Nonostante il PT (Partito dei Lavoratori)
affondi negli scandali, con la stampa che gli rema contro, la nave di Luiz
Inácio Lula da Silva continua a rimanere a galla. La sua vittoria alle prossime
elezioni di ottobre è ancora un’incognita, però molti sono pronti a scommettere
sulla popolarità dell’ex-metalmeccanico e sul carisma dei suoi discorsi carichi
di emozioni e di errori grammaticali. Lo sfidante, il medico e conservatore social-democratico
Geraldo Alckimin, governatore del ricco stato di San Paulo, è poco conosciuto
in tutto il Brasile e viene perciò considerato un avversario debole. Agli occhi
degli osservatori esteri, la presidenza di Lula, iniziata nel gennaio 2003, ha rinforzato l’immagine economica del Brasile come gigante latinoamericano. Ma, agli occhi di
molti dei 186 milioni di brasiliani, gli unici ad essersi rinforzati sono stati
gli interessi delle banche.
Per fare un bilancio della presidenza
Lula, c’è bisogno di riflettere sulle modalità della sua elezione. Dopo tre
tentativi consecutivi (nel 1989 è stato sconfitto da Fernando Collor de Mello,
nel 1994 e nel 1998 da Fernando Henrique Cardoso), Lula ha affermato di
candidarsi per l’ultima volta, credendo nella possibilità di vittoria e per non
passare alla storia con l’etichetta di “eterno perdente”. Nel 2002 il PT decise
di fare nuove alleanze politiche che rassicurassero gli interessi economici
degli imprenditori, spogliandosi dei panni di sinistra radicale che difendeva
con ardore sindacalista i diritti della classe proletaria. Lula doveva
sconfiggere il candidato rivale José Serra, del PSDB (Partito della
Socialdemocrazia Brasiliana), che camminava all’ombra dell’illustre Fernando
Henrique Cardoso, rinomato sociologo della prestigiosa Università parigina La Sorbonne e uno degli ideatori, nel 1994, del Piano Real (la riforma monetaria
brasiliana) funzionale alle direttive della macroeconomia, ma che ben poco
aveva fatto nella lotta alla povertà.
Luiz Inácio Lula da Silva ha voluto
Henrique Meirelles, uomo con larga esperienza nel sistema bancario (Bankboston)
e rassicurante per il Fondo Monetario Internazionale, a capo della Banca
Centrale del Brasile. Si è inoltre circondato di altri nomi di prestigio in
campo economico, come il suo vice José de Alencar, imprenditore tessile del
ricco stato di Minas Gerais e senatore conservatore del Partito Liberale (PL)
con cui si è alleato, riuscendo in tal modo a convincere gli imprenditori che
la sua biografia di disagiato lavoratore rurale, poi metalmeccanico senza
titoli di studio, non rappresentava un ostacolo insormontabile alla sua
elezione. In ogni caso, il fattore fondamentale per Lula è stato la campagna
elettorale, di cui fu artefice il pubblicitario Duda Mendonça, attualmente
indagato dalla Commissione Parlamentare di Inchiesta (CPI) per trasferimento di
denaro all’estero (circa 5 milioni di dollari) e riciclaggio di denaro.
Con lo slogan di “Lulinha Paz e Amor”,
Mendonça riuscì ad accentuare l’immagine di Lula come uomo del popolo, un
brasiliano come tanti che porta il cognome da Silva (l’equivalente di Rossi in
Italia), incentrando la campagna elettorale principalmente sul sociale. Il
pubblicitario mise in luce tutte le carenze e le ingiustizie del Brasile, cercando
di raccogliere la popolazione intorno a valori nazionalisti e sensibilizzandola
attraverso la campagna “Fame Zero”. Purtroppo, dopo gli scandali che hanno
coinvolto il mago della pubblicità, la campagna elettorale per le presidenziali
del 2006 dovrà servirsi di un’astuta strategia, che vedremo più avanti. Per il
momento, l’unica tattica stabilita è: «non parlare di crisi».
