Il nuovo millennio si è aperto con una serie di sfide che, entro il
contesto controverso dell'"interdipendenza globale", attengono
l'intera comunità politica mondiale. Si tratta di sfide nuove che
in realtà hanno radici profonde. Esse mettono in gioco l'idea
stessa di persona, il suo benessere (e, di converso, il suo
malessere), il suo rapporto con l'ambiente e il contesto sociale,
produttivo e di distribuzione delle risorse (a partire da quella,
essenziale, del cibo), ma anche e soprattutto l'idea stessa di futuro.
Da parte degli analisti più attenti è esplicitata la vivida
percezione che la storia abbia subito una brusca impennata,
un'accelerazione epocale, ciò che Alberto Asor Rosa ha definito di
recente, con termine quanto mai appropriato, «civiltà
montante»[1].
Da un lato, in questo contesto di cambiamenti subitanei – e assai
raramente progressivi – sovente si continua a decretare la
fine del "mestiere degli intellettuali", l'esaurirsi di una
"funzione" che per almeno due secoli (fino almeno agli anni
Ottanta del Novecento) li ha visti protagonisti di un rapporto
strettissimo tra politica e cultura: l'esito di questa
marginalizzazione è il rinchiudersi della politica in se stessa,
nelle logiche dell'amministrare il presente, in una sorta di
sopravvivenza e di sua marginalità nel quadro delle biografie
individuali e dell'orizzonte collettivo.
Dall'altro lato, come dimostrano gli articoli raccolti in questo
fascicolo, pare lentamente delinearsi un complesso processo che volge
in direzione (ostinatamente) contraria: un rilancio dei saperi che
consentono di "riagguantare" la dimensione del futuro, a partire
dalle sfide del presente.
Su questo versante, per esempio, una novità significativa degli
ultimissimi anni sta nel fatto che si sta facendo sempre più largo,
tra economisti, sociologi e politici "illuminati", il concetto
secondo cui la misurazione del benessere non costituisce un problema
esclusivamente tecnico, e questo per la semplice ragione che
la concezione stessa del benessere chiama in causa le preferenze e i
valori di fondo di una società e degli individui che la compongono:
e dunque si pone come problema eminentemente politico. In
altri termini, la tensione si determina tra le urgenze del presente,
che richiedono di essere tecnicamente gestite e amministrate, e una
più ampia visione dei problemi e dei nodi, che richiedono un
investimento per così dire "comunitario" – nelle possibilità
di orientare, e dunque governare, i processi, di dare loro forma,
entro l'orizzonte di un'apertura al futuro.
In questo senso, appare lampante quanto possano essere differenti le
visioni strategiche della società nei Paesi dell'Occidente: basti
pensare all'Italia e alla Francia. Da un lato, il nostro "caso",
con una politica ripiegata su se stessa, incapace di una narrazione
autentica delle questioni del presente e, a partire dalla loro
risoluzione, di costruire futuro, perché alle prese con la miope
difesa di interessi e rendite di posizione contingenti (è quanto mai
opportuno, a questo riguardo, il grido che si leva da parte delle
giovani generazioni di un furto – legalizzato – del futuro
stesso). Dall'altro, quello transalpino, dove un governo di destra
riesce a comprendere che un cambio di paradigma è necessario e che
occorre farvi fronte con nuovi strumenti, messi a punto da
intellettuali che riscoprono la loro vocazione, pur senza rinunciare
al loro sapere "tecnico". Il
Rapporto della Commissione Stiglitz-Sen-Fitoussi, lo
strumento che il Governo Sarkozy ha messo in campo per dipanare molti
dei nodi della matassa, aveva infatti come principale obiettivo
l'individuazione di fondati argomenti sui limiti del PIL e sulle
strategie da adottare per "superarlo".
Nel Rapporto vengono ricordati i casi – ben noti, come quello delle
spese per riparare i danni ambientali e prodotti
dall'inquinamento (ambiti, questi, che rimettono in gioco il
ruolo civile degli scienziati e il risvolto assai concreto
delle loro competenze) – in cui il PIL cresce e il benessere
sociale, per quanto ampiamente inteso, non aumenta. Di qui
l'elaborazione di "raccomandazioni" che dovrebbero condurre non
tanto alla definizione di un indicatore sintetico alternativo al PIL,
quanto alla messa a punto di statistiche in grado di cogliere il
benessere sociale nelle sue molteplici dimensioni, e dunque di
orientare – o ri-orientare – le finalità dell'agire
politico e istituzionale.
