Cina nello studio comparato delle letterature. A Qinghua Qian Zhongshu conosce Yang Jiang (1911-), scrittrice e traduttrice dal francese, insostituibile e preziosa compagna di vita grazie alla quale abbiamo numerose testimonianze sulla vita e la composizione delle opere di Qian. Fra le opere di Yang Jiang a carattere prevalentemente autobiografico, in cui Qian Zhongshu compare da protagonista, ricordiamo Sei Ricordi della Scuola per Quadri (Ganxiao Liu Ji, del 1981) e Noi Tre (Women Sa, del 2003). È proprio con Yang Jiang che lo scrittore parte nel 1935 alla volta delle università di Oxford prima e di Parigi poi, per fare ritorno in patria nel 1938, in piena guerra di resistenza contro il Giappone. Al rientro in Cina Qian Zhongshu sostiene vari incarichi d’insegnamento sia a Pechino sia in altre città, soprattutto meridionali, che lo portano poi a Shanghai durante il periodo di occupazione straniera. Molti gli spunti di cui lo scrittore si nutre in questo periodo, soprattutto per la composizione di opere narrative come Città Assediata (Wei Cheng), o i racconti contenuti nella raccolta Uomini, Bestie, Demoni (Ren, Shou, Gui). All’inizio degli anni cinquanta Qian è di nuovo a Pechino e, costretto a lasciare l’incarico di insegnamento presso Qinghua a causa di un riassetto delle facoltà e dipartimenti presso le università cinesi che trasforma Qinghua in un ateneo tecnologico, mantiene formalmente soltanto l’incarico di traduttore ufficiale in inglese delle opere di Mao Zedong, mentre la sua occupazione principale è la lettura di tutti i testi sia cinesi che stranieri su cui ha occasione di mettere le mani. L’inizio della Rivoluzione Culturale, e i dieci anni di sconvolgimento che ne conseguono per tutta la società cinese, mettono a dura prova il mondo accademico e tutti quegli intellettuali che, parte di essa, vivono immersi in un mondo di studio e ricerca che poco ha a che fare con movimenti politici, interessati alla cultura e alla ricerca con una dedizione pressoché totale. In questi anni anche la squadra di traduzione delle opere di Mao Zedong si ferma. Qian Zhongshu e la sua compagna Yang Jiang, “stanati” (jiuchu), vengono additati come rappresentanti del potere accademico della classe borghese (zichan jieji xueshu quanwei) e mandati presso la Scuola per Quadri del 7 Maggio (wuqi ganbu xuexiao) per essere rieducati. Le Scuole per Quadri del 7 Maggio, istituite in seguito alla “Direttiva del 7 maggio” (1968) del Presidente Mao Zedong, si trovavano in campagne e fattorie di zone spesso molto arretrate. Qui i quadri e gli intellettuali partecipavano al lavoro agricolo e di produzione affinché questa fosse per loro un’opportunità di studio e arricchimento. Qian vi assume l’incarico di postino. Dal 1979, come membro dell’Accademia Cinese delle Scienze Sociali, lo scrittore è in America, in Europa e in Giappone per numerose conferenze. Gli anni ottanta e novanta sono anni in cui Qian Zhongshu si dedica alle opere di erudizione, quelle opere che affermano nel panorama mondiale il suo ruolo di accademico e studioso di letterature comparate e che rileggono la letteratura cinese avvalendosi di un punto di vista esterno a essa. Il 19 dicembre del 1998 Qian Zhongshu muore in ospedale dopo una lunga degenza. Tutte le maggiori testate giornalistiche cinesi riportano la notizia della scomparsa di uno studioso e uno scrittore altamente rappresentativo della cultura cinese, e nessuna manca di ricordare che il presidente Jiang Zeming, che già nelle settimane precedenti si era informato della salute dello scrittore, la sera stessa della scomparsa aveva personalmente sentito la vedova Yang Jiang per le condoglianze e per esprimere la sua partecipazione alla fine di un uomo eccezionale. Per una raccolta completa di necrologi apparsi sulla stampa cinese in occasione della scomparsa di Qian Zhongshu può essere consultato il testo Yi Cun Qian Si - Yi Qian Zhongshu Xiansheng (He-Fang 1999).
