Nell'Italia repubblicana, la violenza politica fascista ha spesso avuto le sembianze un po' macchiettistiche dei vecchi nostalgici, fedeli guardiani dei vecchi cimeli del regime e immersi nel culto del Duce, proprio come nelle sfilate ed adunate che hanno reso Predappio luogo di ritrovo delle vecchie e nuove camicie nere, in pellegrinaggio alla tomba del Duce.
Non a caso, parte integrante di questa vulgata, è a lungo stata la descrizione di una delle pagine più oscure della nostra storia come quella del tentato golpe di Junio Valerio Borghese del dicembre 1970, per molti anni descritto come una sorta di tentativo di colpo di Stato da operetta, ideato e organizzato da uno stuolo di anziani tromboni, al cui confronto l'Armata Brancaleone sarebbe apparsa come corpo d'élite addestrato ed efficiente. Non a caso proprio la storia del golpe Borghese ha ispirato un divertentissimo film come "Vogliamo i colonnelli", di Mario Monicelli, interpretato da Ugo Tognazzi, che narrava le gesta di uno scombinato stuolo di eversori fascisti che avevano organizzato la presa del potere.
In realtà, come si sarebbe ben compreso solo molti anni dopo, il progettato golpe Borghese tutto era fuorché un'operetta, non tanto per le sue possibilità di riuscita, ma per il meccanismo complesso di forze e connivenze che avevano alimentato il progetto e che avrebbero rappresentato un chiaro avvertimento alla classe politica di governo delle sorti che avrebbero potuto attendere l'Italia se il paese fosse scivolato a sinistra.
La violenza politica fascista nell'Italia repubblicana, dunque, non è mai stata politicamente l'espressione di una progettualità rivoluzionaria o restauratrice della destra fascista o neo-fascista, quanto piuttosto uno strumento utile alla conservazione dello status quo nel mondo diviso in blocchi contrapposti, tra Stati Uniti e URSS, là dove gli eredi di Mussolini, nonostante tanti distinguo e in alcuni casi professioni di anti-americanismo, non sono stati altro che il braccio armato di quel potere "atlantico", che tanto ruolo avrebbe avuto in fenomeni come lo stragismo o la loggia P2 di Licio Gelli (personaggio chiave del golpe Borghese, ma lasciato per decenni fuori dalle indagini). In altri termini, nonostante i continui riferimenti a persone come Julius Evola (che per alcuni avrebbe dovuto rappresentare un'evoluzione del fascismo italiano del ventennio) o al richiamo al fascismo rivoluzionario delle origini, alle infatuazioni esoteriche o per le discipline orientali, queste organizzazioni sono sempre state incapaci di affermare un'idea o un sistema di valori che potessero trasformarsi in una ipotesi concreta di cambiamento – anche in senso reazionario o restauratorio, dal loro punto di vista ovviamente – dello Stato. E quindi sono stati solo quello che potevano essere: i teppisti della politica; i provocatori, i violenti obnubilati dal fanatismo e inebriati da parole d'ordine tanto elementari quanto grossolane. Insomma, gli "utili idioti" di un potere ben più grande di loro, che li ha usati come e quando ha voluto, li ha protetti, li ha armati, li ha blanditi e anche, se necessario, li ha eliminati quando non servivano o diventavano troppo pericolosi, come Giancarlo Esposti, ucciso in un conflitto a fuoco a Pian del Rascino, dopo che per anni il suo gruppetto, le "Squadre d'azione Mussolini" erano state alimentate proprio dagli stessi apparati che avrebbero ammazzato il suo capo.
