Il carteggio integrale tra Aldo Capitini (Perugia 1899-1968) e Guido Calogero (Roma 1904-1986), recentemente pubblicato da Carocci per conto della Fondazione Centro studi Aldo Capitini di Perugia[1] e che copre un largo periodo come quello compreso tra il 1936 e il 1968 (anno della morte del filosofo perugino), offre diverse, preziose, opportunità.
Una di queste è, senza dubbio, quella di poter rileggere tra le righe di questo epistolario la traccia (o meglio le tracce) del loro costante impegno in favore della strutturazione della vera e propria ossatura dell'Italia civile. Insieme ad altri "maestri e compagni"[2] come per esempio Walter Binni e Danilo Dolci, Piero Calamandrei ed Emilio Lussu, Aldo Garosci e Norberto Bobbio, Tristano Codignola e Piero Gobetti, Cesare Luporini e Lamberto Borghi, solo per citarne qualcuno, Aldo Capitini e Guido Calogero sono stati intellettuali militanti nel senso proprio del termine. A partire dalla loro militanza antifascista, infatti, hanno contribuito in maniera davvero significativa a formare la coscienza civile degli italiani. E lo hanno fatto – questo emerge con estrema chiarezza dalla lettura della loro vastissima corrispondenza – soprattutto a partire dalla volontà strenua e sempre viva di colmare il vuoto educativo e sociale e politico lasciato dal fascismo e da tutto ciò che il fascismo aveva, in un modo o nell'altro, prodotto e causato più o meno direttamente. Non a caso le loro lettere risentono sensibilmente, durante il periodo della censura di regime, di quel controllo asfissiante operato da Mussolini sui potenziali gruppi eversivi, dissidenti, non adeguatisi alla linea (e alla logica) dello Stato fascista.
Dalla tenace volontà di costruire un'Italia nuova si originano gli aspetti principali dell'impegno di Capitini e di Calogero: l'ideazione del movimento liberalsocialista e lo sviluppo di alcune tematiche etico-politiche cardine della moderna democrazia; le battaglie per la laicità e per la diffusione di una cultura "comprensiva" di laicità: laicità delle istituzioni, laicità della politica e laicità della scuola in modo particolare; l'insistere sulla necessità e anzi sull'urgenza di ridefinire il contesto socio-politico italiano, ricostruendo la coscienza degli italiani prima ancora dell'economia del Paese o comunque simultaneamente alla "ricostruzione", per come comunemente si intende tale termine.
I due comprendono bene e in largo anticipo su molti altri, infatti, che l'Italia aveva bisogno di educarsi a una nuova voce, vale a dire la voce della libertà e della socialità insieme, la voce del dialogo pluralistico, del confronto critico sui problemi di tutti, partendo da una democrazia che potesse darsi e farsi realmente dal basso. Attraverso questa filigrana è possibile, perciò, scorrere tutte le innumerevoli iniziative capitiniane e calogeriane per la riforma della scuola e per le riforme socio-economiche; per la pace e il disarmo internazionale; per una costante attenzione ai deboli e agli svantaggiati. Non solo: anche e forse soprattutto per la promozione di una cultura democratica, liberale e libertaria, in stretto dialogo con la miglior tradizione del socialismo, e inoltre consapevole della dialettica diritti/doveri da sentire e conseguentemente da vivere – nel solco profondo della lezione di Mazzini – come responsabilità morale di ogni cittadino, nessuno escluso.
Tutte iniziative, quelle richiamate sopra, portate avanti da Capitini e Calogero con spirito indomito, quello proprio di due grandi educatori alla lotta politica contro il fascismo, ma anche – più in generale – contro tutti i fascismi possibili; contro l'autoritarismo, anche quello continuamente insinuantesi nel campo pedagogico; contro l'esclusione sociale, contro il dominio e contro tutte le forme di oppressione e di soppressione delle libertà, contro i mali dell'analfabetizzazione e della carenza di partecipazione come pure del fatalismo, del conformismo, dell'ipocrisia, dell'indifferenza sociale...
I C.o.s. (Centri di orientamento sociale) e C.o.r. (Centri di orientamento religioso) organizzati a Perugia da Capitini e poi diffusisi anche in altre città del Centro Italia, solo per fare un esempio concreto, si inseriscono così all'interno di una visione omnicratica della politica come bene comune, che è poi la base di ogni discorso di quella che fino a non molti anni fa eravamo abituati a chiamare "educazione civica", purtroppo oggi piuttosto latitante tra i banchi delle scuole italiane.