Filosofia della tartaruga o necessità di diventare camaleonte?
Ge Hongbin, in un’intervista dal titolo: Qian Zhongshu: il 'maestro' mitizzato (Qian Zhongshu: bei shenhua de 'dashi'), ha contestato all’autore l’uso di un metodo spigoloso, che non fa altro che utilizzare citazioni da altre opere, carente di un qualsiasi apporto alla critica letteraria cinese. Egli sostiene che lo scrittore non ha fatto altro che rinchiudersi nella lettura di libri e riportare il pensiero di altri autori, applicando la «filosofia della tartaruga» (wugui zhexue). Ge sostiene che il ruolo di grande studioso, riconosciuto a Qian Zhongshu a partire dagli anni novanta in Cina, vada ridimensionato e che questi vada considerato alla stregua di un parassita delle lettere, incapace sia di creare e di contribuire alla tradizione letteraria del proprio paese, sia di intervenire nel dibattito culturale e politico della Cina nella seconda metà del novecento. Che Qian Zhongshu nella seconda metà del novecento si sia dedicato soprattutto a opere di erudizione che utilizzano soprattutto citazioni da altri autori, cinesi e stranieri, è indubbio, ma cosa significa questo metodo? È davvero soltanto un insensato accostamento di brani letterari oppure quello di Qian Zhongshu è stato un percorso che lo ha portato di necessità dalle prime opere narrative a opere che cercavano di esprimere in modo più velato quello che non avrebbe potuto esprimere apertamente? Quanto un parere come quello del professor Ge non tiene conto del valore innovativo del metodo utilizzato da Qian e della necessità di sviluppare un metodo siffatto?
Non è forse un caso se opere narrative come Scrivere ai margini della vita (Xie zai Rensheng Bianshang - 1941), Uomini, Bestie, Demoni (Ren, Shou, Gui - 1945) e Città Assediata (Wei Cheng - 1947), sono state composte nella prima fase della vita artistica dell’autore, mentre le opere di erudizione, in cui è applicato un particolare metodo comparativo, come Saggi della canna di bambù e del punteruolo (Guan Zhui Bian - 1979) e Collezione di sette stracci (Qi Zhui Ji - 1985), per citarne alcune, appartengono invece al periodo successivo alla Rivoluzione Culturale.
Fra le opere narrative è soprattutto Wei Cheng, unico romanzo composto da Qian Zhongshu, ad aver fatto conoscere l’autore al grande pubblico cinese, paradossalmente dopo la riduzione televisiva a opera del regista Huang Shuqin negli anni novanta del secolo scorso. All’estero invece il grande valore letterario del romanzo è stato sancito dal critico C.T. Xia che nella sua History of Modern Chinese Fiction definisce Wei Cheng il romanzo più grande della letteratura cinese moderna (Hsia 1971). Il romanzo, attraverso un’acuta ironia espressa da giochi di parole, osservazioni pungenti e una finissima caratterizzazione dei personaggi, descrive il ciclo eterno e continuo dell’idealismo e della disillusione di tutti gli esseri umani che si trovano loro malgrado intrappolati nella città assediata della vita, simbolo di tutte le difficoltà e i paradossi che gli uomini devono vivere. Il titolo del romanzo fa riferimento a due proverbi, uno inglese e uno francese, che descrivono il matrimonio come una città assediata da cui chi sta dentro vorrebbe uscire e in cui chi sta fuori vorrebbe entrare.
Ren, Shou, Gui è una raccolta di quattro racconti interessanti sia dal punto di vista letterario, poiché scritti con uno stile, proprio dell’autore, elegante, ricercato e per niente scontato, che dal punto di vista sociale e politico. Uno dei racconti, Ispirazione (Linggan), di cui dirò qualcosa in più di seguito, riportandone un pezzo in traduzione, delinea la figura di un letterato, o meglio del letterato, che sembra racchiudere tutti i paradossi e le vanità dei letterati contro cui Qian Zhongshu ha intenzione di scagliare delle frecce decisamente appuntite. La coppia di sposi protagonista di un altro racconto, La gatta (Mao), incarna invece tutti i difetti della classe media dei letterati, esterofili e noiosi.