Neo-fascismo e anticomunismo dopo il 1946
In questa premessa ho cercato subito di mettere in evidenza alcune considerazioni. Anzitutto che la violenza politica fascista in Italia è stata un fenomeno assai complesso, tutt'altro che macchiettistico o innocuo, benché privo di una reale progettualità e prospettiva politica. In secondo luogo, come cercherò di dire meglio subito dopo, che le indubbie protezioni di cui i fascisti hanno goduto all'interno delle forze di polizia, nelle forze armate, gli aiuti o le coperture dei servizi segreti non hanno rappresentato, se non in minima parte, l'espressione di uno Stato "fascistoide" a dispetto della Costituzione anti-fascista, quanto piuttosto il tragico e sapiente uso da parte degli apparati dello Stato e di alcuni (non tutti) esponenti della classe politica di governo dello strumento della violenza a garanzia di una repubblica democratica, ma che avrebbe dovuto essere "alla destra del centro", autoritaria, ferma nell'impedire con ogni mezzo l'approdo dei comunisti e delle sinistre al governo, ma anche feroce avversario di tutte quelle espressioni del cattolicesimo popolare e democratico, vissuto come un potenziale "cavallo di Troia" del comunismo. Non a caso Vincenzo Vinciguerra, già militante nelle organizzazioni della destra radicale e condannato all'ergastolo dopo essersi assunto la responsabilità della strage di Peteano del 1973 (tre carabinieri morti) nella sua rilettura ferocemente critica di quella stagione ha utilizzato la efficace espressione: «Destabilizzare per stabilizzare». Scopo della violenza politica non era la rivoluzione, ma quella di spingere un'opinione pubblica spaventata a chiedere allo Stato più autorità e sicurezza. Visione che, con la crescita del movimento di protesta per la guerra in Vietnam, la rivoluzione studentesca del 1968 e la messa in discussione di molti valori "borghesi", veniva applicata nel nostro paese nella paura dei "capelloni" e dei comunisti, innanzitutto.
Come è evidente da quello che ho appena detto, parlando della destabilizzazione stabilizzante, ho fatto un salto di oltre venti anni, passando dalla sconfitta del fascismo agli albori della cosiddetta strategia della tensione, la cui data di inizio è considerata il 12 dicembre 1969, giorno della strage di piazza Fontana. In mezzo non c'è stato nulla? Al contrario: c'è stato tutto. C'è stata una lunga gestazione nella quale tante espressioni del "fascistume" – mi si perdoni il termine poco elegante ma descrittivamente assai efficace – sono state parti integranti dello Stato e delle varie reti segrete e non segrete che sono state finanziate e sostenute nell'ambito dell'oltranzismo atlantico.
Una storia e un dato storico, collegati tra loro, sono assai significativi. La prima è il racconto, fatto in una intervista molti anni dopo i fatti, di Federico Umberto D'Amato, potentissimo capo dell'Ufficio Affari riservati del Viminale, trovato iscritto alla P2 e uomo-chiave di tanti "misteri" del nostro paese. D'Amato raccontò che, subito dopo la Liberazione, fu avvicinato da James Jesus Angleton, uno dei massimi esponenti dei servizi segreti Usa, che gli disse che una guerra (al nazi-fascismo) era appena terminata ma che si era già aperta una nuova e più importante guerra (al comunismo) e gli chiese di schierarsi. D'Amato, aggiungo, è stato per anni potentissimo poliziotto al servizio dell'Italia ma (chissà se anche o soprattutto) degli Stati Uniti, incarnando il simbolo di quel "doppio stato e doppia lealtà" che una politologia asservita al perbenismo storiografico e, soprattutto, forte dell'ignoranza di documenti e testi che non ha mai studiato, nega e cerca di descrivere come "complottismo".
Ma non è questo il punto. Il punto è che da quel momento i fascisti non furono più i nemici, ma gli alleati. Angleton salvò la vita a Julio Valerio Borghese, repubblichini ed ex nazisti furono reclutati. Fonti, confidenti, uomini d'azione. Già nel 1946 c'erano gruppo armati fascisti, pronti ad essere utilizzati per ogni evenienza. A questo si aggiunga che, per altre dinamiche, molti poliziotti, militari, uomini dei servizi segreti, magistrati e più in generale "servitori dello Stato" durante la dittatura fascista vennero in poco tempo riassorbiti nei loro ruoli nell'Italia "democratica e repubblicana", portando in dote il loro passato mussoliniano e una cultura autoritaria e reazionaria.