E in Italia? Come accennato, nel nostro Paese manca una vera
discussione su questi argomenti, un dibattito che coinvolga i mondi
sociali nella costituzione di un nuovo patto in grado di
guardare al futuro e alle nuove generazioni, da quelle del presente,
che sono davanti ai nostri occhi, in carne e ossa, a quelle prossime.
Questo clima di generale scollamento, che coinvolge anche in
larghissima parte intellettuali e scienziati, fa sì che la politica
abdichi alla sua naturale visione prospettica della società,
chiudendosi in "interessi" di breve e brevissimo termine.
Una delle chiavi di lettura fondamentali per misurare la capacità di
stare al passo con i cambiamenti in corso e di orientarli o di
subirli riguarda le questioni ambientali. Il recente Summit di
Copenaghen consegna un risultato che, pur considerato insufficiente
per la mancanza di obiettivi concreti e misurabili, pare poter
indicare un percorso nuovo per la lotta ai cambiamenti climatici e
per le politiche ambientali in generale. Paesi come gli Stati Uniti e
la Cina, da sempre storicamente ai margini di questa discussione a
livello mondiale, oggi ne sono diventati protagonisti, così come lo
diventeranno sempre di più tutti i Paesi emergenti quali il Brasile
e il Sud Africa. Per chi volge gli occhi all'orizzonte, alzandoli e
fuoriuscendo dalla gabbia in cui la crisi epocale ci ha rinchiuso, un
nuovo modello di sviluppo pare possibile, così come possibile e auspicabile pare un altro mondo.
Diverse sono le forme e le modalità di delinearlo: in questa sede si
privilegia quella che rimanda alla "via verde", e al diffondersi
della cosiddetta "green economy". Di questa vengono tratteggiati
l'ascesa nel dibattito pubblico (dal contesto statunitense a quello
italiano), le sue dimensioni "tattiche" e "strategiche", le
sue connessioni con le tematiche energetiche e con quelle della
gestione e dello smaltimento dei rifiuti.
L'obiettivo di questa strategia è quello di raggiungere un impegno
costante per far fronte ai cambiamenti climatici e tentare di
coniugare l'innovazione, la tutela del bene comune e la qualità
del nostro vivere. Einstein sosteneva che «non
possiamo risolvere i problemi con i medesimi schemi di pensiero con
cui li abbiamo creati»: un'affermazione che dovrebbe indurci a rivedere tutte le
nostre convinzioni su che tipo di "sviluppo" – ammesso che
questo possa essere ancora un termine all'altezza dei tempi nuovi –
vogliamo e che pertanto ci porti a mettere in campo una nuova
trasformazione del pensiero.
La "riconversione ecologica dell'economia" – altro termine
che affiora in maniera ricorrente nel lessico dei tempi nuovi –
prospetta un nuovo possibile traguardo che peraltro segna, come ha
opportunamente osservato Wolfang Sachs, una riconfigurazione della
stessa cultura ecologista e ambientalista[2]:
da ideatori e costruttori di opzioni di nicchia i cittadini a
vocazione ecologista divengono realizzatori di buone pratiche che si
collocano nel mainstream della società.
In questo contesto, che pare poter strutturare anche una serie di
risposte per attraversare e fuoriuscire da una crisi strutturale,
si intravede anche una ridefinizione del sistema economico ed
imprenditoriale: nuove possibilità di "crescita" grazie a
soluzioni ecosostenibili e in grado di valorizzare il capitale umano
e sociale o addirittura percorsi di «decrescita
felice» (seguendo il
lessico di Serge Latouche). Orizzonti che pongono al centro un
principio che nell'epoca della affluent society e del
trionfo, apparentemente armonico, della società dei consumi pareva
definitivamente messo in soffitta: quello della sobrietà.