Xie zai Rensheng Bianshang è una raccolta di saggi in cui l’autore si pone come un osservatore al di sopra delle parti e, con sguardo ironico e quasi compassionevole, disquisisce sui costumi e la morale del tempo.
Fra le opere di erudizione ricordiamo Guan Zhui Bian, opera summa in cui lo scrittore rilegge la letteratura cinese avvalendosi di citazioni da autori di opere cinesi, latine, greche, francesi, inglesi, italiane, spagnole, russe, e Qi Zhui Ji, raccolta di sette saggi in cui Qian Zhongshu analizza temi quali pittura, poesia, traduzione, figure retoriche, creazione artistica e imitazione, sempre avvalendosi di un metodo che giustappone e affianca citazioni e concetti che appartengono a tradizioni diverse e lontane sia nel tempo che nello spazio, per ottenere una illuminazione che non si limita a uno sterile confronto ma che aiuta la comprensione di fenomeni letterari e artistici.
Con queste brevissime note su alcune opere prese a rappresentare la creazione artistica di Qian Zhongshu si vuole notare che non manca mai nelle opere narrative, che precedono la Rivoluzione Culturale, la critica alla società contemporanea, l’ironia sui difetti e i comportamenti più ridondanti di una classe sociale che è quella media dei letterati e di chi, per essere stato all’estero, tornava in patria e si sentiva, o meglio, veniva considerato un eroe. Non mancano ironia, denuncia, satira, e queste sono sempre indirizzate a colleghi, letterati e studiosi appartenenti allo stesso ambiente dell’autore e a una società che considerava sedicenti acculturati persone da cui imparare i segreti dell’occidente.
Anche le opere di erudizione sono piene degli stessi temi di denuncia e critica all’ambiente culturale contemporaneo e propongono un nuovo modo di scrivere e di analizzare fenomeni letterari e culturali (Qu 1999); quello che c’è di diverso rispetto alle opere narrative è il genere letterario, che non è più quello del romanzo o del racconto, ma diventa quello del saggio, e un’ermetica e sottile espressione delle proprie idee tramite parole di opere del passato e del presente appartenenti a generi e sfere culturali diverse. Durante gli anni della Rivoluzione Culturale Qian Zhongshu non ha creato, ma ha letto e analizzato le più svariate opere letterarie. Appena avuta la possibilità di scrivere ancora, ha cercato di farlo in modo che i contenuti delle sue opere, che non potevano cambiare solo perché le condizioni politiche esigevano che cambiassero, fossero espressi in modo più velato, utilizzando le parole di altri. Ecco dunque il massiccio uso di citazioni a riprova che la letteratura occidentale era da tenere in considerazione per capire meglio quella cinese e che occuparsi di letteratura comparata era non solo utile, ma anche indispensabile se la Cina voleva entrare nel panorama culturale internazionale in modo realmente costruttivo. Non filosofia della tartaruga, dunque, ma intelligente analisi del contesto storico contemporaneo e necessità di esprimersi in modo più arcano ma sicuramente più efficace, come un camaleonte che per sopravvivere in un ambiente ostile deve cambiare il colore della pelle e rendersi quasi invisibile con il solo scopo di non essere aggredito e di durare.