Omnicrazia significa potere di tutti, potere dal basso e di ogni cittadino, potere di «parlare e ascoltare» – secondo il motto capitiniano. Questa stessa prospettiva, con altre forme ed espressioni, perseguono le attività promosse da Calogero a partire da quelle del C.E.P.A.S., la prima scuola per assistenti sociali in Italia fondata dal filosofo del dialogo insieme alla compagna di una vita Maria Comandini, ma ancora quelle per la libertà di associazione e di stampa, per il riconoscimento e la tutela dei diritti umani, per una concreta socializzazione della politica e, in senso lato, per una matura riflessione giuridico-costituzionale sulle regole della democrazia[3].
La selezione che qui si è voluto presentare tocca alcuni dei temi che più stanno a cuore ai due intellettuali. L'educazione civica di un popolo che fuoriesce a fatica dalla tormentata esperienza del fascismo, ma appunto – come già anticipato – anche dal vuoto educativo lasciato dal regime e dalla "cultura" della guerra; il ripensamento della politica e del senso della comunità anche in chiave internazionale; il socialismo e le sue sfide; l'alternativa possibile e la "terza via": tutto questo impegna a fondo il dialogo che Capitini e Calogero intessono tra loro.
Le lettere che i due si scrivono, nel mentre rimandano a incontri, convegni e innumerevoli iniziative da loro ideate e promosse su questioni urgenti per l'Italia e non solo per essa, si presentano dunque come dei veri e propri esercizi di provocazione allo sviluppo di una ragione critica. È questo, fondamentalmente, il motivo per il quale, nel leggere la corrispondenza tra Capitini e Calogero e quindi questa sorta di loro dizionario della democrazia, finiamo al contempo per leggere l'Italia civile, sociale e politica nonché culturale del Novecento e, in controluce o se si vuole per sottrazioni e aggiunte, anche quella di oggi.
§§§§
Roma, 31 luglio 1947
Prof. Aldo Capitini
Palazzo Comunale
Perugia
Caro Aldo,
per prima cosa ti accludo copia, che ho trovato tra vecchie carte, di un vecchio foglio tuo del periodo clandestino, che, come sai, piacque molto e fu efficace in larghe cerchie. Esso fu poi ristampato un paio di anni fa nel giornale giovanile del Partito d'Azione (il "Giustizia e Libertà" che si pubblicò a Roma). Forse tu hai copia di quel numero: in ogni modo ti mando anche questo esemplare dattiloscritto.
Quanto alla tua lettera del 13 luglio, ho atteso in questi giorni con interesse di leggere in qualche giornale l'articolo, che tu mi annunciavi sul problema dell'unificazione socialista. Ma non avendolo veduto, credo che anche tu ti sia trovato di fronte alle difficoltà con cui combattiamo di questi tempi tutti noi, e cioè quella di avere un organo di stampa non prevenuto, a disposizione.
Giacché, comunque, tu mi esponi vari punti nella tua lettera, non voglio tardare oltre a dirti quale è la mia opinione. Per quello che riguarda il significato dell'ordine del mio partito, sono d'accordo con te circa il significato che deve essergli dato: e ti accludo a questo proposito anche una circolare che fu spedita subito da noi, ai primi di luglio, e che non so se tu abbia visto.
[…]
Come avrai visto, la questione dell'unificazione è adesso variamente agitata da molte parti; e la cosa dimostra l'attualità del problema anche se diverse iniziative rischiano talvolta di apparire come concorrenti e di irrigidire le parti estreme. Speriamo tuttavia che lo sviluppo sia positivo.
[…]
Se puoi mandami una rapida esposizione del tuo punto di vista in merito all'unificazione e alle condizioni dell'eventuale ingresso tuo e del tuo gruppo in un nuovo partito socialista: possibilmente una breve determinazione dattilografata di punti essenziali che io possa passare alla Direzione del P.d'A. in rapporto alle conversazioni con gli altri movimenti socialisti.