A fondamento di questa nuova visione della produzione vi è il
concetto secondo cui l'impresa competitiva (e di conseguenza ciò
che da più parti viene evocato come "il territorio") è quella
che considera prioritari un rapporto positivo con l'ecosistema, la
creazione di utilità per tutti gli interlocutori (non solo utili
monetari), anche mediante il rilancio di pratiche di cooperazione, la
corresponsabilità con gli attori del territorio nella creazione di
valore e nel suo trasferimento alle future generazioni.
Fuori da questa logica – e qui si gioca un'altra sfida per le
istituzioni, all'insegna dei rapporti tra logiche economiche e
capacità 'orientante' della politica e dell'agire collettivo –
le potenzialità della green economy anziché ritagliare un
nuovo ruolo per le comunità locali e regionali rischiano di
chiudersi entro un programma di business, dominio di pochi
scaltri "innovatori" (con nuovi rischi per la tutela del suolo,
della qualità dell'aria, dell'ambiente in generale).
Un caso esemplare di interconnessione (e interdipendenza) tra nuove
sfide globali, questioni ecologiche, rapporto tra generazioni e
giustizia intergenerazionale[3],
ruolo delle istituzioni nazionali e territoriali, è rappresentato
dal tema dell'energia. Scegliere di investire massicciamente nel
nucleare o perseguire la via alternativa delle energie rinnovabili –
come illustrano importanti contributi del fascicolo – non
rappresenta una scelta tecnica, bensì profondamente e autenticamente politica. Una scelta che rimanda alla visione della società e
dell'ambiente, al rapporto tra chi c'è ora e chi vivrà nel
futuro, agli orizzonti della scienza e al mestiere degli scienziati
in relazione alla società, alle possibilità di valorizzare la
capacità di pianificazione e di governo delle istituzioni,
sovranazionali[4],
nazionali e anche locali[5].
Una scelta che, come per tutti gli altri temi trattati in queste
pagine, rimanda a quello che di fatto costituisce un bivio: restare
immersi, quasi soffocati, nella marea della «civiltà
montante» del presente,
oppure, attraverso «esercizi
di immaginazione radicale del presente»[6] e buone pratiche, seguire vie alternative che disegnano le
possibilità di un futuro che si delinea già dal "qui ed ora".
Un futuro che, se pensato davvero come effettiva capacità di muovere
"verso", assume i tratti di un dolce avvenire: esso,
fiorendo da semi coltivati con cura, testimonia concretamente il
senso e la pratica di un'altra civiltà. Una civiltà che,
cambiando gli schemi, può liberarsi dall'oppressione delle
«passioni tristi»[7] e recuperare l'energia generatrice della speranza.
IN QUESTO NUMERO
Il numero 2.2010 di
Cosmopolis
ospita nelle sue sezioni principali due grandi temi: da una parte, il
rapporto tra la scienza e il contributo che questa può dare al
miglioramento della società; dall'altra, una riflessione
approfondita sulla green
economy,
termine ormai diventato di uso comune e globale per indicare la
riconversione della produzione industriale secondo criteri di
efficienza energetica e per l'utilizzo di energie rinnovabili.
Gli argomenti
toccati nella prima sezione riguardano problemi ambientali
considerati dal punto di vista del loro contenuto scientifico, della
loro influenza sulla vita quotidiana dei cittadini e della ricaduta
in ambito "politico" che possono avere.
Celina Vitali, ad
esempio, compie un'attenta analisi di quale sia la normativa
europea riguardo all'inquinamento atmosferico e di come dovrebbero
conseguentemente caratterizzarsi le politiche di qualità dell'aria,
in particolar modo riferendosi alla situazione italiana. Se e come
possiamo convivere in maniera "pacifica" con le radiazioni
elettromagnetiche, considerate in tutte le loro possibili forme, è
l'argomento affrontato da Margherita Venturi: il messaggio finale è
che il vero punto di discrimine è come chi lavora in ambito
scientifico si pone rispetto all'uso delle radiazioni stesse.