Su queste basi è iniziata quella che è stata definita la "guerra" americana all'Italia, non solo alla sinistra, ma proprio all'intero paese, al quale fu impedito con ogni mezzo di decidere autonomamente da chi farsi governare. In questa guerra al comunismo, agli Stati Uniti non mancarono certo gli alleati, e anche tra i nemici del giorno prima, come detto, furono pescate forze utili alla crociata. Intorno agli interessi nordamericani si coagularono soggetti diversi e lontani per storia e cultura, cementati solo dall'obiettivo finale: evitare, sempre e comunque, una "deriva comunista" del paese. L'insieme era complesso: agenti dell'intelligence USA, militari della NATO, fascisti, settori della massoneria e settori delle gerarchie più reazionarie del Vaticano, e parte di quella DC che, assieme ai comunisti, solo poco tempo prima aveva dato il suo contributo alla Resistenza e che governava il paese. I fascisti, dunque, erano parte integrante di un mosaico nel quale tornò utile anche un'alleanza con la mafia. Un coacervo di forze, talora nemmeno consapevoli di essere direttamente alleate l'une con le altre. Ma tutte organiche ad un progetto ben più ampio.
La guerra non ortodossa premessa della violenza neo-fascista
C'è un'altra parola chiave nella storia della strategia, o meglio una dicotomia sul filo della quale è possibile leggere tutta questa storia: ortodossia/non-ortodossia. La fine della seconda guerra mondiale e la "guerra fredda" hanno determinato l'ingresso sulla scena mondiale di una nuova modalità, la "guerra non ortodossa", ossia come combattere un nemico non più con le armi della guerra tradizionale, ma con modalità nuove, tanto più se il "nemico" poteva essere identificato in una ideologia, il comunismo, che poteva essere dentro e fuori confini; essere l'ideologia di paese nemici, come l'Unione sovietica, cui contrapporsi militarmente, ma essere un rischio anche per paesi amici, come l'Italia, con il partito comunista più forte dell'occidente e dove i cittadini, vigente la Costituzione democratica, avrebbero dovuto essere eguali davanti alla legge senza distinzione di opinioni politiche, come recitava (e per fortuna recita ancora) l'articolo 3. Ecco allora la guerra non ortodossa, la guerra sporca, il machiavellismo spinto alle estreme conseguenze per cui il fine giustificava ogni mezzo. La provocazione, la propaganda, la falsificazione, il discredito, la paura, l'assassinio. La strage e il colpo di stato. Non a caso tutti gli studiosi sono concordi con il definire come premessa teorica della stagione delle stragi e della nuova ondata di violenza neofascista in Italia il convegno sulla "Guerra rivoluzionaria" organizzato nel 1965 all'hotel Parco di Principi dall'Istituto di studi militari Alberto Pollio, alla presenza di studiosi, giornalisti, parlamentari, militari e uomini dei servizi segreti. Ossia pezzi dello Stato. Non certo un summit organizzato da una squadraccia d'azione fascista.
Ma, come detto in precedenza, se è vero che il 1965 rappresentò la premessa della strategia della tensione, è altrettanto vero che dal 1946 in poi il sistema di azione/costruzione non venne mai meno.
Illuminante è un documento ritrovato nell'archivio degli Affari riservati al Viminale sul gruppo di Avanguardia nazionale giovanile. Nella nota segreta si diceva: «Nel 1960, intanto, sorgeva l'Avanguardia nazionale giovanile, i cui esponenti sarebbero stati in contatto con Ufficiali dell'Arma dei carabinieri ed avrebbero preso accordi che in caso di necessità l'ANG [Avanguardia nazionale giovanile, nda] avrebbe dovuto costituire la cosiddetta protezione civile». Avanguardia nazionale giovanile rientrava a pieno titolo in quel gruppo di organizzazioni "interne" a settori degli apparati dello Stato come le Sam di Esposti, di cui abbiamo già parlato, il Movimento di Azione rivoluzionaria di Fumagalli e tanti altri, supportati, armati e finanziati: il più importante fu Ordine nero che, secondo un documento segreto del SID (il vecchio servizio segreto, nda) era stato direttamente creato dall'Ufficio Affari riservati del Viminale nell'ambito della sua strategia di creazione e gestione della paura.
La galassia della destra neofascista
Fino alla metà degli anni '70 lo scenario delle organizzazioni dell'estrema destra è stato dominato da Ordine nuovo e Avanguardia nazionale. Tuttavia la destra estremista si espresse all'interno di un arcipelago di sigle, talora alleate, talora in contrasto tra di loro, talora espressioni dirette delle due maggiori organizzazioni. Come il FAS, Fronte di Azione studentesca, con cui Ordine nuovo organizzava la sua «penetrazione tra i giovani, poiché la rivoluzione la fanno i giovani». O come Caravella o Lotta di Popolo, in cui era forte la presenza di appartenenti ad Avanguardia nazionale. C'è da aggiungere che questa galassia aveva rapporti di internità/esternità con il MSI, partito che ha sempre mantenuto un atteggiamento ambiguo fatto di prese di distanza e repentini riavvicinamenti con i gruppi della destra radicale, compresi quelli più dichiaratamente eversivi. Tanto che, a mio avviso giustamente, si è parlato di una politica attraverso la quale poter esercitare un controllo ed un'influenza rispetto ad un'area di «inconfessabilità missina», che solo formalmente non poteva essere considerata parte integrante del MSI, mentre lo era con tutti i limiti e i distinguo appena accennati.
Ma da chi era composta la galassia? Una mappatura fatta dalla Commissione parlamentare sul terrorismo e le stragi ha individuato una serie di soggetti più significativi
- Movimento tradizionale romano, fondato nel 1963 da dissidenti del MSI;
- Fronte nazionale, costituito nel settembre 1968 a Roma dal principe Junio Valerio Borghese che poco dopo avrebbe organizzato il tentativo di colpo di Stato;
- Fronte nazionale europeo-Lega giovanile, fondato a Milano nel 1967 da oppositori interni del MSI;
- Costituente nazionale rivoluzionaria, fondato nel 1964, nel quale sarebbe confluito in seguito il gruppo Avanguardia europea;
- Falange tricolore, il cui presidente Giorgio Arcangeli fu arrestato per aver organizzato un attentato contro l'ambasciata dell'URSS a Roma;
- Nuova Caravella, diretto da Cesare Ferri, nato dopo una scissione da Fuan-Caravella;
- Circolo dei Selvatici, presieduto dall'ingegner Renato Fioravanti di Roma, composto da dissidenti missini;
- Giovane europa, fondato nel 1963 a Ferrara e presieduto da Claudio Orsi. Orsi divenne collaboratore di Franco Freda nelle Edizioni AR e fondatore di un'associazione Italia-Cina, che rientrava nei tentativi di Avanguardia nazionale e Ordine nuovo di infiltrare i gruppi di estrema sinistra;
- Gruppi attivisti di Movimento dell'Opinione pubblica, fondati da Mario Tedeschi e Giuseppe Bonanni del giornale "Il Borghese". Il gruppo aveva costituito un fondo denominato "Soccorso tricolore" in difesa degli attivisti di destra che fossero stati arrestati durante scontri di piazza;
- Partito della Ricostruzione nazionale, fondato a Varese nel 1967, che aveva come suo periodico l'"Osservatore italiano";
- Partito nazionale del Lavoro che pubblicava il periodico "Conquista dello Stato";
- Unione nazionale d'Italia, nata da una scissione della Lega italica;
- Ordine del Combattentismo attivo, legato al giornale "Nuovo pensiero militare";
- Comitato di Difesa pubblica, fondato nel settembre del 1968 a Milano per iniziativa dell'ex deputato missino Domenico Leccisi.
Tuttavia, come detto, Avanguardia nazionale e Ordine nuovo e le loro articolazioni e cellule, seppur con diverso nome, rappresentarono le due organizzazioni veramente capaci di coagulare intorno a loro la vocazione eversiva della destra italiana.