Le crisi
L’apice della crisi che ha coinvolto il
PT si è raggiunto nel 2005, quando le accuse di corruzione contro i principali
dirigenti del Partito dei Lavoratori sembravano compromettere la stabilità del
governo. Per l’opinione pubblica, il partito che sempre aveva condannato la
corruzione e accusato i governi precedenti di atti corrotti, lottando per
istituire le Commissioni Parlamentari di Inchiesta (CPI), aveva commesso il
peggiore dei peccati: cercare di nascondere i propri scandali e proteggersi
contraddicendo se stesso.
Le indagini delle varie CPI non sono
ancora terminate e finora le accuse di corruzione nei confronti di alcuni
esponenti del PT non sono comprovate. Una delle più gravi fu l’accusa del
deputato federale Roberto Jefferson del PTB (Partito dei Lavoratori
Brasiliani), che denunciò il pagamento di una tangente mensile ai parlamentari
in cambio di voti favorevoli al governo, scandalo denominato “mensalão”. Le
denunce culminarono con la rinuncia del ministro capo della Casa Civile José
Dirceu (capo dello staff presidenziale), che all’inizio di novembre è
stato coinvolto in una procedura di impeachment avviata da un comitato
congressuale. Altre “teste” del PT sono state “decapitate”, tra le quali il
presidente del partito, José Genuino, e l’ex-tesoriere Delubio Soares.
Successivamente, la Commissione Parlamentare di Inchiesta ha scoperto che il Banco do Brasil, banca a
controllo statale, ha finanziato nel 2004 un prestito al PT, che garantiva
oltre 9 milioni di reais provenienti dai fondi pubblici. Nell’ottobre del 2004,
il PT ha affrontato le elezioni municipali. Secondo il presidente della CPI,
Osmar Serraglio, i fondi facevano parte degli oltre 58 milioni di reais versati
in due anni alla società di marketing DNA, con sede a
Minas Gerais, e che si trattava di prestiti non dichiarati per finanziare la
campagna elettorale dei parlamentari alleati del Partito dei Lavoratori. Era la
prima prova che il PT aveva utilizzato illegalmente denaro pubblico. Lo
scorso 29 marzo, Osmar Serraglio ha indiziato 124 persone per lo scandalo
“mensalão”, ma ha risparmiato Lula, ammettendo che non esistono prove del
coinvolgimento del presidente.
L’altra recente crisi morale che il
governo Lula ha dovuto affrontare ha coinvolto il ministro del tesoro Antonio
Palocci, persona chiave dell’esecutivo, indagato per supposti affari illeciti
durante il suo mandato di sindaco a Ribeirão Preto, all’inizio degli anni ‘90.
Nel marzo scorso, il ministro Palocci ha voluto screditare il testimone che
aveva deposto contro di lui nella CPI, promuovendo la rottura del sigillo
bancario di quest’uomo, un semplice guardiano della sua villa a Brasilia. Il
tentativo di abbattere il testimone rivelando informazioni private sul suo
conto in banca si è trasformato in un “boomerang” e Palocci ha dovuto
presentare le sue dimissioni. Il 27 marzo è stato sostituito da Guido Mantega,
allora presidente della Banca Nazionale di Sviluppo Economico e Sociale
(BNDES).
Bocciato dai politologi brasiliani
Il governo Lula è costantemente
criticato dagli analisti politici brasiliani. Lucia Hippolito, storica e
scienziata politica, nel suo libro recentemente pubblicato in Brasile Por
dentro do governo Lula – Anotaçoes de um diario de bordo (Dentro al
governo Lula – appunti sul diario di bordo)[1]raccoglie, in trecento pagine divise in tre parti, le proprie cronache
politiche dagli inizi del 2003 ad oggi. Nella presentazione, l’autrice spiega:
«Finalmente la terza parte ci mostra un governo paralizzato, svogliato, senza
iniziativa. Un governo che cammina rimorchiato dalla congiuntura politica,
ancorato unicamente ed esclusivamente alla politica economica. L’implosione
della base alleata nel Congresso, le umilianti denunce di una estesa rete di
corruzione, l’assalto allo Stato e alle casse pubbliche, l’acquisto
dell’appoggio dei deputati per votare a favore del governo, tutto ciò ha
permesso che il governo Lula, che ha iniziato il mandato nel gennaio del 2003,
finisse prima del dovuto. È finito il 22 agosto del 2005, quando i due pilastri
del governo sono entrati nel mirino. Antonio Palocci, il poderoso ministro del
tesoro, è stato accusato da un suo ex-addetto di aver preso tangenti quando era
sindaco di Ribeirão Preto. José Dirceu, già espulso dalla Casa Civile per le
denunce del deputato Roberto Jefferson, ha subito l’umiliazione di dover
consegnare la propria difesa al Consiglio dell’Etica della Camera dei Deputati,
dove si sta svolgendo un processo per impeachment. Il governo Lula, che
è nato il 23 agosto, è un altro, diverso nell’anima e nell’operato. Il
presidente Lula è un altro»[2].