Cordiali saluti dal tuo
Guido
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4 gennaio 1952
Caro Aldo,
[…]
se tu vuoi vincere un concorso universitario, e non vuoi vivere come vissero Leopardi e Mascagni e Kierkegaard e gli altri che tu citi, i quali professori universitari non diventarono e molto probabilmente sarebbero stati bocciati se si fossero presentati a concorsi (ricordati che Freud, il quale è stato senza dubbio uno dei creatori del mondo contemporaneo, non ha mai potuto essere altro che un libero docente), bisogna che stia al giuoco, e scriva anche alcune di quelle cose sufficientemente mediocri e tecnicamente dotte, che piaceranno ai mediocri, e tecnicamente più o meno dotti, che ti dovranno giudicare. E se questo ti pare troppo mediocre, allora non hai che da rinunciare a questa prospettiva. Ma, se non vi rinunci, allora devi dar ragione a Machiavelli, e ammettere che volere certi fini significa anche volere certi mezzi.
Personalmente, poi, io ritengo affatto che questi mezzi siano meno che onorevoli anche dal punto di vista intellettuale. Se tu scrivi un libro tecnico, preciso e ben informato, su quanto in altri paesi si è fatto per l'educazione adulta, e su quanto si potrebbe fare in Italia, fai qualche cosa che sarà utile a tutti, e che potrà dare, inoltre, la precisa misura che quanto tu dici in sede generalmente tecnica non è soltanto una professione di fede, o un'argomentazione, ma anche qualcosa che ha riflesso nella precisa azione didattica e civile. Credo di non dirti niente che ti faccia dispiacere se ti aggiungo che ritengo che questo sarebbe salutato con gioia anche da tutti quei tuoi amici che restano spesso preoccupati di fronte al carattere un po' troppo esclusivamente profetico-poetico di talune tue pagine (quando poi tu, quando vuoi, sai stare così bene anche coi piedi sulla terra).
[…]
Intanto i più affettuosi auguri per il prossimo anno dal tuo
Guido Calogero
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Roma, 19 agosto 1962
(siamo al Lido dei Pini: ma rispondimi a Roma)
Carissimo Aldo,
grazie dei manoscritti delle testimonianze antifasciste; le ho lette tutte con cura, e lo ho fatte leggere a Sasso, con cui le abbiamo discusse.
La nostra impressione è che ci sia un'enorme differenza fra quello che scriveste sul Ponte tu e Salvemini e questi testi. Quelle pagine erano di prim'ordine: perché eravate voi che parlavate. E, sotto specie di ricordi, erano modi per far capire che cosa era il fascismo, e giudicarlo. In ciò erano, anche, altamente educative.
Queste altre sono cronaca personale: cronaca che in conclusione si ripete. Il Ponte è stato sagace nello scegliere. D'altra parte, anche volendo documentare questi processi di formazione, bisogna, allora, pubblicarli tutti insieme in volume: si sostengono, in tal caso, in certo modo a vicenda, e l'uniformità stessa diventa documento. In una rivista la ripetizione diventa invece noiosa e controoperante. Insomma, accade qualcosa di simile a quello che succede con le lettere degli antifascisti dal carcere. Anch'io (e credo anche tu abbia fatto lo stesso) ho dato qualcuna delle mie a Cortesi (a proposito: perché non parli a lui del volume di queste testimonianze?), per la pubblicazione del volume degli Editori Riuniti (e non ho fatto difficoltà per l'editore comunista). Ma se si fosse trattato di ripubblicarle, in rivista da sole, non avrei acconsentito, perché la cosa non si sarebbe giustificata abbastanza.
Aggiungi che La Cultura vuol essere una rivista di critica di idee, più che di documentazione di fatti. E lo stesso primo fascicolo, di necessità, contenendo una storia de La Cultura nella storia della cultura italiana (che va scrivendo Sasso) è già abbastanza commemorativo. Io stesso ho rinunciato a inserire una serie di "Ricordi politici dell'ultimo quarantennio", che pur scriverò più in là. Comincerò invece una serie di "Note sul pensiero contemporaneo" (forse battendo sui logico-linguisti in occasione del convegno di Torino sul linguaggio della filosofia).
Tutto ciò per spiegarti i motivi per cui non ci sembra possibile pubblicare i pezzi, che perciò ti rinviò. Viceversa insisterei moltissimo perché tu mi mandassi l'articolo di critica approfondita alla Filosofia del dialogo. Non potresti mandarmelo entro il 15 settembre? Così io farei a tempo a preparare la risposta prima di partire per l'America. Dobbiamo dare il tono alla rivista fin dal primo numero, e niente può darlo meglio di una discussione fra te e me. Come ti dissi, nel primo numero uscirà solo il tuo articolo (da 20 a 30 cartelle dattiologr.[afate] a spazio normale: ti lascio lo spazio che vuoi): io risponderò nel successivo: poi replicheremo ancora entrambi. Vedrai che verrà fuori un bel volumetto: Apertura e dialogo.