Un letterato contro i letterati
Non ci stupisce che Qian Zhongshu non sia stato apprezzato dai suoi colleghi intellettuali e che non ne sia stata valorizzata l’opera se non negli anni novanta. Gli intellettuali che non lo apprezzavano erano tutti coloro da cui Qian Zhongshu non perdeva occasione per prendere le distanze. Egli non voleva essere considerato un comparatista, non amava essere insignito di onori e non voleva farsi intervistare, né amava che andassero a fargli visita se non pochi e buoni amici (Wu 2005). Se la gallina fa le sue uova, ha detto Qian, non necessariamente bisogna conoscere la gallina, basta mangiare le uova che questa ha fatto. Quello che Qian Zhongshu pensava degli scrittori, dei letterati, è ampiamente illustrato in Ispirazione (Linggan), un racconto dalla raccolta Ren, Shou, Gui. Una traduzione parziale del racconto si trova nell’articolo Qian Zhongshu: lo scrittore e lo studioso che si interessa alla nostra letteratura di Giuliano Bertuccioli nel n°1 della rivista "Mondo Cinese" del gennaio 1986 - anno XIV. Il brano che qui viene presentato è stato tradotto dall’autrice del presente articolo:
[...] Questo scrittore era davvero un genio, e dunque assai prolifico; ma essendo fornito fra l’altro anche di coscienza artistica, i suoi lavori avevano un parto difficile. Ma la letteratura, per fortuna, è cosa ben diversa dalla nascita dei bambini, e il parto difficile delle opere letterarie non metteva a repentaglio la sua vita, limitandosi ad aumentare il peso sulle spalle dei lettori. Egli aveva scritto innumerevoli romanzi, testi teatrali, saggi e poesie; aveva commosso, ispirato e influenzato numerosissimi studenti. All’estero le vendite delle opere letterarie sono determinate dal gusto delle classi medie. Ma nella nostra Cina, antico paese, baluardo della tradizione classica, dove non si ha cura del valore materiale delle cose, le medie sono le scuole che fanno da standard per la valutazione delle opere letterarie. Solo gli studenti di scuola media, infatti, che hanno un cervello che non usano e gradiscono le conferenze, sono facili all’ammirazione di grandi uomini, sono invasi da dolori come quelli del giovane Werther e spendono soldi per comprare libri nuovi o per pagare l’abbonamento a riviste. Quanto agli studenti universitari, sono essi stessi autori di libri e vogliono pubblicarli per farli comprare ad altri. Arrivati poi a esser professoroni, neanche scrivono più e si limitano a comporre prefazioni per altri. Chi diventa ancora più importante dei professori universitari, non scrive neanche prefazioni e adorna soltanto con bella grafia le copertine dei libri altrui, che devono poi essergli, in cambio, dedicati. [...] Il nostro scrittore, che sapeva restare calmo anche in situazioni difficili, riusciva a far passare la superficialità per chiarezza, e una gran confusione di idee per profondità di pensiero. Poiché i suoi capolavori erano così numerosi, era diventato uno scrittore su cui era impossibile sorvolare e le sue opere si trovavano davvero ovunque. Agli avventori dei chioschi di pizzette al sesamo, o dei banchetti di specialità, o dei venditori di noccioline, spesso capitava di ricevere ritagli di pagine dei suoi romanzi o dei suoi drammi, che diventavano inaspettatamente nutrimento per la mente. Alla fine il suo contributo letterario venne riconosciuto sia da parte del popolo che dal governo. Il suo talento fu ammesso ufficialmente e i suoi lavori più rappresentativi furono tradotti in esperanto da un comitato di esperti del settore incaricati dal governo, per permettergli così di concorrere come candidato al premio Nobel. Non appena la notizia fu resa pubblica, un suo ammiratore immediatamente pubblicò un articolo sulla tribuna dei lettori di un giornale che diceva: «Il governo deve sostenere questa causa! Basti pensare che le sue opere sono talmente ricche di personaggi da poter popolare un’isola deserta. Oggi, a causa della guerra, la popolazione è diminuita ed è opportuno incoraggiare alla riproduzione: già solo per questo lo scrittore dovrebbe ottenere un riconoscimento governativo per essere un modello per i suoi compatrioti».