Promosso agli occhi del mondo: Lula a gonfie vele
In contrasto con i critici brasiliani,
all’estero l’immagine di Lula e del suo governo va a gonfie vele. Il presidente
è riuscito a tenere il timone e a non lasciare affondare il suo esecutivo nella
crisi politica; per questo, non ha compromesso gli interessi di chi investe in
Brasile. Il principale motivo va rintracciato nella stabilità economica,
nonostante la crescita dell’economia brasiliana, nel 2006, sarà inferiore alla
media mondiale e più bassa della media dell’America Latina. Secondo il rapporto
semestrale del Fondo Monetario Internazionale, il PIL del Brasile è cresciuto
quest’anno dal 2,8% al 3,5%, raggiungendo i 795.776 miliardi di dollari. Due
sono le letture possibili: il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto. Da una
parte questo PIL porta il Brasile dalla 15^ all’11^ posizione nel ranking delle
più grandi economie del mondo. In quest’ottica, lo sviluppo economico
brasiliano sorpassa l’India, l’Australia, l’Olanda e il Messico, tornando ad
essere la più grande economia dell’America Latina (secondo l’analisi fatta
dall’Austin Rating sulla base dei dati forniti dal FMI rispetto a 155
paesi, su richiesta del quotidiano brasiliano Folha de Sao Paulo).
D’altra parte, il Brasile ha raggiunto il fatidico PIL grazie anche alla
svalutazione del dollaro (12,40%) nel 2005. Si scopre, però, un altro ranking
ed ecco il bicchiere mezzo vuoto: il PIL pro capite brasiliano è di appena
4.333 dollari, una pugnalata nello stomaco che porta il Brasile al 72^ posto
nel ranking dei paesi più grandi del mondo, dietro ad Argentina (71^),
Panama (70^) e Costa Rica (69^). La formula di calcolo è semplice: il PIL pro
capite risulta dal numero di abitanti del Brasile e non tiene conto del
diverso potere di acquisto delle varie monete mondiali. Non si considera, cioè,
che parliamo di un paese penalizzato dall’enorme disuguaglianza sociale.
La presidenza di Luiz
Inácio Lula da Silva vanta un periodo in cui l’inflazione è sotto controllo,
con una media annuale di 7,6% nel 2004, rispetto al 12,53% del 2002.
Considerato che negli anni '80 l’inflazione superava il 100%, questo fantasma
sembra, almeno per il momento, esorcizzato. Inoltre, il suo governo è riuscito
a creare circa 3,5 milioni di posti di lavoro, nonostante il tasso di
disoccupazione è ancora attestato al 10 % circa.
Alla fine del 2005, il Brasile ha
sanato i suoi debiti sugli interessi con il
Fondo Monetario Internazionale, pagando in anticipo 15,5 miliardi di dollari,
la cui scadenza era prevista nel 2006/2007. In questo modo, il paese
risparmierà 900 milioni di dollari di interessi, contribuendo allo snellimento del
debito estero: inoltre, aver chiuso i conti con il FMI aiuta l’immagine del
Brasile nei confronti degli investitori esteri. Basti pensare che il Rischio
Paese è sceso dai 1200 punti della fine del 2002, ai 300 della fine del 2005,
il valore più basso dal '94. Il pagamento è stato possibile grazie allo
sviluppo delle esportazioni che, nel 2005, hanno raddoppiato la crescita
raggiungendo i 118 miliardi di dollari (contro i 60,362 miliardi di dollari del
2002) e ad altre misure economiche come l’alto tasso di cambio del real.
Il debito estero brasiliano è però
diminuito a discapito del debito pubblico che, negli ultimi tre anni, è passato
da 731 miliardi di dollari a quasi 1.000 miliardi di dollari nel febbraio 2006,
nonostante il PIL non abbia presentato una variazione significativa. Il Brasile
registra uno dei più alti tassi di interesse al mondo (Selic), il 15,75%, che
asfissia la classe media, i commercianti e le piccole e medie imprese, che
hanno sofferto anche per i tagli agli investimenti pubblici.
La miseria, l’assistenzialismo e l’insufficiente riforma agraria
I tagli agli
investimenti pubblici rendono molto più difficile attuare progetti di lotta
alla povertà che non siano basati sulla pura assistenza. Il principale
programma sociale del governo è la “Bolsa Familia” (Borsa Famiglia) che assiste
8,7 milioni di famiglie, cioè il 70% della popolazione, con reddito inferiore a
R$ 115 (circa 46 euro) mensili, valore minimo per garantire l’alimentazione di
una famiglia. Quasi 50 milioni di brasiliani vivono nella miseria e la
ricchezza è concentrata in pochissime mani. Secondo i politologi brasiliani, il
governo Lula ha cercato di colmare le carenze sociali senza garantire un’equa
distribuzione del reddito ma applicando, invece, un’assistenza fine a se stessa
che non ha risolto la base del problema. L’altro programma, che ha permesso a
Lula di ricevere premi internazionali, è chiamato “Fame Zero”, un progetto
articolato in 31 provvedimenti, sviluppato da 12 ministeri e che comprende
diversi aspetti tra cui l’accesso agli alimenti, il finanziamento
dell’agricoltura familiare, il microcredito e la riqualificazione sociale e
professionale. Il governo ha investito R$ 27 miliardi (quasi 10 miliardi di
euro) per combattere la fame e la povertà, ma i risultati sono ancora scarsi.
L’altro punto debole del Brasile
riguarda la riforma agraria. Il governo Lula afferma che la riforma ha
interessato 237 mila famiglie che vivono su 16 milioni di ettari, ma la
crescita delle esportazioni di commodities agricoli (specialmente la
soia) contribuisce solo a rafforzare i latifondisti. La politica del ministero
dell’agricoltura, diretto da Roberto Rodrigues, uomo esperto di agrobusiness,
ha fatto sì che le vendite dei prodotti agricoli all’estero raggiungessero i
42,1 miliardi di dollari. I 60 milioni di ettari coltivati sono concentrati nei
latifondi.
Secondo un’indagine diffusa dalla
Commissione pastorale della terra (Cpt), un organismo legato alla Chiesa
cattolica brasiliana, il governo del presidente Lula non è riuscito a frenare
in Brasile i conflitti agrari, che sono invece aumentati. Nel 2005 la Cpt ha registrato 1.881 conflitti agrari per il possesso di terra in Brasile, contro i 1.801
del 2004 e i 1.690 del 2003, la maggior parte dei quali si è verificata nella
regione amazzonica. L’anno scorso sono stati rilevati 38 assassini causati da
questi conflitti, tra cui quello della suora americana Dorothy Stang, uccisa da
sicari il 12 febbraio scorso, nello Stato amazzonico del Para. Questo grave
assassinio ha stimolato alcune misure palliative nell’ambito dell’ecologia,
come la creazione di riserve ecologiche, ma il potere politico dei latifondisti
rimane intatto, mentre prosegue a ritmo accelerato la distruzione della foresta
amazzonica.
Il Mercosul, i rapporti con la Cina e l’“ambizione ONU”
La politica estera di Lula, guidata dal
ministro Celso Amorim, ha promosso la creazione del G-20, un gruppo di paesi
oggi considerato nei vari summit internazionali come legittimo
interlocutore dei paesi in via di sviluppo. Alcuni punti, però, restano deboli:
il Mercosul, il trattato di commercio sudamericano firmato nel 1991 da
Brasile, Argentina, Paraguay ed Uruguay e recentemente dal Venezuela, non
decolla e non viene nemmeno considerato dall’Unione Europea, che preferisce
portare avanti accordi bilaterali con i singoli paesi sudamericani. D'altronde
neanche l’ALCA, Area di Libero Commercio delle Americhe, ha prodotto risultati.
Nel dicembre del 1994, la riunione tra i capi di Stato e di governo di 34 paesi
del continente americano aveva proposto che si costituisse, entro il 2005, la
liberalizzazione del commercio continentale, dall’Alaska alla Patagonia. Il
governo Lula, però, non si è mai fidato completamente di un accordo che, senza
regole chiare, non avrebbe fatto altro che rinforzare il dominio degli Stati
Uniti.
Nell’era della globalizzazione, il
Brasile non poteva ignorare la Cina. Alcuni accordi sono stati firmati, ma la
diplomazia brasiliana ha fatto molte concessioni alla Cina senza ricevere
niente in cambio. In ambito politico, il governo Lula ha riconosciuto che la Cina è un’economia di mercato e ha facilitato la sua
ammissione nella OMC (Organizzazione Mondiale del Commercio). L’obiettivo era
quello di avere un buon partner nelle dispute tra il Brasile e i paesi
industrializzati sull’apertura dei mercati ai prodotti agricoli. La Cina, però, vuole soprattutto conquistare voracemente i mercati. Secondo Marcio Abdenur,
vice-presidente della camera di Commercio cino-brasiliana, «il Brasile sta
perdendo con l’interscambio cinese perché in cambio di ferro, zucchero e soia, la Cina invia prodotti di pessima qualità e ancora non rispetta molti accordi».
Il grande desiderio del governo Lula è
ottenere per il Brasile un posto permanente nel Consiglio di Sicurezza delle
Nazioni Unite. Per raggiungere questo obiettivo, il Brasile deve promuovere se
stesso come un paese sviluppato che possiede abbondanti ricchezze naturali, una
grande produzione industriale e molte risorse energetiche. Ai vertici del
Palazzo di Vetro, però, il Brasile sa che non può muoversi come un elefante in
un negozio di cristalli. Per questo il governo Lula fa passare come nobile e
utile l’impegno dei caschi blu brasiliani ad Haiti: una missione di pace può,
infatti, convincere gli importanti partners dell’Onu. Infine, il gigante
sudamericano punta addirittura a conquistare le orbite spaziali con Marcos
Cesar Pontes, il primo astronauta brasiliano che ha viaggiato a bordo della
navicella russa Soyuz, voltando pagina dopo il terribile incidente alla base di
Alcantara nel 2003. Dal cielo alla terra, Lula vuole nuotare nell’oro nero: il
petrolio.
L’oro nero e la strategia elettorale
Il presidente ha festeggiato lo scorso
21 aprile la conquista dell’autosufficienza brasiliana per la produzione del
petrolio. I numeri sono da celebrare: una riserva di 13,9 miliardi di barili e
una produzione di quasi un milione e 800 mila barili di greggio al giorno,
anche se non della migliore qualità. La festa del petrolio ha avuto richiami
espliciti in campagna elettorale. Il mago della pubblicità Duda Mendonça,
artefice della campagna vincente del 2002, nonostante fosse stato inquisito per
gli scandali legati al trasferimento di denaro all’estero, ha visto rinnovato
il proprio contratto per la nuova operazione di marketing dell’immensa
impresa petrolifera nazionale, la Petrobras. Nel discorso pronunciato durante l’inaugurazione della nuova piattaforma petrolifera (la P 50), Lula valorizzava l’operato del suo governo, citando la creazione di nuovi posti di
lavoro, il risanamento del debito estero con il FMI, il controllo
dell’inflazione, presentandosi come l’eroe della rinascita dello spirito
nazionalista brasiliano. «Il petrolio è nostro» ripeteva il presidente con le
mani nere di greggio. Mentre la platea urlava in coro: «Um , dois , tres...
Lula outra vez». Sono molti a scommettere che Lula vincerà un’altra volta. Lo
scommette anche Duda Mendonça.
marquesgina@hotmail.com
[1] Editora Futura, San Paulo 2005.
[2] Ivi, p. 10.