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Media d’informazione e opinione pubblica nella Cina di oggi
fra nuove dinamiche e controlli autoritari

Laura De Giorgi

1. Le due vie della modernizzazione dei media in Cina: decentramento e commercializzazione

Nella Repubblica Popolare Cinese un processo di modernizzazione del sistema d’informazione pubblico ha accompagnato gradualmente quello di riforma economica fin dall’avvio della fase post-maoista alla fine degli anni Settanta. Tale processo è stato portato avanti lungo due assi strategici: da un lato il decentramento, che ha delegato sempre più le responsabilità di gestione di singoli media -giornali, radio e televisioni- a governi locali, imprese e enti semi-governativi come centri di ricerca, e dall’altro la commercializzazione, che ha comportato la diminuzione o la cessazione dei contributi governativi. Dall’inizio degli anni Novanta in particolare, ai media si è dunque imposto di “tuffarsi nel mercato”, reperendo attraverso la pubblicità le risorse necessarie al funzionamento del sistema. Fra il 1981 e il 2003 il volume d’affari della pubblicità è cresciuto mediamente del 34,5% annuo, ma con aumenti superiori al 90% con la ripresa delle riforme dal 1992.
L’effetto della riforma è stato significativo, sia in termini quantitativi che qualitativi. Il numero di giornali è rapidamente aumentato negli anni Novanta, per quanto il governo abbia in diversi momenti limitato il numero di licenze -oggetto fra l’altro di un mercato- e chiuso le testate non autorizzate. Inoltre, le stesse dimensioni dei giornali sono aumentate, dato che ampio spazio -tramite inserti quotidiani o settimanali- è stato riservato tanto alla pubblicità quanto a tutti quei generi (cronaca, sport, spettacolo, approfondimenti, cultura popolare) che potevano attirare il pubblico. D’altronde, il circuito di distribuzione non è stato più limitato all’abbonamento postale, ma è stato allargato alla vendita nei chioschi. La crescita si è dovuta in particolare al successo della stampa locale, e in particolare dei giornali cittadini, di proprietà nella maggior parte dei casi dei governi municipali, di cui non sono tuttavia organi ufficiali, e delle stazioni radio-televisive commerciali locali. Attualmente in Cina circolano più di duemila giornali e novemila riviste; la Televisione Centrale Cinese (CCTV) trasmette rispettivamente sedici canali inclusi quelli internazionali; ad essa vanno aggiunte 362 stazioni televisive a livello regionale. La televisione rappresenta, d’altronde, il più importante mezzo di informazione, intrattenimento, educazione e, ovviamente, propaganda nella Cina di oggi. Per quanto riguarda la radio, l’unica a diffusione nazionale è quella centrale che trasmette da Pechino, ma sono attive ben millecinquecento radio locali.
Inoltre, non può essere tralasciato l’impatto che ha avuto nel sistema informativo lo sviluppo di Internet che, per quanto concentrata soprattutto nei centri urbani, conta ormai, secondo i dati ufficiali, 220 milioni di utenti. Portali d’informazione nazionali e locali e piattaforme regionali hanno offerto canali alternativi d’informazione e intrattenimento di cui i media tradizionali hanno in molti casi approfittato per ampliare il loro impatto sul pubblico.
Anche se formalmente non è ancora stato permesso lo sviluppo di testate giornalistiche private e l’informazione rappresenta un settore protetto dalla liberalizzazione economica, nella gestione e nei contenuti il sistema dei media in Cina opera all’interno di una logica ormai sempre più commerciale. I media, in breve, sono considerati come un settore produttivo, che pertanto, nonostante le sue finalità culturali, sociali e ovviamente anche politiche, deve operare in un regime di competizione commerciale.
Resi più autonomi sul piano della linea editoriale, della gestione finanziaria e del personale, giornali, radio e televisioni sono dunque diventati sempre più sensibili agli interessi del pubblico e degli inserzionisti pubblicitari. La concorrenza ha in generale reso più vivace il contenuto, condizionando anche i tradizionali organi di partito, la cui importanza politica è rimasta, ma la cui capacità di influenzare l’opinione pubblica è stata indebolita. In un regime di controllo e censura, questo si è spesso tradotto, agli occhi dei critici, in una propensione all’informazione scandalistica e all’intrattenimento più popolare, a scapito della funzione formativa ed educativa. La separazione di fatto fra il ruolo politico e la gestione professionale e commerciale, inoltre, ha creato il fenomeno per cui testate giornalistiche formalmente di partito o di governo sono state affidate a redazioni professionali, che la gestiscono in modo autonomo mantenendo solo in termini vaghi, o apparenti, il ruolo di organi ufficiali.