Tieni presente che potremo ben discutere anche (in altre occasioni magari) del problema "pace". Ma, appunto, come problema, di modo di pensare, più che come questione di tattica politica contingente. Rimanderò tra poco la bozza dell'"Invito di sottoscrizione" a La Cultura, e vedrai che il problema "pace", per lo meno in quanto a coesistenza, e quindi contro ogni antica idea della "storia" come "guerra", è posto in primo piano. Quanto al giudizio di Garin, non te la prendere. Ma una rettifica può andar bene: possiamo stampare anche quella sulla Cultura: nelle Note finali.
Scrivimi.
Un abbraccio
dal tuo Guido
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Roma, 26 agosto 1962
Caro Aldo,
d'accordo. Se non puoi scrivere l'articolo prima, mandacelo entro il 31 ottobre; e Sasso (che sarà vice-direttore) lo manderà senz'altro in tipografia. Anzi indirizzalo senz'altro a lui (prof. Gennaro Sasso, via dell'Astronomia 19, EUR, Roma) per maggiore rapidità. Ne avrai subito le bozze, perché il fascicolo dovrà essere stampato nel novembre. E io ne avrò un'altra copia di bozze in America.
La sollecitazione dipendeva dal desiderio di avere il tuo scritto al più presto. Ma capisco i tuoi impegni.
Quanto all'essere "moralisti" e "religiosi", non temere: anch'io preferisco tali qualifiche a quelle dell'essere "laici" e "dialettici"! non hanno sempre dato anche a me del "moralista", o del "giurista", o del "politico", o addirittura dell'uomo di buone intenzioni, che scambia le sue buone intenzioni per la filosofia? E quanto alla "religiosità", proprio il carattere della rivista, che vuol difendere in primo luogo la "religione delle religioni", cioè la religione della coesistenza delle religioni, fa sì che i temi di critica religiosa (di approfondimento dello spirito di comunità religiosa e degli infiniti problemi nascenti da essa, nel loro nesso con quelli nascenti dall'esigenza di una comunità giuridica) vi avranno larga parte. Troppo sono stati trascurati, nella cultura italiana del nostro secolo! E se ne sono visti i risultati.
Se, d'altra parte, insisto per la tua collaborazione, non è perché non avverta le diversità che sono fra noi. Ma ti conosco da un pezzo, perché ciò possa costituire per me novità. Il fatto è che io credo che solo i problemi veramente moderni della filosofia siano quelli imperniati sul tema che tu chiami della compresenza e dell'apertura, e che io chiamo del dialogo e con vari altri nomi; e quel che importa è che noi cooperiamo discutendoci, in assoluta autonomia e libertà, ma col senso che abbiamo più noi diritto di orientare i cervelli dei giovani, di tanti altri filosofi più o meno di moda.
Perché, per esempio – per prendere un autore che in certo senso ti somiglia, in quanto da un lato svolge il motivo dell'IO-TU e dall'altro è intonato molto religiosamente nella sua visione d'insieme – perché Martin Buber è ormai tradotto in quasi tutte le principali lingue, e tu non lo sei (come del resto non lo sono io)?
Mi duole di non poter venire il 16 settembre a Perugia. Ci verrei volentieri! ma prima di quel giorno (proprio) non potrò partire dall'Inghilterra, dove devo andare, dall'11 al 14, per il Convegno di Oxford dell'Institut International de Philosophie.
Sono lieto che la presentazione della rivista ti sia parsa buona.
Tante cose affettuose dal tuo
Guido
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Perugia, 30 agosto 1962
Caro Guido,
A Bruno Segre, direttore dell'Incontro, che è andato al Congresso di Mosca avevo dato alcuni punti, nel caso che potesse sostenerli (il che non è riuscito a fare). Uno di essi diceva:
"Bisogna che sia realizzato il principio della libera uscita dei cittadini da qualsiasi Stato e della libera circolazione di tutti dappertutto. Per arrivare a questo ogni Stato deve essere accettato nelle Nazioni Unite, e queste assumerebbero il controllo di tutte le armi, in modo che la libera circolazione avvenisse senza violenze; un'anticipazione e un simbolo di questa libera circolazione di tutti dappertutto può essere lo scambio di migliaia e migliaia di giovani lavoratori e di studenti tra diversi paesi e per un lungo periodo di tempo".
Quindi capisci che sono pienamente d'accordo con te sul tuo ultimo Quaderno.
Quanto al fatto che ciò che dico e scrivo io non sia conosciuto né all'Estero né in Italia, lo so bene! Ma io credo sempre che la responsabilità in tutte le cose sia dei vicini. Pensare che diffondevo scritti antistoricisti nel 1931[4], e poi ho visto molti che hanno scoperto l'antistoricismo e la differenza tra ideale e fatto dieci e undici anni dopo! Poi Garin ha fatto la "Cronaca"[5], e continua; tanto che un giornale ha messo, per l'ultimo suo libro[6], questo titolo che forse ti farà sorridere:
Implacabile Garin su due fronti
Contro l'irrazionalismo e
contro lo spiritualismo
il libro dello studioso
prende netta posizione.
E un altro giornale:
L'anti-Croce di Eugenio Garin
[ma c'è bisogno oggi di essere anticrociani, con tanta acqua passata sotto i ponti?] Il titolo continua:
Un libro che entra senza concessioni
e infingimenti nel vivo della realtà
con il deliberato proposito di mutarla
e di invitare a mutarla.
Grazie dell'indirizzo di Sasso. E d'accordo per orientare… Vedrai quando uscirà la mia Teoria della compresenza[7] (non ho che da assestarla, perché è scritta)! Qualche severo rimprovero, e i soliti sorrisetti cinesi.
Se a qualcuno interessa, segnala il nostro convegno del 22, riservato a pacifisti integrali (tu so che non lo sei).
Con affetto a te e Maria,
Aldo
§§§§
Perugia, 6 giugno 1963
Caro Guido,
[…]
Per l'educazione civica nelle scuole, un punto mi sembra d'importanza essenziale, come ho avuto occasione di dire più volte. Una simile educazione non si compie tanto fornendo nozioni, quanto formando abitudini.
Per far comprendere, a poco a poco, il valore della libertà di coscienza e di parola, non c'è altro metodo che quello di far discutere, e discutere, su qualsiasi problema, e all'occasione su questo stesso problema, in modo che lentamente i ragazzi si rendano conto che ognuno ha il diritto di intervenire, che nessuno può pretendere di parlare più a lungo degli altri, che bisogna frenare i prepotenti e i desiderosi di primeggiare, e viceversa incoraggiare i timidi, inclini ad ascoltare in silenzio. Una volta, d'altronde, che sia ben consolidato il senso della parità del diritto fondamentale, che è il diritto di far conoscere agli altri le proprie esigenze, la parità di ogni altro diritto ne discende come conseguenza. La discussione sui vari articoli della Costituzione può quindi, a questo punto, aver luogo a poco a poco, come dibattito circa la maggiore o minore necessità o strumentalità dei vari istituti costituzionali di distribuzione e delimitazione delle libertà dei singoli, in funzione di quella universale esigenza egalitaristica, di eliminazione o compensazione di ogni privilegio, in cui consiste ogni "educazione civica", cioè ogni moralità e civiltà.
È chiaro d'altronde che, per questa stessa più profonda natura dell'educazione civica, il suo insegnamento non può essere considerato di esclusiva competenza del professore che si trovi a impartirla come "materia". Esso diviene responsabilità di tutto il corpo insegnante: tutti possono cooperare, mentre, se non cooperano, danneggiano. Un preside che dirigesse la scuola con metodi meramente autoritari renderebbe vano e ridicolo qualsiasi insegnamento di educazione civica, allo stesso modo che lo svuoterebbe il docente il quale lo impartisse se soltanto dalla cattedra, e ordinasse il silenzio ad ogni studente che facesse domande e obiezioni. La forma più fondamentale di educazione civica è infatti lo stesso comportamento civico dell'insegnante coi suoi studenti. E un simile comportamento non è facile in Italia, dove la tradizione è prevalentemente autoritaria, sia per quanto riguarda il peso e l'estensione delle delimitazioni programmatiche, sia per quanto riguarda la conseguente prassi didattica, e nel far lezione e nell'esaminare e nel "tenere la disciplina".
Il tuo aff.mo Aldo
§§§§
Perugia, 4 maggio 1964
A Luigi Rodelli,
e p.[er] c.[conoscenza]:
a Guido Calogero
a Ernesto De Martino
Caro Rodelli,
Lo spostamento che Roma ha deciso del convegno sul vilipendio dal 30-31 maggio al 6-7 giugno, mi dispiace perché non potrò partecipare, visto che il 6 giugno ho esami a Cagliari. Invece la data del 30-31 maggio mi conveniva molto, perché mi trovavo già a Milano per il convegno sulla scuola e la società italiana, e avrei dovuto semplicemente prolungare il soggiorno, una seccatura e uno strapazzo, ma sopportabili in vista dell'idea. Con la nuova decisione, non solo non potrò partecipare, ma non posso nemmeno mandarti una comunicazione, perché tu la vuoi entro il 15 maggio e io in questi giorni sono occupatissimo, e debbo anche andare a Roma per un convegno sulla scuola e la pace. Quindi, niente.
Ho avuto il tuo saggio per il numero unico sugli ex-preti. Non l'ho ancora letto, ma penso che vada benissimo; il numero non è ancora in preparazione, perché pochissimi degli amici laici hanno risposto, e soltanto uno o due hanno mandato qualche soldo, mentre per la stampa ci vorrebbero quasi duecentomila lire, che non posso certamente cavare io. Sono molto addolorato nel vedere che molti non mi hanno neanche risposto, e che son diventati così insensibili al problema che è sempre civicamente gravissimo.
Affettuosi saluti dal tuo
Aldo Capitini
§§§§
Perugia, 8 maggio 1964
Caro Guido,
Non posso rinviare gli esami di Cagliari sia perché sono molti, sia perché, specialmente per opera del pesantissimo e pedantissimo Pietro Rossi[8] assecondato da altri pedanti, sono stati messi dei princìpi tra cui quello della distanza di dieci giorni tra il primo e il secondo appello.
Rifletteremo alla seconda cosa che tu mi dici di dedicare un numero di "Cultura" al problema degli ex-preti; ciò che tu dici sulla loro mancanza di coraggio e di solidarietà, è vero, ma si spiega se si pensa al cattivo nome che c'è per gli "spretati"; difatti, appena hanno trovato un pane, si mimetizzano. Una volta io ebbi una discussione col bravissimo figlio di Sebastiano Timpanaro in un giornale socialista di Firenze[9]. Lui sosteneva marxisticamente che la classe soggiogata deve prendere coscienza della sua schiavitù e quindi operare per la liberazione (vedi anche Fenomenologia dello Hegel). E allora si poneva il problema degli animali, e trovava che essi non hanno questa autoconsapevolezza e non possono prendere iniziative per la loro liberazione. Io gli rispondevo spiegando che siamo noi che dobbiamo muovere ad iniziative quanto anche gruppi di esseri non abbiano piena coscienza e non si muovano. Così spiegavo il vegetarianesimo, e così spiego il lavoro per gli ex-preti. In più penso che la nostra azione non è un atto di carità verso di loro, ma riguarda noi, cioè la nostra coscienza civica, che non può tollerare la condizione stabilita dall'art. 5 del Concordato[10], tanto più che noi siamo dei privilegiati. Quindi è per noi, e non per loro. Sono d'accordo che ci vorrebbero articoli elevati. Io ho trattato il problema larghissimamente nel volume con gli Atti dell'art. 7. Si potrebbe trovare qualche altro articolo di Falconi[11], di Cesare Magni[12], di Jemolo e qualche altro.
Affettuosi saluti a te e a Maria,
Aldo
Per l'altro (articolo e discussione) vedrò "La Cultura".
§§§§
Perugia, 20 maggio 1965
Caro Guido,
Sei stato molto bravo ad assicurarmi l'incarico di Filosofia morale, dandomi così una buona posizione nei riguardi della "cintura sanitaria", ma soprattutto permettendomi di tenere quella duplicità-unità di attività di studio e di insegnamento che mi piace.
Sono un rimuginatore per ripulire, chiarire e trarre cose da fare; e ripensando a tutto ciò che ci siamo detti, scelgo Israele: terrei molto ad avere un buon articolo, molto oggettivo e limpido, sulla situazione nella zona israeliana-araba, i pericoli, le probabilità. Sai chi lo potrebbe fare? Sarebbe per Azione nonviolenta[13]. Una nota tua?
Molti saluti,
affmo Aldo
Sono dolente di dover dissentire da alcuni colleghi nel giudizio circa il Capitini. Io lo considero senz'altro come il più eminente dei candidati di questo concorso. Mi sembra un errore il vedere in lui in primo luogo talune attività che, pur esprimendo certi aspetti della sua personalità, non la esauriscono per nulla, e anzi restano in qualche modo periferiche rispetto al nucleo centrale del suo pensiero e della sua azione educativa. Il suo interesse per la riforma religiosa, per l'obiezione di coscienza, per altri aspetti organizzativi della vita individuale sociale e politica, che ad alcuni possono sembrare realtà estranee all'ambito di considerazione del presente concorso, non devono far dimenticare che a fondamento di esse sta, nel Capitini, una salda concezione etica, il cui spirito e il cui orientamento sono decisamente pedagogici. In tempi in cui non solo l'atmosfera politica era avversa ai difensori della libertà, ma le stesse prevalenti dottrine della filosofia avevano alquanto oscurato la distinzione fra l'individuo e lo Stato, la libertà e l'autorità, la persuasione e la coazione, il C.[apitini] contribuì efficacemente, con un volumetto che è rimasto un classico del pensiero liberale di quel tempo (gli Elementi di un'esperienza religiosa) a ristabilire la chiarezza delle posizioni e a orientare gli spiriti verso quel più preciso senso del rispetto per la persona e per la libertà altrui, che è la base di ogni autentico rapporto educativo.
Ai fini di questo approfondimento speculativo, nel campo di tale problema eminentemente etico-pedagogico, egli venne poi man mano svolgendo varie dottrine, in cui utilizzò anche motivi di pensiero extraeuropei, come quelli della tradizione gandhistica, di cui egli ebbe il merito di far sentire il valore tra noi, attraverso una sua rielaborazione originale. Sorsero così le sue teorie delle coscienze individuali come centri assoluti di responsabilità, del loro volgersi al "tu", della "persuasione" come forma essenziale ad un tempo dell'educare e del vivere etico, della "nonviolenza" e della "non-collaborazione", come manifestazioni concrete di tale senso del dovere etico e della responsabilità personale in situazioni determinate. Parallelamente, la sua concezione religiosa si svolgeva in forma che non avevano nulla di mistico o di evasivo, l'"Uno-Tutti" non essendo affatto per lui una sorta di neoplatonico Uno-Tutto, ma bensì il simbolo della compresenza operante delle presenze, nel senso di un francescanesimo attivo e tradotto in termini moderni. Naturale, quindi, che una simile concezione etico-religiosa si espandesse poi naturalmente in una pedagogia anche specificatamente determinata: di qui i suoi recenti volumi su l'Atto di educare e Il fanciullo nella liberazione dell'uomo, col quale ultimo egli ha ormai superato del tutto anche l'obiezione che le sue concezioni pedagogiche fossero piuttosto implicite che esplicite. La riprova pratica di tutto questo è infine nella esperienza dei C.O.S., che è stato il più cospicuo tentativo di organizzazione dell'"educazione adulta" che sia stato iniziato da un individuo singolo negli ultimi anni in Italia.
Per tutti questi motivi io non posso non considerare il C.[apitini] come un maestro, il cui pensiero può certamente essere discusso in taluni suoi aspetti, ma la cui statura soverchia comunque nettamente quella di ogni candidato di questo concorso.
Guido Calogero
§§§§
Perugia,
8 febbraio 1968
Caro Guido,
Ho visto che domenica sarà ricordato il nostro carissimo Ernesto Rossi. Manderò un telegramma e mi procurerò il libro secondo le indicazioni che ho già ricevuto come sottoscrittore per le opere del nostro amico. Non posso partecipare perché oltre ad essere preso da tanto lavoro, senza alcun margine e anzi con una febbre che diminuisce soltanto quando lavoro, ancora la mia salute ha bisogno di un controllo quotidiano e di evitare più possibile strapazzi. Credo che verrò a Roma in marzo per una tavola rotonda su Gandhi. Come vedi cominciano le iniziative gravitanti sul centenario gandhiano di cui ti ho già parlato.
Ma a questo proposito voglio dirti un'altra cosa. Tra le iniziative che vorrei suggerire e anche promuovere c'è quella della pubblicazione di un numero speciale di AZIONE NONVIOLENTA, prima della fine di quest'anno, anzi possibilmente nell'ottobre, mese della nascita di Gandhi, dedicato a Gandhi, con un materiale fresco, chiaro e incisivo. Questo numero dovrebbe essere di più pagine del solito, con sostanziosi articoli, con molte illustrazioni, e soprattutto stampato in decine di migliaia di copie, per poterci vivere per tutto l'anno che andrà dal 2 ottobre 1968 al 2 ottobre 1969. Lo manderemo a tutti coloro che ci chiederanno qualche cosa su Gandhi e potrà anche servire per stimolare dibattiti, visto che lo faremo con evidenti riferimenti attuali. La cosa ha anche il suo significato considerando che i cattolici, che sono forniti di immensi mezzi tipografici di libri e di periodici, stanno cercando di assimilare Gandhi allo spiritualismo cristiano, il che è una falsificazione, dati gli elementi illuministici e aperti che si trovano in tutto il pensiero e in tutta l'opera di Gandhi.
In un periodico cattolico ho visto annunciato, per esempio, "Vangelo secondo Gandhi". Tanto più è necessario che noi presentiamo in giusta luce il pensiero e l'opera di lui.
Ma i mezzi? AZIONE NONVIOLENTA vive con lo stretto bilancio che le viene dagli abbonamenti e da limitate offerte. Un numero speciale, più grosso e più costoso, in moltissime copie è fuori dalle nostre possibilità. Non so se quel tuo amico che voleva dare una parte della sua eredità (o poteva dare) a noi, sarebbe oggi disposto a darla invece per una cosa così precisa e concreta, di evidente valore educativo e culturale. Se la proposta che tu gli facesti aveva del vago, una semplice domanda che tu gli facessi ora avrebbe un riferimento concretissimo. Purché non ti costi alcuno sforzo.
Affettuosi saluti a te e a Maria
Aldo Capitini
§§§§
Perugia,
8 marzo 1968
Caro Guido,
Dal 2 ottobre 1968 al 2 ottobre 1969 si svolgerà il Centenario della nascita di Gandhi, celebrazione che ormai avverrà non solo in India (dove sono forti correnti la cui impostazione ideologica è diversa dal gandhiano, ma anche in molti altri paesi, tra cui l'Italia. Come Lei sa, alcuni amici ed io ci occupiamo da decenni della divulgazione di alcuni elementi, che riteniamo vivi e fecondi, del pensiero e dell'opera gandhiana. Il Centenario sarà un'ottima occasione non solo d'informazione, ma anche di un esame e di un vaglio di ciò che è vivo e in pieno sviluppo, e di ciò che era semplicemente legato ad un momento e ad una situazione storica. Il periodico mensile che io dirigo da quattro anni, Azione nonviolenta, vuol dedicare un grosso numero speciale a concreti saggi e contributi a questa celebrazione, sia per il lato divulgativo sia per il lato critico e costruttivo. Vorremmo che l'Italia fosse in grado di dare una sua parte in un insieme di lavoro che è già in preparazione nei paesi più civili del mondo.
Questo numero speciale richiederà non solo molto lavoro in questi mesi, se vogliamo che esca il prossimo ottobre, ma anche un forte impegno finanziario per il suo numero di pagine e per le copie che vogliamo diffondere e mettere a disposizione degli italiani. Tale spesa non può gravare sul modesto bilancio del nostro periodico, e perciò ci rivolgiamo a coloro che, senza alcun impegno ideologico, ritengano utile questa iniziativa, se essi vorranno darci una somma per l'attuazione dell'iniziativa stessa. Delle somme raccolte renderemo conto in Azione nonviolenta, e nel caso che Ella non voglia comparire con il Suo nome, potremo mettere le semplici iniziali o N.N.
In attesa d'una Sua risposta, La salutiamo molto cordialmente,
Aldo Capitini
§§§§
Roma, 27 agosto 1968
Caro Aldo,
ho risposto all'ultima tua lettera; ma temo che, a causa dei miei movimenti, mi sia sfuggita la precedente, dove mi chiedevi se la Cultura pubblicherebbe un tuo scritto Attraverso due terzi di secolo, in cui tu faresti una specie di sintesi della tua lunga esperienza.
Ma certo che lo pubblicheremmo: molto volentieri!
E ne potremmo fare anche un maggior numero di estratti, secondo il tuo desiderio. (Ma a patto che tu non concepisca questo tuo scritto come una specie di "canto del cigno". Capito?).
Con un affettuosissimo abbraccio, e ancora con tanti auguri
il tuo
Guido[14]
[Lettere tratte da: A. CAPITINI, G. CALOGERO, Lettere (1936-1968), a cura di T. Casadei e G. Moscati, Fondazione Centro studi Aldo Capitini, Carocci, Roma 2009]