Peccato però che l’esperanto, la «lingua comune a tutto il mondo», non riesca a valicare i confini delle nazioni. I giudici del premio Nobel poi, erano tutti vecchi e ottusi pezzi d’antiquariato e conoscevano soltanto l’inglese, il francese, il tedesco, l’italiano, il russo e, al limite, il latino e il greco antico e non c’era nessuno che conoscesse l’esperanto. I giudici dunque, che continuavano a sfregare con foga gli occhiali stringinaso da presbiopia, non riuscirono comunque a pulirli abbastanza da poter leggere con chiarezza il capolavoro che il nostro scrittore aveva offerto alla loro valutazione. Dopo un bel po’ uno dei vecchi, che aveva in passato studiato cose cinesi, esclamò all’improvviso: «Ecco! Ecco! Questo non è scritto in una lingua europea, ci siamo confusi! Questo è cinese, sono i loro caratteri latinizzati, certo che non potevamo conoscerli!» Tutti fecero allora un sospiro di sollievo e si tranquillizzarono. Un altro vecchio, che stava seduto di fianco al nostro sinologo, gli disse: «Ma tu, che conosci per l’appunto il cinese, dicci dunque: di cosa si parla in quest’opera?» E il nostro sinologo, con aria solenne: «Caro maestro, il valore della conoscenza sta nella specializzazione. Il mio defunto padre si è specializzato per tutta la vita nello studio della punteggiatura nella letteratura cinese e io da quarant’anni studio la fonetica. Ciò che tu domandi è il senso del testo e questo non rientra nell’ambito della mia specializzazione. Se poi il cinese abbia o meno significato, non oso esporre il mio giudizio soggettivo e azzardato, se non prima di averne trovato prove a conferma io stesso. Il perché di questo mio atteggiamento, caro maestro, di sicuro non sfugge alla tua comprensione». Il presidente della congrega di vecchi vide che il nostro sinologo iniziava a essere maldisposto e si affrettò ad aggiungere: «Penso che non sia necessario analizzare quest’opera; essa, infatti, non è conforme al nostro regolamento. In base alle nostre norme è necessario usare una lingua europea per concorrere al Premio e questo testo è scritto in cinese. Non dobbiamo dunque sprecare il nostro tempo a dibattere un problema siffatto». Tutti gli altri anziani furono d’accordo ed espressero la loro ammirazione per l’approccio accademico così prudente del sinologo. Ma, visto che negli ambienti di gentiluomini non ci si congedava senza aver prima tessuto le lodi di qualcun altro, il nostro studioso si affrettò poi ad aggiungere umilmente che egli comunque non poteva ritenersi all’altezza di quel candidato americano specialista di oftalmologia che aveva vinto il premio Nobel per la medicina e che, specializzato nell’occhio sinistro, non si occupava dei disturbi dell’occhio destro: quello era sì notevole. Peccato solo per tutte le speranze del nostro povero scrittore! [...]
L’ironia, indirizzata in primo luogo allo scrittore protagonista del racconto, prosegue in un crescendo quando si parla dei professori universitari che, avendo già fatto carriera, neanche si preoccupano più di scrivere libri, per colpire poi gli insigni e ottusi membri della giuria del premio Nobel, primo fra tutti il sinologo specializzato in fonetica, e arrivare infine in modo plateale e paradossale allo specialista americano di oftalmologia che si curava soltanto dei disturbi dell’occhio sinistro.
Un anniversario che non poteva passare inosservato
È presso l’Università Centrale Nazionale di Taipei (Guoli Zhongyang Daxue) che si è svolto il 18 e 19 dicembre 2009 il primo convegno in occasione del centenario della nascita di Qian Zhongshu. Il convegno ha visto la partecipazione di 15 studiosi fra cui alcuni fra i massimi esperti nello studio della figura e dell’opera del Professor Qian. Fra i sei relatori provenienti da varie università Taiwanesi ricordiamo Yu Guanzhong, ottantaduenne poeta e scrittore che ha definito Qian un wentijia, un esperto di problemi, capace di analizzare i problemi più spinosi della società a lui contemporanea e di sviscerarli con un sapiente uso della satira e della parodia, o ancora il Prof. Zhang Longxi del Dipartimento di Letterature Comparate e Traduzione dell’Università della Città di Hong Kong, che ha cercato di spiegare perché le opere di erudizione sono state scritte in lingua classica e perché Qian Zhongshu non è stato molto amato durante buona parte della sua carriera. La scrittura in lingua classica, ha sottolineato il Prof. Zhang, è stata dettata anche dalla necessità di sfuggire alla censura con un uso della lingua il più possibile ricercato. La scarsa considerazione e quasi astio verso lo scrittore invece sarebbero dovute al suo metodo che voleva spiegare concetti cinesi avvalendosi di parole e idee occidentali, e questo era considerato, in modo alquanto miope, indice di scarsa fiducia nella cultura e tradizione cinese che non avevano bisogno dell’ausilio di nessun’altra tradizione per avvalorare idee e concetti che le erano propri. Ancora ricordiamo l’illuminante partecipazione del prof. Ronald Egan, uno dei più grandi studiosi statunitensi di Qian Zhongshu e unico traduttore del Guan Zhui Bian in una lingua occidentale.