A ulteriore testimonianza di quanto ho precedentemente affermato sulla mancanza di una vera progettualità politica, tra le due formazioni non vi erano discriminanti ideologiche nette, ma solo una diversità di atteggiamento politico. I due movimenti occuparono spazi ben determinati risultando complementari. Ordine nuovo privilegiò il momento strategico, cercando di costruire con ben pochi frutti il discorso teorico della rivoluzione per i tempi lunghi, per le generazioni a venire, mentre Avanguardia nazionale esaltava l'azione come momento tattico e quindi immediato.
Questo teoricamente, essendo anche giudiziariamente provato il ruolo di Ordine nuovo nella stragi di piazza Fontana, in quello della questura di Milano e il piazza della Loggia a Brescia. Ossia non mancava certo l'operatività.
Come base di reclutamento sia ON che AN, come detto, si rifacevano alla tradizione storica del fascismo rivoluzionario e della Repubblica sociale italiana, alimentandosi però anche dell'analisi e della critica che di quelle esperienze era stata fatta da Julius Evola. La concezione dello Stato e quella della missione delle avanguardie politiche elaborate dal pensatore di riferimento costituirono l'humus di cui si nutrirono le posizioni di entrambe le formazioni e che, al di là del processo più volte tentato di vera e propria fusione, hanno determinato nel tempo fenomeni di osmosi tra i militanti dell'una e dell'altra; e che quindi rendono la distinzione che ho prima delineato sostanzialmente tendenziale.
Conclusioni
Senza entrare nel dettaglio delle indagini e dei documenti più strettamente inerenti le stragi e gli episodi di terrorismo (rimando ai miei libri: Sovranità limitata e Lo Stato invisibile, nda) in conclusione si possono fare alcune affermazioni.
La violenza politica fascista ha pesantemente condizionato la vita democratica del nostro Paese, soprattutto nel decennio 1965-1975, ossia negli anni della strategia della tensione e del tentativo di golpe Borghese, nonché delle altre azioni anti-democratiche progettate nel 1974, compreso il "golpe bianco" di Edgardo Sogno che non era un progetto fascista, ma "atlantico" in senso stretto; i fascisti, tuttavia, non hanno mai rappresentato un soggetto politico autonomo, ma la loro violenza è stata sempre "istituzionale" ovvero "istituzionalizzata" perché tutti i progetti politici relativi a quell'area – soprattutto quelli eversivi – hanno sempre trovato appoggio, protezione e finanziamenti all'interno di settori non marginali degli apparati dello Stato e, più in generale, rientravano nella strategia dell'intelligence NATO, in particolare statunitense, di lotta totale al comunismo, con gli strumenti della guerra non ortodossa. I fascisti italiani, quindi, sono stati il tassello più visibile di un intreccio di poteri che spesso non si sono manifestati come tali nel corso di quella stagione.
La strategia della tensione rientrava a pieno titolo in quel progetto, tant'è che la maggior parte dei leader della destra radicale ha collaborato con settori delle forze di polizia e dei servizi segreti e da questo connubio c'è la spiegazione del fatto che per molti anni la verità sulle stragi è stata occultata.
Attualmente sono venute meno le ragioni storiche per cui sia avvenuto tutto ciò in Italia (e non solo in Italia). Ma a mio avviso, nonostante l'encomiabile lavoro di molti, non si sono fatti fino in fondo i conti politici con quella stagione, cercando di negarne – per ragioni di opportunità politica – le evidentissime e perfino processualmente accertate connessioni atlantiche, oppure negando una lettura d'insieme degli avvenimenti, fino a sostenere l'inesistenza della strategia della tensione, descritta come "tensione senza strategia", opera di fanatici e sbandati, ma senza una testa politica. Tesi tanto fantasiosa quanto rassicurante per i poteri vecchi e nuovi.
Non sarà certamente "pettinando" o perfino negando il passato che si potrà costruire un futuro nel quale queste dinamiche non abbiano più diritto di cittadinanza. Anzi, temo che queste logiche non siano nemmeno finite definitivamente in pensione, nonostante quel mondo non esista più da molto tempo.