Il sistema d’informazione pubblica cinese è, come è stato più volte detto, “schizofrenico”: da un lato essi devono svolgere la tradizionale funzione di propaganda politica, dall’altro muoversi come industrie sul mercato. Questi elementi hanno ristrutturato il sistema in modo complesso. La frammentazione amministrativa e geografica e l’attenzione all’audience hanno contribuito non poco ad aprire nuovi spazi di informazione e dibattito, in una sfera pubblica sempre più sensibile alle istanze diversificate dell’audience. D’altra parte la tendenza alla moltiplicazione dei canali di informazione ed espressione di opinioni, nell’ottica di un pluralismo politicamente molto controllato, è stata bilanciata dal ruolo assunto dai potentati politici ed economici a livello locale e dalla tendenza alla concentrazione mediatica. Ad esempio, dalla metà degli anni Novanta, si è assistito allo sviluppo di conglomerati mediatici, secondo una tendenza ritenuta politicamente e commercialmente ineludibile. Questi gruppi, di cui il primo si è formato nel Gaungdong, regione all’avanguardia nelle riforme, erano inizialmente costituiti da “catene editoriali”che includevano in una sola impresa testate di un unico settore (carta stampata, radio o televisioni) indirizzate a target diversi, con una distribuzione geografica limitata a livello locale; negli ultimi anni, tuttavia, si sono formati gruppi mediatici che comprendono media differenti (radio, televisioni, giornali) e inoltre sono nati anche gruppi trans-regionali. La concentrazione permette in teoria un più agevole controllo sulle attività dei giornalisti e sui contenuti divulgati, ed è quindi considerata favorevolmente da parte del governo centrale. Ma al tempo stesso, la creazione di conglomerati più ampi e diversificati rende più porosi i confini che tradizionalmente impediscono la circolazione di notizie e opinioni da un contesto locale limitato a quello nazionale e, dunque, politicamente più significativo, ponendo un freno al potere delle autorità sui giornalisti.


2. Il sistema di propaganda del PCC e il controllo dell’informazione

Sarebbe errato ritenere che la commercializzazione del sistema dei media, evidenziata dall’importanza delle risorse pubblicitarie per il suo funzionamento, si sia accompagnata a un decrescere dell’investimento del governo nella comunicazione e nella propaganda. La riforma del giornalismo ha certo indebolito il ruolo monopolista del partito nella sfera dell’informazione e della discussione pubblica; tuttavia la sua capacità di controllarne l’evoluzione, fissando i limiti del lecito e, in molti casi, indirizzando la percezione e l’interpretazione degli eventi da parte del pubblico in senso funzionale ai propri interessi e obiettivi è rimasta sostanzialmente immutata.
La Cina non è più certo uno “Stato di propaganda”, e non solo perché la propaganda politico-ideologica che nei decenni maoisti pervadeva la sfera della comunicazione pubblica non esiste più, ma anche perché l’obiettivo delle attività di informazione e educazione ufficiali non è più quello di attuare una “riforma del pensiero”, quanto piuttosto quello di garantire il consenso pubblico nei confronti del Pcc come legittima guida politica del paese. Dunque le attività di informazione e comunicazione mediatica rivestono un ruolo centrale per la stabilità del sistema, tanto più che i mutamenti economici, sociali e culturali di questi anni hanno allentato la presenza del partito in molte dimensioni della vita privata e pubblica dei cittadini della Repubblica Popolare Cinese.
In primo luogo va ricordato che per quanto in modo più lento e farraginoso, e non sempre esplicito, anche il sistema di propaganda gestito del Pcc ha affrontato, in questi anni, un processo di modernizzazione e adattamento, tanto nei metodi di controllo della distribuzione e circolazione delle notizie quanto nel linguaggio della persuasione, ai nuovi obiettivi preposti e al nuovo contesto di consumo dei media. Si tratta di un sistema piuttosto articolato e diffuso, che ha sempre al suo vertice il Dipartimento di Propaganda del Comitato Centrale del Pcc, l’organo dove vengono elaborate le linee politiche in questo ambito. L’organigramma del Dipartimento di Propaganda rimane essenzialmente segreto, come i processi decisionali al suo interno e i metodi di trasmissione delle direttive sono relativamente poco noti. Tuttavia, c’è stata senza dubbio una maggiore professionalizzazione, d’altronde indicata dalla trasformazione, nella dicitura inglese ufficiale, del termine propaganda (in cinese xuanchuan) in publicity. Osservata dall’esterno, la propaganda del Pcc sembra certo maggiormente improntata a una concezione di “relazioni pubbliche”: ne è una prova il moltiplicarsi dei portavoce ufficiali degli organi di governo, l’apparente apertura ai giornalisti, la nuova visibilità data ai leader e agli alti dirigenti tramite interviste o apparizioni televisive. Tuttavia questo non ha scalfito il dirigismo del Dipartimento di propaganda, che continua ad operare in modo tradizionale attraverso la diffusione alle redazioni della documentazione ufficiale a cui dare rilievo, l’elaborazione delle direttive da applicare e finanche il controllo della terminologia del linguaggio pubblico.
Il nucleo del sistema di informazione del Pcc rimane rappresentato dal “Quotidiano del Popolo”, organo ufficiale del Comitato centrale del partito, e dall’agenzia di informazione “Nuova Cina” (Xinhua), che è formalmente controllata dal Consiglio degli Affari di Stato e da cui dipendono diverse riviste importanti. L’agenzia “Nuova Cina” ha un monopolio di fatto sull’informazione a livello nazionale e internazionale, e in passato ha spesso operato come rappresentante del governo cinese all’estero. C’è da notare che si è assistito, in questi anni, a un considerevole processo di professionalizzazione dell’agenzia di stampa, che ambisce a rivestire un ruolo importante anche a livello internazionale, in competizione con le grandi agenzie tradizionali. Questo non ha indebolito il suo significato politico, dato che i giornalisti cinesi devono fare esclusivamente riferimento a Xinhua per le notizie nazionali più importanti e per quelle internazionali, la cui pubblicazione costituisce un importante elemento di competizione fra le diverse testate commerciali.
Dagli anni Ottanta, il regime di controllo sulle attività mediatiche è stato, inoltre, reso più istituzionale, grazie all’introduzione di nuovi organismi e di nuovi strumenti amministrativi e legislativi. Le attività legate all’editoria, e quindi il giornalismo della carta stampata, devono essere autorizzate, e sono controllate dall’Agenzia Statale per la Stampa e l’Editoria. Questo organo rilascia la licenza di pubblicazione (kanhao) e, tramite una serie di regolamenti amministrativi, ha di fatto il potere di far chiudere le attività ai giornali meno obbedienti alle direttive ufficiali. Il controllo della comunicazione radio-televisiva è di responsabilità dell’Agenzia Statale per la radio, la televisione e il cinema con prerogative simili a quella per l’editoria. Non va poi dimenticato il ruolo dei Ministeri, e in particolare quello delle telecomunicazioni, il cui ambito d’azione si estende a Internet e ai mezzi telematici.
Oltre ai regolamenti amministrativi, che riguardano anche il personale delle redazioni, lo strumento legislativo più importante per il controllo dell’informazione è la Legge sul segreto di Stato del 1987. Nella categoria di segreto di Stato si fanno rientrare le notizie, ma anche le opinioni, ritenute lesive per il sistema politico. La violazione della legge rappresenta ormai la motivazione più importante per le condanne penali dei giornalisti, sia che essi operino sulle testate tradizionali sia attraverso la rete.
Il ricorso alla legge è in ultima analisi la misura più estrema, per i casi più gravi, che rivestono anche un carattere esemplare. Gran parte del controllo del partito e del governo sull’informazione, a livello centrale come a livello locale, opera in modo trasversale, in particolare attraverso pressioni personali, influenzando la carriera in modo positivo e negativo, inducendo a una pervasiva autocensura. I giornalisti cinesi sanno, in genere, dove possono arrivare; a volte rischiano, ampliando la sfera dell’informazione, in un quotidiano “tiro alla corda”; spesso pagano, in termini di opportunità di lavoro e finanche con il licenziamento o subendo processi per altre accuse, come la corruzione, che è d’altronde un problema rilevante per il mondo dei media cinesi. Infine, a livello locale, non va dimenticata la pratica dell’intimidazione violenta, ad opera della polizia, o di non meglio identificati “bravi”.
La Repubblica Popolare Cinese rimane ai vertici delle classifiche degli Stati in cui la libertà di stampa non è rispettata. Nel suo ultimo rapporto l’associazione internazionale Reporters sans frontiéres denunciava ben 33 casi di giornalisti incarcerati per le proprie attività al 1 gennaio 2008, senza contare quelli che sono stati condannati per le loro attività di critica e informazione in rete. Ma questi casi sono solo la punta di un iceberg, in un contesto dove l’autocensura, per obbligo, per conformismo, ma anche per adesione a un ruolo pur sempre socialmente e economicamente appagante, rappresenta la dimensione quotidiana del lavoro in redazione. D’altronde, per quanto fin dagli anni Ottanta si sia discussa negli ambienti professionali la necessità di elaborare una Legge sul giornalismo che espliciti in modo chiaro gli obblighi e le responsabilità dei giornalisti, proteggendone l’attività da ingerenze arbitrarie del potere, gli strumenti giuridici di tutela sono ancora deboli o inesistenti.


3. Le contraddizioni del presente: l’esempio del giornalismo investigativo

La complessità degli effetti di questi cambiamenti è senza dubbio riflessa nelle contraddizioni relative al ruolo che viene attribuito all’opinione pubblica nel sistema d’informazione pubblica in Cina. Queste, ad esempio, sono evidenti all’interno del nuovo giornalismo investigativo emerso negli ultimi anni come un fenomeno che sembra prefigurare la costruzione di un più diretto rapporto fra media e opinione pubblica e di un diverso equilibro fra politica e giornalismo.
La questione può essere rimandata all’idea, espressa in diversi documenti ufficiali, che i media debbano fungere come strumenti per la realizzazione di una “supervisione a nome dell’opinione pubblica” (yulun jiandu), con un implicito riconoscimento del loro diritto a informare il pubblico.
Va ricordato come nel primo decennio delle riforme, nel dibattito intellettuale e politico sulle implicazioni del nuovo corso che ha caratterizzato lo spirito di quel decennio fino alla crisi di Tiananmen nel 1989, il tema delle relazioni fra media, governo e pubblico e l’importanza del giornalismo nella “supervisione a nome dell’opinione pubblica” per combattere le resistenze burocratiche alle riforme fosse stato già sollevato, se pur in una prospettiva sostanzialmente élitaria racchiusa nelle dinamiche interne alla classe dirigente.
Oscurato nei primi anni Novanta, alla fine del decennio scorso il richiamo alla “supervisione a nome dell’opinione pubblica” ha trovato nuovo spazio, ma in un contesto sostanzialmente diverso da quello originario. Infatti, la commercializzazione ha ridisegnato molti tratti della relazione fra media e pubblico, la questione della rappresentatività del Pcc rispetto a una società sempre più stratificata e diversificata è stata posta dalla dirigenza e infine il problema della lotta alla corruzione è tornato ad essere riconosciuto come fondamentale per il consenso nei confronti del governo. In generale, sottolineare l’importanza della “supervisione a nome dell’opinione pubblica” vuole mettere in luce la necessità di un controllo pubblico sulle attività amministrative e sulle devianze economiche e sociali, controllo da svolgersi attraverso l’informazione. Dal punto di vista del Pcc, lo svolgimento di tale attività da parte dei giornalisti non può che avvenire secondo le direttive e le priorità indicate dal governo, e in particolare deve mirare a rafforzare la stabilità politica e sociale contribuendo a risolvere le difficoltà del processo di riforma; ma da parte dei giornalisti esso può implicare invece la rivendicazione della propria autonomia professionale e di una primaria responsabilità verso il pubblico come proprio contributo al bene comune.
Il giornalismo investigativo, sviluppatosi negli ultimi quindici anni, è il fenomeno che forse ha maggiormente contribuito a porre di nuovo sul tavolo la questione della “supervisione in nome dell’opinione pubblica”. Iniziato soprattutto da alcune testate innovative della carta stampata, di cui la più nota è il Nanfang zhoumo di Canton, il giornalismo investigativo si è posto come obiettivo quello di superare la semplice cronaca per portare all’attenzione del pubblico -e del governo- i risultati di indagini approfondite, condotte autonomamente dai giornalisti, su eventi e casi locali, ma rivelatori di questioni più gravi, quali l’inquinamento, la corruzione, il malaffare, la povertà. Queste inchieste hanno, in alcuni casi, comportato la messa sotto accusa di dirigenti e amministratori, e hanno avuto un impatto notevole sull’opinione pubblica anche a livello nazionale. L’autonomia dei giornalisti e l’approfondimento originale su temi di interesse comune sono, senza dubbio, i tratti caratteristici di questo fenomeno e costituiscono gli elementi innovatori messi in moto dai cambiamenti sopravvenuti in questi anni. Di fatto, il giornalismo investigativo è sembrato costituire un elemento di rottura nella rete di censura e controllo caratteristico del sistema d’informazione pubblica della Repubblica Popolare Cinese: un’opportunità resa possibile dal grande successo commerciale e, quindi, dall’interesse e dalla domanda del pubblico per questi prodotti.
Tuttavia, il fenomeno del giornalismo investigativo nella Cina di oggi mette anche in luce i limiti e le contraddizioni della trasformazione in atto. Ad esempio, il fatto che l’autonomia di cui possono godere i giornalisti nelle loro inchieste rimanda alla loro abilità di ritagliarsi uno spazio protetto sfruttando la competizione fra governi locali e governo centrale: è illustrativo il fatto che gran parte delle inchieste abbiano sempre un focus prettamente locale, o che spesso riguardino casi avvenuti in provincie diverse rispetto a quelle dove la testata viene pubblicata. La protezione delle autorità locali al giornale o, in altri casi, il benestare del centro si rivela così fondamentale perché un’inchiesta possa essere pubblicata o semplicemente portata avanti.
Altrettanto importante è il fatto che, nelle forme che conoscono un maggiore successo di massa quali i programmi televisivi di inchieste giornalistiche della televisione centrale, il giornalismo investigativo può diventare funzionale a una strategia di comunicazione governativa che, attraverso la denuncia pubblica di alcuni mali e problemi, tende a offrire una rappresentazione del potere come sensibile alle esigenze dei cittadini e al bene pubblico, e a creare consenso intorno a un nucleo di valori condivisi -modernizzazione, stabilità politica, coesione sociale- di cui il partito si fa il primo portatore. I temi d’indagine finiscono così per essere scelti sempre nel rispetto delle direttive governative, mentre il significato dell’inchiesta diventa quella di un rito istituzionalizzato attraverso cui rinnovare collettivamente il patto con il Pcc come guida del Paese. Così l’impatto ne viene smorzato, coerentemente con quella concezione del rapporto fra media e opinione pubblica che risponde meglio all’ideologia del governo. Non più la semplice censura, quanto invece la gestione dell’informazione, nell’ottica di una manipolazione dell’opinione pubblica, la cui voce reale, nonostante la moltiplicazione degli strumenti e dei canali di espressione, rimane tuttora frammentaria e scarsamente articolata.
Di fatto, il giornalismo investigativo riassume tutta la complessità della relazione fra media e opinione pubblica all’interno del processo di riforma dei media nella Cina di oggi, in cui l’equilibrio, garantito dal controllo dello Stato, fra molteplici obiettivi e attori diversi è, nondimeno, in continua evoluzione.
Il ruolo dei media d’informazione rappresenta, di conseguenza, uno dei nodi irrisolti più delicati della transizione cinese. La cosiddetta “riforma del giornalismo”, messa in atto nel contesto di un’economia sempre più liberalizzata e di un’accentuata internazionalizzazione, ha infatti aperto nuove opportunità di sviluppo e spazi di autonomia; tuttavia non ha mai voluto mettere in discussione il ruolo di controllo e direzione del Partito Comunista Cinese (Pcc) e del governo sulle attività giornalistiche. Censura dell’informazione, manipolazione e strumentalizzazione dell’opinione pubblica rimangono, dunque, elementi strutturalmente pervasivi della sfera pubblica cinese.
Non più considerati solo la “bocca e orecchie” del partito, i media sono piuttosto ritenuti un’industria strategica tanto per la stabilità politica interna quanto per la crescita economica e l’affermazione internazionale della Cina, ed è stato progressivamente riconosciuto il loro ruolo di mediatori fra governo e cittadini, fondamentale per costruire un consenso pubblico nei confronti del Pcc e temperare le tensioni sociali ed economiche che accompagnano il nuovo corso.


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