A più riprese è stato affermato durante le giornate di convegno che Qian Zhongshu avrebbe guardato con riserva a qualsiasi convegno di studi su di lui e, per onorare la sua memoria, il professor Wang Rongzu della Guoli Zhongyang Daxue, organizzatore del convegno, ha assicurato di aver sottoposto i nomi dei relatori e gli abstract degli interventi a Yang Jiang, che avrebbe approvato il programma del convegno.
Nonostante le resistenze contro questo tipo di giornate di studi, dovute forse a una reazione alle opposizioni che l’attività di Qian Zhongshu ha sempre incontrato proprio da parte di quegli intellettuali che oggi vogliono studiarlo, è sicuramente opportuno continuare ad analizzare l’opera dello scrittore del Jiangsu, e la riluttanza di Yang Jiang deve solo spingere a fare un esame di coscienza sul modo in cui Qian Zhongshu è stato trattato in vita, e deve incitare ad uno studio costruttivo e non retorico del suo metodo di lavoro e delle creazioni letterarie.
Questi propositi, insieme alla volontà di sprovincializzare gli studi su Qian Zhongshu e di renderlo sempre più patrimonio internazionale, sono quelli che hanno animato gli organizzatori, primo fra tutti il professor Christopher Rea, del primo convegno in lingua inglese su Qian Zhongshu e Yang Jiang che si è svolto presso la University of British Columbia a Vancouver il 10 e il 12 dicembre 2010.
Sembra, quindi, che la Cina stia cercando di pagare il suo debito a Qian Zhongshu e che i circoli accademici sinologici internazionali stiano cercando di aggiungere ai propri programmi di ricerca una fetta importante di studi cinesi necessaria non soltanto a meglio comprendere la letteratura cinese, ma anche ad approfondire un peculiare metodo di letteratura comparata che vuole offrire, per usare le parole di Qian, una «mutual illumination» (Qian 2005), un’illuminazione reciproca, fra la letteratura cinese e le altre tradizioni letterarie.
Bibliografia
- Bertuccioli G. (1986), “Qian Zhongshu: lo scrittore e lo studioso che si interessa alla nostra letteratura”, Mondo Cinese 1, (gennaio 1986 - anno XIV), pp. 23-37.
- Ge Hongbin, Liu Chuane, Deng Yiguang, Qian Zhongshu: bei shenhua de ‘dashi’ , http://www.confucius2000.com/poetry/qzsbshdds.htm. Ultimo accesso 11-09-2012.
- Hsia C.T. (1971), Ch'ien Chung-shu , in Id., A History of Modern Chinese Fiction , 2nd ed., Yale University Press, New Haven, p. 441.
- Qu Wenjun (1999), Shi lun Qian Zhongshu “Datong” de siwei moshi , Lilun Xuekan, n.2.
- Wu Taichang (2005), Wo Renshi de Qian Zhongshu . Shanghai Wenyi Chubanshe, Shanghai.
- Qian Zhongshu (2005), A collection of Qian Zhongshu’s English Essays , Foreign Language Teaching and Research Press, Beijing.
- He Hui, Fang Tianxing (1999, a cura di), Yi Cun Qian Si: Yi Qian Zhongshu Xiansheng , Liaohai Chubanshe, Shenyang.
E-mail: