Nulla sembra più azzardato, almeno in apparenza, che collocare Alcide De Gasperi[1] tra i "padri" della Costituzione repubblicana. In effetti il suo apporto al lavoro dell'Assemblea costituente è stato, almeno formalmente, limitato, se non addirittura marginale: agli Atti dell'Assemblea è consegnato un solo suo importante intervento – pronunziato dai banchi dei deputati e non da quello del governo, nonostante egli fosse allora Presidente del Consiglio dei Ministri – a favore della costituzionalizzazione dei Patti lateranensi (con la formula adottata dall'art. 7) proprio per garantire la pace religiosa. Colui che, al momento della stipula del Concordato, aveva espresso severe riserve, nel timore di una compromissione della Chiesa con il fascismo[2], quasi vent'anni più tardi riconosceva che, per una sorta di eterogenesi dei fini, ciò che era stato, da parte di Mussolini, un gesto pensato soprattutto in vista del consolidamento del regime, diventava invece la garanzia del rinato regime democratico, la cui fragile pianticella avrebbe avuto bisogno, per vivere e per crescere, anche dell'apporto dei cattolici e della stessa Chiesa-istituzione, l'uno e l'altro indispensabili per garantire il futuro della rinata democrazia italiana.
"Padre" della Costituzione – in quanto uno dei protagonisti del processo costituzionale – lo statista trentino può essere considerato, a pieno titolo, per il ruolo determinante svolto nell'avvio, nello svolgimento e nella felice conclusione di questo processo, grazie all'intuizione, ormai riconosciuta per la sua lungimiranza dalla più aggiornata storiografia[3], della necessità di separare il dibattito sulla Carta regolatrice della vita della società italiana dalle asprezze della dialettica politica. Come è stato giustamente osservato, «determinante fu lo scrupolo di De Gasperi nel mettere, per quanto possibile, il lavoro dell'Assemblea costituente al riparo delle scelte politiche più dirompenti e dalle conseguenti polemiche che avrebbero potuto nuocere al clima di collaborazione fra le diverse forze politiche che vi erano rappresentate».
Nella stessa linea, infine, va letto il forte sostegno offerto dallo statista trentino ai cattolici impegnati nella "Commissione dei 75" in vista della stesura dei fondamentali articoli della prima parte della Carta costituzionale, di forte impostazione personalista e solidarista.
In sintesi, si deve in gran parte a De Gasperi e a quanti, all'interno e all'esterno della Democrazia cristiana condivisero la sua linea, avere concorso in modo determinante a conseguire un triplice obiettivo: il consolidamento della giovane democrazia italiana, nonostante le contrapposizioni frontali di quegli anni; il mantenimento della pace religiosa; la redazione, in un tempo relativamente breve (circa un anno e mezzo dal suo insediamento, nell'estate del 1946, all'approvazione finale nel dicembre del 1947) di una Carta costituzionale che è unanimemente considerata fra le più alte espressioni della cultura politica e giuridica europea del secondo dopoguerra.
Sotto questi tre profili, De Gasperi rappresentò nei difficili anni del secondo dopoguerra il punto di incontro fra le tre grandi tradizioni del cattolicesimo politico che in lui finivano per riassumersi: quella del cattolicesimo liberale, quella del cattolicesimo sociale, quella di una democrazia socialmente avanzata; l'eredità di Rosmini e del rosminianesimo, di Toniolo, di Sturzo si incontrava – nella persona di De Gasperi – con la passione riformatrice dei "professorini" (in primis Giuseppe Dossetti, Giorgio La Pira, Aldo Moro) che avrebbero dato un apporto determinante alla stesura del Patto costituzionale.
La scelta di campo per la democrazia
Due legati appaiono di particolare importanza per una valutazione di insieme dell'eredità di De Gasperi, con particolare riferimento all'azione da lui svolta nel decisivo dodicennio che va dal 1943 al 1954 e che comprende il periodo che va dalla stesura delle Idee ricostruttive della Democrazia cristiana (1943) alla morte (1954)[4]. Intendiamo riferirci in primo luogo alla sua netta e mai smentita scelta di campo per la democrazia e alla sua forte passione europeistica.
Vissuto a lungo nell'ambito dell'Impero austro-ungarico e nonostante le sue forti propensioni irredentistiche, De Gasperi – anche attraverso l'esperienza di rappresentante del Trentino italiano al Parlamento di Vienna – non contestò mai le istituzioni rappresentative dell'impero, all'interno delle quali, sia pure fra non molte difficoltà, operò; né appartenne a quelle correnti intransigenti del cattolicesimo che guardavano con sospetto alle istituzioni democratiche. Le giovanili simpatie per Romolo Murri e la più matura scelta di campo a favore dell'idea sturziana di partito (sino all'attiva partecipazione alla breve e travagliata vicenda del Partito popolare) furono il punto di partenza per una decisiva scelta di campo, quella per la democrazia, mantenuta ben ferma anche in anni, come quelli fra le due guerre, in cui conobbe le prigioni fasciste e sopportò con tenace pazienza il lungo esilio in Vaticano come modesto aiutante di biblioteca, mentre una parte significativa del mondo cattolico (ivi compresi non marginali segmenti del "suo" Partito popolare) subiva la fascinazione di un regime autoritario che, soprattutto dopo il 1929, ambiva ad ergersi a rappresentante delle istanze del mondo cattolico.
Non mancarono del resto, anche dopo il 1945, le incertezze di larghe componenti del cattolicesimo italiano che – nonostante il forte incoraggiamento venuto alla democrazia politica dai messaggi natalizi di Pio XII[5] – continuava a mostrare propensioni autoritarie, quali vennero chiaramente alla luce in occasione del referendum sulla forma di governo: gran parte del voto dei cattolici, soprattutto al sud, si espresse a favore del mantenimento della monarchia, con un atteggiamento che, pur non rinnegando in linea di principio le istituzioni rappresentative, rivelava tuttavia marcate tendenze autoritarie, contro le quali De Gasperi avrebbe duramente lottato negli anni del centrismo, con il fermo proposito di evitare spostamenti a destra della Democrazia cristiana e, soprattutto, di salvaguardare il libero gioco democratico nei confronti di quanti si battevano per la messa al bando del Partito comunista.
Per la sua autorevolezza, per il suo passato, per la sua personale limpidissima fede (non a caso è attualmente in atto la procedura per la beatificazione dello statista da parte della Chiesa cattolica) De Gasperi ha svolto un ruolo fondamentale nel non facile cammino della definitiva riconciliazione del cattolicesimo italiano con le istituzioni della democrazia. Si deve soprattutto alla sua saggezza politica se lo scontro politico in atto nell'Italia del secondo dopoguerra non ha mai messo a repentaglio la sostanziale accettazione, da una parte e dall'altra, del metodo democratico, ponendo il Paese al riparo dal rischio di pericolose involuzioni autoritarie.
L'impegno europeista
L'altro fondamentale aspetto del legato di De Gasperi è rappresentato dalla sua decisa presa di posizione europeistica e dalla sua capacità di fare penetrare progressivamente l'idea di Europa in una cultura italiana, quella degli anni del "centrismo", ancora largamente infettata dal morbo nazionalista a lungo iniettato nelle sue vene dal fascismo, ma che risaliva alla prima guerra mondiale e, ancor prima, ai nazionalismi ottocenteschi.
L'europeismo degasperiano derivava da una serie di fattori legati alla sua stessa biografia. Innanzitutto la constatazione dei terribili guasti provocati, con due guerre mondiali, dai nazionalismi. In secondo luogo una mentalità aperta all'incontro con altre culture maturata già nel contesto dell'Impero austro-ungarico. Infine i frequenti contatti che egli poté instaurare, almeno a livello culturale, con le varie esperienze del cattolicesimo europeo dal particolare osservatorio del Vaticano, anche in relazione al ruolo che per qualche tempo gli venne affidato di "commentatore" di temi di politica internazionale per la "Illustrazione vaticana"[6].
Dalla tragedia della seconda guerra mondiale il futuro statista usciva con la ferma convinzione che soltanto un organico processo di unificazione europea avrebbe potuto salvare dalla distruzione il vecchio continente e avrebbe potuto permettergli di reggere il confronto con il gigante sovietico a Est e la grande democrazia americana a Ovest; nello stesso tempo, soltanto a questa condizione avrebbe potuto persistere nella vecchia Europa la sostanza di quella eredità cristiana nella quale De Gasperi ravvisava il cemento unificatore del vecchio continente, assai al di là delle ormai obsolete frontiere nazionali.
Non era esclusiva di De Gasperi questa convinzione, perché essa si collegava con l'europeismo laico italiano e con analoghe correnti di pensiero che andavano negli anni successivi al 1945 percorrendo l'Europa. Nasceva di qui quella che sarebbe stata la prima pietra dell'Unione europea, la Comunità europea del carbone e dell'acciaio (1951) fortemente voluta da De Gasperi e dai democratici cristiani (ma anche dai socialisti democratici e dai più lungimiranti eredi del liberalismo), capofila di una lunga serie di istituzioni che avrebbero progressivamente disegnato il profilo della nuova Europa comunitaria.
Numerosissimi furono gli interventi in senso europeistico di De Gasperi[7], riconosciuti per la loro autorevolezza assai al di là delle frontiere nazionali: con una particolare insistenza, da parte sua, sulla dimensione etica e spirituale (e non solo politica ed economica) dell'europeismo, la sola che avrebbe potuto dare forza e sostanza alla democrazia. Né mancava, in De Gasperi, la consapevolezza che si sarebbe trattato di una strada lunga e difficile, per la persistenza dei particolarismi nazionali e per la posta degli interessi materiali in gioco. Si trattò, alla fine – ma con tempi assai più lunghi di quelli che De Gasperi e gli europeisti della prima ora avrebbero voluto – di un'impresa riuscita e di un progetto alla fine accettato anche e soprattutto da quanti, a sinistra, avevano inizialmente guardato con diffidenza ad un'Europa unita considerata una sorta di ultimo baluardo del capitalismo. Se l'iniziale scetticismo ha progressivamente lasciato il posto ad un diffuso e convinto europeismo, lo si deve anche e soprattutto all'opera dello statista trentino.
Una lezione di laicità
Nell'eredità degasperiana va infine collocata una grande lezione di laicità. Ricorrente era stata, nella cultura cattolica, la tentazione dello "Stato cristiano": negli anni immediatamente successivi al Concordato era largamente diffusa nel mondo cattolico, e negli stessi vertici ecclesiastici, la tendenza al "ritorno" dello "Stato cristiano", così come, negli anni di Pio XII, non mancavano palingenetici sogni di rinnovamento dell'Occidente sotto l'egida di un pontefice, uscito con grandissimo prestigio dal dramma della guerra e non ancora sfiorato dalle successive polemiche sui suoi presunti "silenzi"[8]. De Gasperi dovette dunque confrontarsi, e talora non senza asprezza, con la componente "clericale" della cattolicità italiana e con le tendenze integralistiche che al suo interno si manifestavano, in particolare nell'Azione cattolica di Luigi Gedda, dalla quale era fortemente influenzata la componente conservatrice dello stesso partito della Democrazia cristiana.
Lo statista trentino mantenne comunque ben ferma la sua opzione per la laicità, come emerge in particolare da tre sue scelte di campo: quella per un'Europa umanistica e facente riferimento ai valori della tradizione cristiana, e dunque non posta, nemmeno idealmente, sotto la "guida" del Vaticano[9]; quella per il mantenimento del Concordato in funzione della pace religiosa e non in vista di una "cattolicizzazione" dello Stato[10]; quella per la salvaguardia dell'autonomia della politica (e del partito) di fronte alle influenze, e qualche volta alle "pretese", ecclesiastiche. È in questo spirito che, senza iattanza, poteva scrivere a Pio XII una celebre lettera in cui – denunziando l'umiliazione inflitta non tanto al credente quanto allo statista per la mancata udienza pontificia – rivendicava l'autonomia della politica, affermando che «chi porta la responsabilità della decisione ha anche la responsabilità dell'azione»[11]. Tra autentica laicità e impegno cristiano nella storia non vi era contraddizione ma un'intima e segreta continuità.