Andrea Segré ci parla, poi, delle disuguaglianze a livello globale,
dal punto di vista del problema dello spreco delle derrate
alimentari. La proposta del "Last Minute Market", basato su uno
scambio – o "dono" – di prodotti tra impresa e mondo
non-profit, rappresenta un esempio di modello alternativo di mercato
che tiene conto delle esigenze delle persone più bisognose di aiuto,
riducendo gli sprechi. L'angolazione dalla quale Marco Taddia
guarda, invece, al rapporto tra scienza e società è particolare: il
discorso riguarda le "frodi" compiute all'interno del mondo
scientifico, limitare e controllare le quali è la base di un'etica
scientifica che voglia considerarsi saldamente fondata. Infine
Vincenzo Balzani e Nicola Armaroli affrontano i temi del nucleare e
delle energie rinnovabili: il primo rispondendo puntualmente alle
argomentazioni generalmente portate nel dibattito pubblico a sostegno
di un utilizzo dell'energia nucleare; il secondo riflettendo su
tutte le forme di energie rinnovabili che l'"astronave Terra"
mette gratuitamente a disposizione degli uomini, che possono quindi
far fronte in maniera adeguata alla sempre più esigua disponibilità
di combustibili fossili.
La convinzione che
ha mosso la scelta di un tema come quello della green
economy,
trattato nella seconda sezione, è quello riportato da Sergio Salsedo
nel suo contributo. L'attuale inflazione di interventi e
discussioni su questo argomento ha una ragione di fondo importante:
si tratta della «contemporaneità
tra la peggiore crisi economica della storia moderna e l'esplodere
dell'emergenza climatica».
Grazie alla green
economy,
infatti, si può rispondere alla crisi affrontando «alla
radice le cause del riscaldamento globale dovuto ai combustibili
fossili».
Anche il contributo di Cristian Torri può rappresentare, come quello
di Salsedo, una cornice generale in cui inserire il problema:
l'autore analizza, infatti, i motivi e i modi grazie ai quali la
green
economy
è diventata uno dei temi centrali del dibattito pubblico attuale,
facendo riferimento a due casi specifici, quello tedesco e quello
italiano. La green
economy
negli Usa è, invece, l'argomento dell'articolo di Barbara
Bendandi, che lo sviluppa riflettendo su rapporti e contatti tra
mercato e politica e sulle implicazioni che questi possono avere
sulla società. Parlare di green
economy,
poi, significa anche affrontare il problema dei rifiuti, che Paul
Connett lega al concetto di sostenibilità: l'obiettivo dei
"rifiuti zero" viene definito come un trampolino verso la
sostenibilità, considerata come la sfida più grande che la nostra
società si trova ad affrontare oggi. Altra sfida è quella riportata
da Alberto Bellini, il quale sostiene con dati precisi e riscontri
oggettivi come la riduzione dei consumi attraverso il risparmio
energetico sia il principale obiettivo da perseguire e come una
politica energetica che voglia definirsi lungimirante debba
incentivare l'uso di energia solare e introdurre il metodo della
fiscalità ambientale.
Anche in questo
numero, infine, Cosmopolis
ospita interessanti e variegati contributi nella sezione "Fra le
righe". Un'intervista a Serge Latouche, che bene si collega con
le tematiche ambientali affrontate nelle prime due sezioni, ci invita
a riflettere sulla proposta della "decrescita", intesa come
necessità dell'abbandono dell'obiettivo della crescita
illimitata che caratterizza la nostra società.
Il contributo di
Giovanni Codovini si sofferma su un problema che Cosmopolis
ha spesso affrontato: la questione israelo-palestinese, questa volta
considerata dal punto di vista geopolitico, sottolineando il fattore
di forza rappresentato dall'idropolitica. Una finestra letteraria è
aperta da Sara Codini, che ci racconta Le
silence de la mer di
Vercors mettendo in evidenza i rapporti tra silenzio, parola, ascolto
e gesto politico, attraverso le vicende, le parole, i personaggi. I
contributi di Brunella Casalini e María
José Guerra Palmero
affrontano invece la questione di "genere", ma secondo due punti
di vista particolari: la prima collegando il problema del
multiculturalismo a quello del femminismo, anche analizzando
avvenimenti recenti che hanno riguardato direttamente le donne, alle
prese con il problema della cittadinanza, il rischio della
discriminazione e la sfida dell'integrazione; la Guerra Palmero ha
invece affrontato il tema dell'"ecofemminismo", che vuole
coniugare l'esigenza di liberazione della donna con le
problematiche ecologiste.